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Didattica > Fonti > Pisa e il Mediterraneo > Indice > Parte IV /2

Fonti

Pisa e il Mediterraneo

Antologia di fonti scritte, dal secolo IV alla metà del secolo XII
scelte da Michele Campopiano e Catia Renzi Rizzo

© 2005 - Michele Campopiano e Catia Renzi Rizzo per “Reti Medievali”


IV
Il Mediterrano occidentale nel secolo X /2
Le imprese e gli accordi

(A) Rielaborazione di C.R.R. da G. Levi Della Vida, La corrispondenza di Berta di Toscana col Califfo Muktafî, in «Rivista Storica Italiana», LXVI (1954), 1, pp. 21-38, alle pp. 26-27. Un'edizione recente della fonte e dell'intero manoscritto da cui essa è stata tratta in Book of gifts and rarities. Kitâb al-Hadâyâ Wa al-Tuhaf, translated, with introduction, annotations, glossary, appendices and indices by Ghada al-Hijjawi al-Qaddumi, forewords by Oleg Grabar and Annemarie Schimmel, (Harvard Middle Eastern monographs, 29), Cambridge, Massachusetts 1996, n. 69, pp. 91-98, alle pp. 93-94.
(B) Liudprandus Cremonensis, Antapodosis, in Liudprandi Cremonensis Opera Omnia , cura et studio P. Chiesa, Turnholti 1998, (Corpus Christianorum Continuatio Medievalis, CLVI), libro III, paragrafi 16-17, p. 75.
(C) Liudprandus Cremonensis, Antapodosis, in Liudprandi Cremonensis Opera Omnia, cura et studio P. Chiesa, Turnholti 1998, (Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, CLVI), libro IV, paragrafo 5, p. 98.
(D) Ibn ‘al‘Atîr, in Biblioteca arabo-sicula, raccolta da M. Amari, 2 Voll., Torino-Roma 1880-1881, I, p. 412.
(E) Al-Zuhuri, Kitab al-Dja‘rāfiyya, texte arabe établi par M. Hadj-Sadok, in «Bulletin d'Études Orientales», XXI (1968), pp. 7-312, testo arabo p. 229, trad. francese alle pp. 92-93; la trad. in italiano e i corsivi sono di C.R.R.
(F) P. Chalmeta, La Méditerranée occidentale et Al-Andalus de 934 á 941: les données d'Ibn Hayyân, «Rivista degli Studi Orientali», L (1976), pp. 337-351, alle pp. 339-342, tradotta dal francese da C.R.R. e integrata con la versione spagnola presente in Ibn Hayyân (XI s. ), Kitâb al-Muqtabis fî ta'rîkh rijâl al-Andalus: (V) Regno di 'Abd ar-Rahmân III: Crónica del califa 'Abd ar-Rahmân III an-Nâsir entre los años 912-942, éd. a cura di M. J. Viguera y F. Corriente, preliminar por J. M. Lacarra, Zaragoza 1981, pp. 341-343.

La realtà storica del Mediterraneo nell'Alto Medioevo in generale, e nel corso del X secolo in particolare, è assai complessa a causa dell'articolata poliedricità dei rapporti intercorsi tra cristiani, musulmani, e Bizantini. E chi ha familiarità con i documenti o le fonti narrative che li hanno registrati, non può fare a meno di riscontrare la difficoltà a definirli con i nostri attuali parametri razionali: si tratta infatti di inquadrare come frequente, anzi, normale, l'essere, nello stesso tempo, in uno stato di guerra e, insieme, di pace – o meglio – di tregua.

Un esempio di questa condizione è chiaramente verificabile anche in un paio di passaggi della lettera che Berta, marchesa di Toscana, scrisse nel 906 al califfo di Baghdad Muktafî (A): ella afferma infatti che tra lei e il re dell' Ifriqiya “vi era amicizia”, ma racconta subito dopo che i propri marinai, usciti in perlustrazione, avevano intercettato tre navi africane, le avevano catturate e ne avevano fatti prigionieri tutti e centocinquanta i membri degli equipaggi. Una testimonianza preziosa in grado di fornire informazioni sia sulla rete complessa dei legami che i sovrani cristiani intrattenevano a quella data con quelli musulmani e bizantini, sia sulla fitta rete di scambi che veicolava il viaggio di merci preziose e doni, lungo le vie terrestri e lungo le vie d'acqua – e nel Mediterraneo principalmente –, sia sull'esistenza e consistenza di una flotta, al servizio del titolare della Marca di Toscana e con compiti di evidente difesa preventiva.

Berta non dice dove fosse alloggiata la sua flotta, ma possiamo facilmente arguirlo da un'altra fonte (B), allorchè Liutprando, nel descrivere l'arrivo in Italia di Ugo di Provenza, figlio di primo letto della medesima Berta, per cingere la corona di re d'Italia, ne enuncia il viaggio per mare dalla costa provenzale a Pisa, definendo la città il centro urbano più importante della Tuscia. E non si fa fatica ad accettare oggi tale definizione. È infatti intorno agli anni trenta del secolo X che si colloca tutta una serie di indizi significativi su un consistente recupero di energie da parte della città marittima, dall'istituzione di Pisa e del suo territorio in contea autonoma, alla ricostituzione organizzativa e patrimoniale della canonica pisana secondo la regola del vescovo Zenobio, sino all'avvenuta erezione – controversa, da parte degli studiosi che si sono occupati del problema – delle mura precomunali. Ciò che è certo è che Pisa non fu attaccata dai musulmani negli anni 934-935, quando lo furono, al contrario, Genova (C), la Corsica e la Sardegna (D). A quella data, dunque, potrebbe essere stata già fornita di efficaci opere difensive, come una fonte araba posteriore (E) sembra del resto suggerire: un ponte mobile, sul fiume, fortificato da battenti di ferro, costruito dopo la conquista della Sicilia e della Sardegna (sic!) da parte araba. Una testimonianza del XII secolo che è certamente connotata dai successi conseguiti dalla città toscana a quella data e la cui attendibilità va verificata con analisi comparate su altri tipi di fonti.

È indubbio, del resto, che le fonti arabe spesso forniscono informazioni che la fonte cristiana ha intenzionalmente tralasciato: è il caso degli accordi tra sovrani cristiani e sovrani musulmani, probabilmente reputati indecorosi da parte cristiana: Liutprando trovò scandaloso l'accordo di Ugo con i saraceni di Frassineto (cfr. IV /1 D); la lettera di Berta ci è giunta solo attraverso la sua registrazione in un manoscritto fatimida (A); l'accordo che Ugo stabilì con il califfo omeiade Abd al-Ramân III nell'anno 939 o 940, lo conosciamo solo attraverso una cronaca scritta da Ibn Hayyan nell'XI secolo (F). Eppure fu un avvenimento “epocale” che consentì due anni dopo il primo arrivo a Cordova di alcuni mercanti amalfitani con le loro allettanti mercanzie, e qualche mese più tardi un secondo arrivo, questa volta di mercanti amalfitani e sardi, con le solite merci e anche lingotti d'argento. Un dato nuovo e suggestivo il quale non prova che a quella data le miniere di Iglesias fossero già sfruttate, ma stimola – certamente – nuovi filoni di ricerca.


(A) Nel nome di Dio clemente e misericordioso. Dio ti guardi, o re eccellente in autorità e potente in signoria, da tutti i tuoi nemici, ti assicuri il regno, ti mantenga in salute nel corpo e nell'anima.

Io, Berta, figlia di Lotario, regina di tutti i Franchi, ti saluto, mio signore re. Tra me e il re dell'Ifriqiya vi era amicizia, perchè io finora non sospettavo che vi fosse sulla terra un re superiore a lui. Le mie navi, essendo uscite, presero le navi del re dell'Ifriqiya, il cui comandante era un eunuco chiamato Alì: lo feci prigioniero con centocinquanta uomini che erano con lui su tre navi e rimasero in mio possesso per sette anni. Lo trovai intelligente e pronto, ed egli mi informò che tu sei re sopra tutti i re e benchè molta gente fosse venuta nel mio regno, nessuno mi aveva detto il vero intorno a te, eccetto questo eunuco che ti porta questa mia lettera.

Ho mandato con lui dei doni di cose che si trovano nel mio paese per tributarti onore e ottenere il tuo affetto; essi consistono in
- cinquanta spade
- cinquanta scudi
- cinquanta lance (del tipo in uso presso i Franchi)
- venti vesti tessute d'oro
- venti eunuchi slavi
- venti schiave slave belle e graziose
- dieci grandi cani, contro i quali non valgono nè fiere nè altre bestie
- sette falchi
- sette sparvieri
- un padiglione di seta con tutto il suo apparato
- venti vesti di lana prodotta da una conchiglia estratta dal fondo del mare da queste parti, dai colori cangianti come l'arcobaleno, che cambia colore a ogni ora del giorno
- tre uccelli (del paese dei Franchi) i quali se vedono cibi e bevande avvelenati gettano uno strido orrendo e battono le ali, sicchè si conosce la cosa
- delle perle di vetro che estraggono senza dolore frecce e punte di lancia, anche se la carne vi sia cresciuta intorno.


Egli mi ha informato che tra te ed il re dei Bizantini che risiede a Costantinopoli vi è amicizia. Ma io ho signoria più vasta ed eserciti più numerosi, poichè la mia signoria comprende ventiquattro regni, ciascuno dei quali ha un linguaggio diverso da quello del regno che gli è vicino, e nel mio regno sta la città di Roma la grande. Dio sia lodato. Mi ha detto di te che le tue cose procedono bene, riempiendo il mio cuore di soddisfazione e io chiedo a Dio di aiutarmi a ottenere la tua amicizia e l'accordo fra noi per quanti anni io rimanga in vita: che ciò avvenga dipende da te. L'accordo è cosa che nessuno della mia famiglia, della mia parentela e della mia stirpe ha mai ricercato, nè alcuno mi aveva mai informata intorno ai tuoi eserciti e all'eccellenza in cui ti trovi come mi ha informato questo eunuco che ti ho spedito.

Or dunque, o signore, su te per l'amor di Dio la salute più grande. Scrivimi intorno alla tua salute e a tutto ciò che più abbisogni nel mio regno e nel mio paese per mezzo di questo eunuco Alì; non trattenerlo presso di te, affinchè egli possa portarmi la tua risposta: io aspetto il suo arrivo. L'ho anche incaricato di un segreto che egli ti dirà quando vedrà il volto e udrà le tue parole, affinchè questo segreto rimanga tra noi, giacchè non voglio che ne sia in possesso alcuno tranne te, me e questo eunuco.

La salute di Dio più grande sia su te e sui tuoi e possa Iddio umiliare il tuo nemico e farlo calpestare sotto i tuoi piedi. Salute.


Esiste anche una variante della lettera di Berta, contenuta in una vita di Muktafî scritta nella prima metà del secolo X, secondo la quale i doni, in realtà, non furono mai mandati perchè l'eunuco temeva di poter essere intercettato e derubato dal suo emiro; ecco il testo della diversa versione:


Era mia intenzione mandare un dono con lui (…) e avevo radunato tutto ciò perchè lo prendesse con sè, ma egli disse che temeva che il sovrano dell'Ifriqiya, suo signore, venisse a conoscenza di ciò e venisse a togliere i doni. Io spero che la cosa vada com'egli dice, a Dio piacendo, e che egli mi riporti la risposta a questa mia lettera diretta a te, perchè gli ho fatto giurare di far ciò, con giuramenti e impegni quali tu stesso prenderai da lui perchè egli faccia da messaggero tra noi.

Tutto ciò che possa venirti in mente di averne bisogno nel mio regno, lo avrai, e anche tutto ciò di cui ho bisogno io nel tuo regno, te lo chiedo (…) e vi sarà tra noi un accordo e io ti manderò tutti i prigionieri musulmani che possediamo.

Rielaborazione di C.R.R. da G. Levi Della Vida, La corrispondenza di Berta di Toscana col Califfo Muktafî, in «Rivista Storica Italiana», LXVI (1954), 1, pp. 21-38, alle pp. 26-27. Un'edizione recente della fonte e dell'intero manoscritto da cui essa è stata tratta in Book of gifts and rarities. Kitâb al-Hadâyâ Wa al-Tuhaf, translated, with introduction, annotations, glossary, appendices and indices by Ghada al-Hijjawi al-Qaddumi, forewords by Oleg Grabar and Annemarie Schimmel, (Harvard Middle Eastern monographs, 29), Cambridge, Massachusetts 1996, n. 69, pp. 91-98, alle pp. 93-94.


(B) Hugo, Arelatensium seu Provincialium comes, navim conscenderat et per Tyrenum mare in Italiam festinabat. Deus itaque, qui hunc in Italia regnare cupiebat, prosperis eum flatibus brevi Alpheam - hoc est Pisam, quae est Tusciae provinciae caput - duxerat, de qua sic Maro: “Alpheae ab origine Pisae”. (…) Cumque eodem pervenisset, adfuit Romani papae, Iohannis scilicet Ravennatis, nuntius; adfuerunt etiam poene omnium Italiensium nuntii, qui hunc, ut super ipsos regnaret, modis omnibus invitabant.

Liudprandus Cremonensis, Antapodosis, in Liudprandi Cremonensis Opera Omnia, cura et studio P. Chiesa, Turnholti 1998, (Corpus Christianorum Continuatio Medievalis, CLVI), libro III, paragrafi 16-17, p. 75.


(C) Per id tempus in Ianuensi urbe, quae est in Alpibus Cotziae octingentis stadiis Papia distans supra Africanum mare constituta, fons sanguinis largissime fluxit, subsecuturam cunctis patenter ruinam insinuans.

Eodem quippe anno Poeni cum multitudine classium illo perveniunt, civibusque ignorantibus civitatem ingrediuntur, cunctos pueris exeptis et mulieribus trucidantes, cunctosque civitatis et ecclesiarum Dei thesauros navibus imponentes in Africam sunt reversi.

Liudprandus Cremonensis, Antapodosis, in Liudprandi Cremonensis Opera Omnia, cura et studio P. Chiesa, Turnholti 1998, (Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, CLVI), libro IV, paragrafo 5, p. 98.


(D) Quest'anno (anno 323 dell'Egira, corrispondente all'11 dic. 934-29 nov. 935) il fatemita 'Al Qâym mandò per mare dall'Affrica un esercito verso le regioni dei Franchi. Il quale espugnò la città di Genova; e passato in Sardegna, diè addosso agli abitatori di quella; bruciò molte navi; e tragettato in Corsica, arse le navi di quell'isola. I musulmani ritornarono [in Affrica] sani e salvi.

Ibn 'al'Atîr, in Biblioteca arabo-sicula, raccolta da M. Amari, 2 Voll., Torino-Roma 1880-1881, I, p. 412.


(E) (Pisa è) più importante di Djanwa (= Genova). (Essa è) attraversata nel suo centro da un grande fiume che discende dal djabal (= monte) Mandja, ai confini di Djillīqiya, che è a nord. Questo fiume è attraversato da un grande ponte a otto archi; a vele spiegate, i vascelli possono passare sotto questo ponte, le cui arcate sono munite di battenti in legno bardate di ferro, e che si chiude la notte e si apre durante il giorno, per paura delle imbarcazioni musulmane. Queste opere difensive sono state approntate all'epoca in cui la Sicilia, la Sardegna e Messina erano nelle mani dei musulmani, di cui si temevano le incursioni in città. Questa è a due farsakh dal mare. I suoi abitanti sono guerrieri di fama, marinai ingegnosi, costruttori scaltri di mangani e torri, combattenti irriducibili sul mare, capaci di bombardare l'avversario con la nafta; traditori, malvagi e violenti. Hanno molto legname; lavorano anche il ferro, con cui fanno un armamento di qualità: cotte di maglia, elmi, lance; è da essi che vengono le sciabole (nel testo: “sabres”) pisane (al-suyūf al-bīdjiyya) flessibili al punto che con esse si può fare una cintura, differenti da quelle indiane ma altrettanto taglienti. Dalle loro parti il cavaliere e il proprio cavallo sono talmente corazzati che non si può vedere alcuna parte del loro corpo. Essi sono mercanti, di terra e di mare, e arrivano sino in fondo allo Shām (=Siria), ad 'Iskandariyya ( = Alessandria), al Maghrib (Maghreb) estremo, in al-Andalus. Da essi arrivano gli shayātin, questi navigli chiamati anche ghirbān e katā'i', che sono stati i primi ad utilizzare in mare. Da essi arrivano la trementina, il rame, lo zafferano, il cotone.

Al-Zuhuri, Kitab al-Dja'rāfiyya, texte arabe établi par M. Hadj-Sadok, in «Bulletin d'Études Orientales», XXI (1968), pp. 7-312, testo arabo p. 229, trad. francese alle pp. 92-93; la trad. in italiano e i corsivi sono di C.R.R.


(F) In quell'anno (328/940) il segretario giudeo Hasday (…) concluse la pace con Sunyer (…) signore di Barcellona e delle sue province, seguendo le condizioni gradite e fissate da al-Nasir. Hasday si recò personalmente a Barcellona per la ratifica di dette clausole da parte di Sunyer, signore della città. (…)

Hasday invitò ugualmente dei grandi (‘uzama’) che si trovavano a Barcellona a entrare nell'obbedienza e nella pace con al-Nasir. Un gruppo di questi re (muluk) accettò, tra questi Unguh, uno dei loro grandi, il cui dominio era la terra di Napoli. Questi inviò alla capitale di al-Andalus una delegazione che lo rappresentava e chiese la sicurezza per i commercianti del suo paese nei loro viaggi verso al-Andalus. Il califfo aderì alla richiesta e inviò il testo del trattato a Nasr b. Ahmad, comandante di Frassineto e ai governatori delle Baleari e dei porti costieri dell'Andalusia. Questo trattato avrebbe garantito a tutti coloro che erano sotto la giurisdizione di Ugo così come alle altre genti di questa nazione che erano comprese nella pace, la sicurezza tanto per la loro vita quanto per i loro beni e per tutto ciò che i loro vascelli trasportavano, con la facoltà di negoziare le loro mercanzie dove fosse sembrato loro opportuno.

A partire da questa data i loro navigli arrivarono regolarmente ad al-Andalus e i musulmani ne approfittarono grandemente. (…)

Nel marzo 942 alcuni mercanti amalfitani arrivarono a Cordova. Essi vennero per mare in al-Andalus, volendo farvi commercio con le merci che essi portavano. Non si ha conoscenza alcuna – prima dell'epoca di al-Nasir (…) – che essi siano mai penetrati nel nostro paese, nè siano arrivati ai nostri porti, nè per terra nè per mare. Essi sollecitarono il salvacondotto del califfo. Questi mercanti portavano prodotti meravigliosi dal loro paese: fini broccati, porpore eccellenti e altre merci preziose, la maggior parte delle quali acquistò al-Nasir a prezzo modico e il resto i suoi cortigiani e i commercianti della capitale. Tutti fecero buoni affari e furono soddisfatti delle transazioni. Più tardi i loro successori continuarono a venire in al-Andalus e ciò fu di grande vantaggio. (…)

Il martedì 24 agosto 942, un messaggero del signore dell'isola di Sardegna si presentò alla Porta di al-Nasir (…) chiedendo la concessione di un trattato di pace e di amicizia. Con lui vennero dei mercanti, gente di Malfat, conosciuti in al-Andalus come amalfitani, con tutto l'assortimento delle loro preziose merci: lingotti d'argento puro, broccati ecc…transazioni da cui si trasse guadagno e grandi vantaggi.

P. Chalmeta, La Méditerranée occidentale et Al-Andalus de 934 á 941: les données d'Ibn Hayyân, «Rivista degli Studi Orientali», L (1976), pp. 337-351, alle pp. 339-342, tradotta dal francese da C.R.R. e integrata con la versione spagnola presente in Ibn Hayyân (XI s. ), Kitâb al-Muqtabis fî ta'rîkh rijâl al-Andalus: (V) Regno di 'Abd ar-Rahmân III: Crónica del califa 'Abd ar-Rahmân III an-Nâsir entre los años 912-942, éd. a cura di M. J. Viguera y F. Corriente, preliminar por J. M. Lacarra, Zaragoza 1981, pp. 341-343.

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Torna suUltimo aggiornamento: 09/06/05