Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Fonti > La società urbana nell’Italia comunale > IV, 24

Fonti

La società urbana nell’Italia comunale (secoli XI-XIV)

a cura di Renato Bordone

© 1984-2005 – Renato Bordone


Sezione IV – La struttura politico-sociale

24. Le famiglie popolari computate fra i nobili

A Cremona, con la grande precocità che la contraddistingue, prima del 1210 si contrappongono già due forze politiche cittadine organizzate in società, come avverrà più tardi nelle altre città: i militi e il popolo. Le lotte intestine provocano l'intervento del vescovo, che nel fare opera di pacificazione pronuncia un arbitrato; al di là delle disposizioni specifiche, pur interessanti per comprendere la dinamica politica cittadina, ciò che si vuole sottolineare è il riferimento alle famiglie popolari computate ormai fra i grandi consorzi nobiliari: ciò sta a significare che l'incremento raggiunto da famiglie originariamente non aristocratiche le aveva portate a imitare quel ceto maggiorente anche nella composizione familiare, al punto di farle considerare dall'opinione comune come famiglie ormai quasi del tutto «nobili».

Fonte: ASTEGIANO (a cura di), Codex Diplomaticus Cremonae cit., doc. 111, pp. 215-217 (parziale).


Convocata la pubblica assemblea al suono della tromba e delle campane, presenti Matteo Corrigia, podestà di Cremona, e Guglielmo Mastaglio, podestà della società del popolo, il signor Siccardo, per grazia di Dio vescovo di Cremona, disse e pronunciò quanto di seguito è riportato:
Io Siccardo, per grazia di Dio vescovo di Cremona e conte e legato della santa sede apostolica per mettere pace in Lombardia, vedendo la grave discordia esistente fra i cittadini di Cremona spesso li ho ammoniti e minacciati sotto pena di scomunica affinché facessero pace fra loro ed evitassero i pericoli e i disastri delle guerre civili.

Avendo pertanto il signor Matteo di Corrigia podestà di Cremona e il signor Guglielmo Mastaglio podestà della società del popolo di Cremona commesso al mio arbitrato la questione – cioè Matteo a nome suo e del comune da una parte e Guglielmo a nome suo e della società dall'altra – e avendo giurato di attenersi a tutti i miei precetti su ogni discordia, dopo aver comunicato il consiglio dei signori Pietro arciprete e N. arcidiacono e M. abate di S. Lorenzo e dei prevosti Giovanni di S. Agata e Andrea di S. Luzia e W. di S. Michele e C. arciprete di Platina e dei canonici della chiesa maggiore di Cremona, cioè Omobono e Giovanni Bono e mastro Anselmo, in presenza dei cappellani mastro M. e mastro Pietro e Girardo e Giacomo, dico e ordino che tutto il popolo di Cremona abbia la terza parte degli elettori dei consoli o del podestà e di coloro che sono eletti per emendare e rielaborare gli statuti del comune e di coloro che sono eletti per pronunciare le sentenze di condanna o di assoluzione ogni due mesi. E in genere abbia la terza parte di tutti gli uffici e gli onori, tanto annuali che non annuali, che sono di pertinenza del comune. Per popolo intendo coloro che sono fuori dei grandi consortili, che benché siano del popolo tuttavia devono essere considerati come militi. […]

Ugualmente dico e ordino che in seguito nessun cittadino giuri presso la società del popolo o presso la società dei militi né presso altra società a danno del comune. Ugualmente nessuno sia costretto ad appartenere a qualche società contro la sua volontà. […]

Ugualmente dico e ordino che due uomini del popolo della Cittanova e due del resto del popolo stiano con un giudice e un notaio al banco della chiesa maggiore per tutela e patrocinio dei miserabili, non per salario ma per amore di Dio e riscuotano dal comune un salario come tutti gli altri ufficiali comunali, ma per un periodo di tempo determinato.

Dico e ordino che tutti gli uomini della città di Cremona, a qualunque società appartengano, e tutti gli uomini dei borghi suburbani devono essere dipendenti dalla giurisdizione del signor podestà Matteo, del quale sono di pertinenza tutti i diritti comuni, cioè punire i delitti, organizzare spedizioni militari, riscuotere pedaggi, ripatici e tutti gli altri redditi, controllare i panettieri, i mugnai, i tavernieri e gli altri commercianti. Ugualmente dico e ordino che il signor Guglielmo Mastaglio presti giuramento a tutti i decreti del podestà di Cremona Matteo entro la prossima domenica, se il signor Matteo vorrà, ma dico anche che [il detto podestà] non potrà ordinargli di sciogliere la sua società e non potrà giudicare gli uomini della sua società che hanno giurato di averlo come podestà. […]

Fatto in Cremona.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/03/2005