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Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione II – La borghesia e la chiesa

5. Il testamento di un usuraio pentito

Sovente i mercanti per risolvere il proprio conflitto di coscienza e nella speranza di giovare alla propria anima, dopo la spregiudicatezza e lo spirito di frode con cui avevano condotto i loro affari, sceglievano, come si è detto, il metodo dei lasciti e delle elemosine per riparare al male fatto.

Tuttavia poteva talvolta anche accadere che, malgrado i lasciti e le generose donazioni, la Chiesa non si peritasse di perseguitare, almeno dopo la morte, il mercante munifico, forse e soprattutto attirata dalla sua cospicua eredità. Fu questo il caso del mercante usuraio Scaglia Tifi (di cui si parla anche a lettura 6, sez. V): non appena giunse a Firenze la notizia della sua morte, avvenuta in Francia (dove egli aveva tutti i suoi affari) e si incominciò a parlare dei tesori accumulati dal fiorentino emigrato e morto senza eredi diretti, l'Inquisizione pensò bene di accusare Scaglia Tifi di aver praticato l'usura, di essere un eretico. Nonostante il suo testamento, rigurgitante di lasciti ad opere pie, Scaglia fu quindi denunciato quale propugnatore di abominevoli eresie e come usuraio impenitente. Il processo naturalmente riconobbe questi suoi delitti, i beni del mercante vennero messi in vendita ed il ricavato passò completamente a vantaggio della Chiesa.

A parte queste vicende che seguirono la sua morte, resta qui da sottolineare il dramma morale di questo mercante, uomo del Medioevo nel senso completo della parola: egli sprezzò ed obliterò il rigorismo morale della Chiesa finché fu vivo in lui il vigore del corpo e l'abilità negli affari; giunto però alla vecchiaia, toccato nei suoi affetti più veri, deluso dalla mancanza di eredi, compì la solita parabola degli uomini d'affari medievali e si preoccupò di riconciliarsi con la propria coscienza e con Dio: si ritirò nel convento dello Spirito Santo, dove dettò le sue ultime volontà con un profondo e puro spirito di religiosità. Dal suo testamento traspare netto il convincimento della durezza della solitudine e della vanità delle ricchezze accumulate: il testatore sente il vuoto della persona sola al mondo e sembra divenuto sensibile alla condizione degli indigenti, sicché con un'affettività non comune agli uomini d'affari del suo tempo dispone la distribuzione di un pane ai poveri nel giorno della sua morte e soprattutto la distribuzione di una veste ai miserabili durante la stagione invernale. Rimane invece nell'ambito delle consuetudini quando dispone legati vari per costruzioni di chiese e monasteri, per celebrazioni di messe ecc., aspetti costanti dei testamenti dei ricchi borghesi, pentiti, se non altro al momento della morte, dei mezzi con cui avevano accumulate le proprie ricchezze.

Fonte: A. SAPORI, Un fiorentino bizzarro alla corte di Borgogna. Scaglia Tifi, in «Studi di Storia Economica (secoli XIII-XIV-XV)», vol. I, Firenze, Sansoni, 1955, pp. 123-127.


Testamento di Scaglia Tifi fatto a Besançon il 16 maggio 1330 e pubblicato dalla curia in quella città il 27 gennaio 1332.

In nome della santa ed individua Trinità, del Padre, del Figlio e dello Spirito sento. Amen. Io Giacomo, detto Scaglia dei Tifi, di Firenze, sano di mente e di corpo ed essendo completamente nelle mie facoltà fisiche e mentali per grazia divina, considerando e sapendo che dopo il peccato del nostro primo progenitore la condizione del genere umano è transitoria e mortale e che nulla è più certo della morte e nulla più incerto della sua ora, e perciò non volendo morire senza testamento, finché la ragione regge la mente ed il vigore sostiene le membra ed il corpo, non indebolito da alcuna malattia, stabilisco, faccio, ordino e dispongo in questo documento nel seguente modo il mio testamento e la mia estrema volontà riguardo il mio corpo, i miei beni e le mie proprietà mobili ed ereditarie a me da Dio concesse, ovunque oltre monti, escluse quelle esistenti in Italia.

In primo luogo raccomando la mia anima, non appena sarà uscita dal suo corpo, all'altissimo Creatore.

Ugualmente, se avverrà che io debba pagare il mio debito alla natura oltre monti, scelgo la mia sepoltura nella chiesa dell'ospedale di Santo Spirito in Besançon e do e concedo in pura e perpetua elemosina novanta lire di reddito annuo e perpetuo sotto la forma, il modo, le condizioni e gli oneri sotto dichiarati al maestro, ai fratelli ed ai poveri presenti e futuri del detto ospedale dello Spirito Santo di Besançon per la salvezza dell'anima mia, dei miei genitori e antecessori e per quelli a cui io sono obbligato a patto che lo stesso maestro [1] debba e sia obbligato a costituire, instituire, ordinare, scegliere ed eleggere come capellani nella stessa chiesa dello Spirito Santo due frati del detto ospedale dello Spirito Santo, promossi ai sacri ordini del sacerdozio, in un altare appositamente stabilito, al più presto possibile, dopo la mia morte, i quali capellani ogni giorno alternativamente celebrino in perpetuo presso l'altare predetto una messa di requie per la salvezza della mia anima e di quella dei miei genitori e dei miei predecessori e siano obbligati con giuramento a celebrarla, ai quali capellani si dia e si paghi e il detto maestro sia obbligato a dare e pagare, detraendolo dal legato suddetto, ogni anno in perpetuo, venti lire di annuo e eterno reddito, cioè dieci lire per ciascuno.

Ugualmente voglio ed ordino che ogni anno nel giorno della mia morte nella stessa chiesa dello Spirito Santo sia fatto e sia celebrato il mio anniversario secondo gli usi e in quel giorno sia fatta per i poveri del detto ospedale e per i fratelli una pietanza del valore di cento soldi.

Voglio anche ed ordino che agli stessi poveri e ai fratelli quattro volte all'anno, cioè per ogni stagione dell'anno, sia fatta una pietanza del valore e della quantità di settanta soldi, affinché gli stessi poveri ed i fratelli, mossi da afflato religioso in conseguenza di questa [carità], non dimentichino di intercedere presso Dio con devote orazioni per la salvezza della mia anima.

Ugualmente voglio, stabilisco ed ordino che il detto maestro dello Spirito Santo, insieme con le cose predette, nella stagione invernale, ogni anno in perpetuo, acquisti e sia obbligato ad acquistare per una somma di venticinque lire dei panni correnti di sergia [2], o altro, adatti a fare vesti e tuniche per uso dei miserabili e del poveri di detto ospedale che più palesemente ne hanno bisogno. E della rimanenza di detto legato voglio che lo stesso maestro faccia e predisponga come a lui parrà meglio, per la salvezza della mia anima e per l'utilità di detto ospedale e dei suoi poveri, considerando responsabili in modo particolare di tutte queste cose la coscienza e l'anima del detto maestro dello Spirito Santo e le coscienze e le anime dei suoi successori in detto ospedale. Le quali novanta lire di reddito annuale e perpetuo assegno, concedo ed affido per conto mio e per conto dei miei eredi ai detti maestro, fratelli e poveri dello Spirito Santo di Besançon ogni anno, da riscuotere in perpetuo e da esigere e da detrarre sui miei redditi del pedaggio di Augerans, nel tempo e con le modalità con cui io fui solito percepire ed esigere annualmente i detti miei redditi del detto pedaggio e a questo scopo costituisco miei procuratori gli stessi maestro, fratelli e poveri, tanto quanto agissero in proprio…

Ugualmente do e lascio ai frati minori di Besançon sessanta soldi per fare un pasto nel loro convento, chiedendo loro che celebrino una messa per la salvezza della mia anima e intercedano presso Dio con devote orazioni.

Ugualmente do e lascio alla fabbrica della chiesa di S. Giovanni Evangelista di Besançon quaranta soldi.

Ugualmente e in modo simile do e lascio ai frati minori di Besançon sessanta soldi per un pasto.

Ugualmente [lascio] alle fabbriche delle chiese dei Santi Stefano, Andrea, Giovanni Battista, Giuseppe, al monastero di S. Marcellino, Paolo, Donato, Pietro e della Beata Maddalena di Besançon venti soldi a ciascuno.

Ugualmente voglio ed ordino che otto libbre di frumento vengano acquistate e vengano usate per fabbricare del pane e nel giorno della mia morte o dopo, al più presto possibile, per la salvezza della mia anima sia dato e distribuito ai poveri e mendicanti della città di Besançon.

Ugualmente do e lascio ai poveri dell'ospedale di S. Giacomo delle Arene sessanta soldi per un pasto da offrire agli stessi.

Ugualmente ai poveri dell'ospedale di S. Brigida di Besançon, in modo simile, sessanta lire.

Ugualmente ai primi degli istruttori dei Santi Giovanni e Stefano cinque soldi a ciascuno…

[1] Il superiore dell'ospedale e del convento dello Spirito Santo.

[2] Tessuto di lana leggera, a trama rustica.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05