Fonti
Pisa e il Mediterraneo
Antologia di fonti scritte, dal secolo IV alla metà del secolo XII
scelte da Michele Campopiano e Catia Renzi Rizzo
© 2005 - Michele Campopiano e Catia Renzi Rizzo
per “Reti Medievali”
(A)
Chronicon Pisanum seu fragmentum auctoris incerti, in Gli Annales Pisani di Bernardo Maragone,
a cura di M. Lupo Gentile, Bologna 1930 (Rerum Italicarum Scriptores, VI/2), pp. 99-103, pp. 101-102.
(B)
G. Scalia, Il carme pisano sull'impresa contro i Saraceni del 1087, in Studi di filologia
romanza in onore di Silvio Pellegrini, Padova 1971, pp. 565-627, vv. 1-4, 229-240.
(C)
Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffmann, in MGH., Scriptores, XXXIV,
Hannoverae 1980, p. 453.
(D)
Gaufredus Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi ducis
fratris eius, a cura di E. Pontieri, Bologna 1930 (Rerum Italicarum Scriptores, V, 1), pp.86-87.
(E)
At Tiğânî, Rahlah, in Biblioteca Arabo-Sicula, raccolta da M. Amari, 2 voll., Torino e Roma
1880-1881, II, pp. 62-63.
Nel 1087 Pisa e Genova (con l'ausilio di altri contingenti, tra i quali uno amalfitano guidato da
Pantaleone, figlio di Mauro) unirono le proprie forze in una spedizione contro le città nordafricane
di al-Mahdīya e Zawīla (A). Secondo i Chronica Monasterii Casinensis
fu Vittore III (Desiderio, in precedenza abate di Montecassino) a volere la spedizione, riunendo a tal scopo
armati provenienti da tutta la penisola e concedendo ai partecipanti il vexillum Sancti Petri e la remissione
dei peccati C). Dobbiamo però tenere presente che l'autore dei
Chronica, per ovvie ragioni, tendeva ad esaltare il ruolo di Desiderio e ad accostarlo a quello
svolto da Urbano II nella prima Crociata.
La spedizione nordafricana venne celebrata a Pisa da un carme ritmico, che paragona i Pisani vittoriosi
sui Saraceni ai Romani trionfatori di Cartagine. Il poema ricorda che i Pisani e i Genovesi ottennero
dal sovrano zirida Tamīm l'esenzione dal teloneo e l'impegno a riconoscere la sovranità
della Sede Apostolica e ad inviare tributi a Roma (B).
Il bottino fu molto ingente e permise ai Pisani di avviare l'edificazione della chiesa di S. Sisto in
Corte Vecchia, nonchè di arricchire e ampliare la cattedrale (A).
Le motivazioni religiose alla base della spedizione furono indubbiamente forti, ma il felice esito dello
scontro permise ai Pisani e ai Genovesi di ricevere indubbi benefici economici e commerciali. Goffredo Malaterra,
del quale abbiamo già ricordato l'atteggiamento ostile nei confronti di Pisa
(VI C), attribuisce ancora una volta la spedizione alla
volontà di vendicare qualche torto subito dai Toscani nello svolgimento delle loro attività commerciali.
Egli afferma inoltre che i Pisani, incapaci di tenere la città conquistata, la offrirono a Ruggero
di Sicilia, il quale, per rispettare accordi presi in precedenza con il sovrano arabo, si rifiutò
di collaborare (D).
L'impresa ebbe comunque una fortissima risonanza anche nelle fonti arabe, le quali mettono in risalto
la potenza della flotta e dell'esercito cristiani (E).
(A)
MLXXXVIII. Fecerunt Pisani et Ianuenses stolum in Africa, et ceperunt duas munitissimas civitates,
Almadiam et Sibiliam in die S. Sixti, in quo bello Ugo Vicecomes filius Ugonis Vicecomitis mortuus est.
Ex quibus civitatibus Saracenis fere omnibus interfectis, maximam auri, argenti, palliorum et ornamentorum
abstraxerunt. De qua preda thesauros Pisane Ecclesie et diversis ornamentis mirabiliter amplificaverunt, et
Ecclesiam B. Sixti in curte veteri edificaverunt.
Chronicon Pisanum seu fragmentum auctoris incerti, in Gli Annales Pisani di Bernardo Maragone,
a cura di M. Lupo Gentile, Bologna 1930 (Rerum Italicarum Scriptores, VI/2), pp. 99-103, pp. 101-102.
(B)
Inclitorum Pisanorum scripturus istoriam,/ Antiquorum Romanorum renovo memoriam:/ Nam extendit modo Pisa laudem
admirabilem,/ Quam recepit olim Roma vincendo Cartaginem. (…)/ Et iam isti fatigati pausabant in requie,/
Ipse rex misellus nimis pacem cepit petere./ Donat auri et argenti infinitum pretium,/ Ditat populum Pisanum
atque Genuensium./ Iuravit per Deum celi, suas legens litteras:/ Iam ammodo Christianis non ponet insidias/
Et non tollet tulineum his utrisque populis,/ Serviturus in eternum eis quasi dominis./ Terram iurat Sancti
Petri esse sine dubio,/ Et ab eo tenet eam iam absque conludio,/ Unde semper mittet Romam tributa et premia;/
Auri puri et argenti nunc mandat insignia.
G. Scalia, Il carme pisano sull'impresa contro i Saraceni del 1087, in Studi di filologia
romanza in onore di Silvio Pellegrini, Padova 1971, pp. 565-627, vv. 1-4, 229-240.
(C)
Estuabat interea ingenti desiderio idem Victor apostolicus, qualiter Saracenorum in Africa commorantium
confunderet, conculcaret atque contereret infidelitatem. Unde cum episcopis et cardinalibus consilio
habito de omnibus fere Italie populis christianorum exercitum congregans atque vexillum beati Petri apostoli
illis contradens sub remissione omnium peccatorum contra Saracenos in Africa commorantes direxit. Christo
igitur duce Africanam devoluti dum essent ad urbem, omni nisu illam expugnantes Deo adiuvante ceperunt
interfectis de Saracenorum exercitu centum milibus pugnatorum. Quod ne quis ambigat hoc absque voluntate
accidisse divina, illo die, quo christiani de Saracenis victoriam adepti sunt, eo etiam Italie divinitus
patefactum est.
Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffmann, in MGH., Scriptores, XXXIV,
Hannoverae 1980, p. 453.
(D)
Dum ista geruntur, Pisani, qui apud Africam negotiandum profiscebantur, quasdam iniurias passi, exercitu
congregato, urbem regiam regis Thumini oppugnantes, usque ad maiorem turrim, qua rex defendebatur, capiunt.
Sed quia sua virtute, urbe expugnata, patriam retinere minus sufficientes erant, comiti Siciliensi, quem in
talibus sufficientem et praevalidum cognoscebant, eam, si recipere velit, per legatos invitantes, offerunt.
Porro ille, quia regi Thumino amicitiam se servaturum dixerat, legalitatem suam servans, in damno illius
assentire distulit. Rex vero Thuminus cum certando resistere nequit, pretio pacem mercatus, quam armis
minus sufficiebat; pecunia classem finibus suis arcet, promittens etiam, sub ostentatione legis suae,
nulla classe fines christiani nominis pervasum ulterius tentare, et quos eiusdem religionis captivos
tenebat, coactus est absolvere.
Gaufredus Malaterra, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi ducis
fratris eius, a cura di E. Pontieri, Bologna 1930 (Rerum Italicarum Scriptores, V, 1), pp.86-87.
(E)
Venuto l'anno quattrocent'ottanta (8 apr. 1087-26 marzo 1088) accadde in Al Mahdîah, come si sa
pur troppo, lo sbarco dei Cristiani di Pisa e di Genova, i quali insignorironsi di quella città e
di Zawîlah; fecero cattivi nell'una e nell'altra, e in entrambe uccisero quanti ne vollero e
appiccarono incendi. Eran venuti costoro con trecento legni che recavano trenta mila combattenti.
Dice 'Abû 'as Salt: «Quest'anno il sole si eclissò di eclisse
totale, nel segno del lione, che fu l'oroscopo della fondazione di 'Al Mahdîah: e in
seguito di ciò successe quella calamitò.
Oltre il decreto del Sommo Iddio, al quale non si resiste, e la sua volontà, alla quale non si
può contrastare, le precipue cagioni di quella [sventura] furono che l'esercito del sultano si
trovava lungi di 'Al Mahdîah; che i Rûm piombarono all'improvviso, quando
non s'era fatto alcun preparamento contro di loro, nè presa alcuna disposizione
per resistere loro; che l'universale dei cittadini mancava d'armi e di munizioni; che
le mura erano basse e rovinate; che Tamîm non prestò fede alle notizie che gli venivano
intorno i Cristiani; e che il [vero] reggitore e governatore della città,
Ibn Mankût, con grave errore, vietò [all'armata] di uscire ad affrontare
il nemico in mare; onde [i Musulmani] gli lasciarono mettere piede all'asciutto».
L'occupazione delle due 'Al Mahdîah e lo strazio che ne menarono sono
fatti divulgati e notissimi. Ripiglia ['Abû 'as Salt ]: «Allora Tamîm
riparò nel suo castello chiamato Qasr 'al Mahdî (castello del Mahdî,
primo califo fatemita) che era fortissimo; e vi rimase finch'egli stipolò la pace coi
Cristiani, riscattandosi per mille dinâr, che si doveano pagar loro, ed essi quindi dovean partire
con tutto ciò che avean preso ai Musulmani. Incassato il denaro, salparono [portando via] le
ricchezze, le donne e i figliuoli dei Musulmani». E continua 'Abû 'as Salt con dire che la
compiuta descrizione di questo avvenimento fu dettata da 'Abû 'al Hasan 'ibn Muhammad
'al Haddâd (il fabbro) in una lunga qasîdah, la quale incomincia con questi versi:
«Che [la bella] ci comparisca in sogno o che la si asconda [non ci cale] :
é intento a ben altro l'animo nostro».
«Hanno assalito la nostra patria i nemici, in tal numero, che [pareano nuvoli di] locuste
o [brulicame di] vermicciuoli».
«Ventimila e la metà [per arrota] si raccolsero d'ogni banda; ahi trista accolta!»
«Piombarono improvvisi sopra un pugno d'uomini, inesperti di guerra, ignari»,
«Usi a vita molle e spensierata: ma il Destino, no, non ha gli occhi languidi!».
«Destandosi dal sonno mattutino, si videro [di faccia] occhi torvi e affilati brandi».
«[Erano venuti] su galee che parean montagne, se non che le vette erano irte di lance e spade».
«Soavemente le portava un'aura a seconda di lor brame: lasso, che per noi fu tempesta!».
«E calato il vento, le spingean remi che venianci addosso quai serpenti silâl».
At Tiğânî, Rahlah, in Biblioteca Arabo-Sicula, raccolta da M. Amari, 2 voll., Torino e Roma
1880-1881, II, pp. 62-63.
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