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Fonti

L'ascesa della borghesia nell'Italia comunale

a cura di Anna Maria Nada Patrone

© 1974 – Anna Maria Nada Patrone


Sezione V – L'etica borghese

7. Una spregiudicata confessione di malversazione

Giacomo Scaglia Tifi, in seguito a disavventure politiche in Firenze, si recò in Francia e qui passò al servizio dei signori di Montbéliard: il 27 maggio 1292 lo troviamo nella cattedrale di Nóôtre-Dame di Parigi di fronte ad una folta schiera di baroni francesi ai quali confessa candidamente, per quanto si può giudicare dal freddo linguaggio del notaio, di aver sottratto una fortissima somma ai conti di Borgogna per utilizzarla in personali speculazioni. Come fossero stati adoperati quei denari non si dice, ma è facile indovinarlo se si tengono presenti le invettive dei cronisti contemporanei contro i prestatori italiani «tortuosi ed incostanti, che parlano in un modo ed agiscono in un altro, che sgusciano simili ad anguille» e che vengono considerati la rovina della nobiltà, degli enti religiosi, dell'intero paese. Scaglia Tifi è il classico prototipo del mercante afferrato dal demone degli affari, dotato di spinto cavilloso, pronto al raggiro pur di soddisfare la propria cupidigia di denaro, abile nel trattare con eccessiva spregiudicatezza e con spirito di frode i propri affari, specialmente quando si tratta di clienti stranieri. Non sappiamo se si possa accettare la spiegazione psicologica avanzata dal Sombart (di fronte ai clienti stranieri il mercante italiano osava adottare i metodi più ingannevoli e fraudolenti perché non temeva il giudizio dell'ambiente e della società dei suoi concittadini), possiamo invece aggiungere che il mercante italiano con fine spirito d'osservazione e con acume critico, era ben conscio che quegli stessi clienti stranieri da lui frodati, non avrebbero in alcun modo potuto sottrarsi alle sue malversazioni ed alle sue usure, a motivo delle gravi strettezze finanziarie in cui si dibattevano. Infatti, come comprova di questa nostra affermazione, vediamo che il nostro Scaglia Tifi, dopo la sua confessione, non fu neppure incarcerato, secondo l'uso del tempo, finché non avesse restituita la somma da lui stornata. Invece i defraudati si accontentarono della promessa di restituzione del maltolto in venti anni, continuarono a tenerlo ai loro servizi e anzi consigliarono Ottone IV di Borgogna a nominarlo ricevitore nella sua contea. In realtà Scaglia era riuscito ad avere in mano le finanze di Montbéliard e stava per divenire arbitro anche delle sorti della Franca Contea, detta appunto nelle fonti medievali contea di Borgogna: infatti quando Ottone si trovò indebitato in modo irreparabile, Scaglia prese in mano le trattative politiche e concluse il trattato della cessione della Borgogna a Filippo il Bello (2 marzo 1295). Sulla figura di questo mercante usuraio si veda anche la lettura 5 della sezione II.

Fonte: L. GAUTHIER, Les Lombards dans les Deux-Bourgognes (XIII-XIV siecles), in «Bibliothèque de l'Ecole des Hautes Etudes», 156, Parigi, 1907, doc. 20.


Giacomo detto Scaglia, figlio del fu Cione dei Tifi di Firenze, cittadino fiorentino, già maestro generale delle finanze e tesoriere dei nobilissimi e chiarissimi signori Rinaldo di Borgogna, conte di Montbéliard e del signor Ugo suo fratello, confessò in piena verità e spontaneamente riconobbe, non per violenza e per paura, ma volontariamente, di avere presso di sé e che a lui pervennero ventimila lire di buoni e legali tornesi piccoli neri, facenti parte dei frutti, dei redditi e dei proventi, spettanti allo stesso signor conte ed al fratello Ugo, [che egli prese] durante il suo ufficio di maestro generale delle finanze e di tesoriere a lui assegnato dal detto signor conte e dal fratello Ugo e che egli impiegò e trasportò per il proprio uso e per i propri vantaggi.

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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05