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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


2. Gli uomini e lo spazio coltivato

3. Mutamenti nella dinamica degli investimenti

Una novità che va sottolineata subito è la diversa natura e la diversa dinamica degli investimenti. L’alto Medioevo era stato nel complesso dominato dal sotto-investimento. Scarse, anche se non necessariamente inesistenti, le possibilità dei contadini, che sulle terre dominiche dovevano riversare a vantaggio del grande proprietario una parte più o meno consistente del loro lavoro (vedi 1. La grande proprietà alto-medievale). In un grande complesso agricolo si trattava di migliaia di giornate lavorative sottratte alle aziende familiari del mondo rurale: 150.000 giornate, parziali o complete, per la grande abbazia di Saint-Germain-des-Prés, 60.000 per quella di Santa Giulia di Brescia. L’abate di Saint-Trond riusciva a riunire sui suoi prati per la fienagione da 140 a 180 falciatori. Più largo il margine di investimento per i grandi proprietari e non tanto per i versamenti in natura o in denaro da parte dei loro contadini, quanto per ciò che essi ritraevano dalle terre dominiche, reddito proporzionalmente più alto. «Tuttavia, salvo eccezioni, solo una parte assai ristretta della produzione» aveva potuto partecipare anche in quest’ultimo caso «all’economia del profitto e dello scambio» (G. Fourquin). Comunque qualcosa di nuovo sembra lentamente apparire nelle campagne europee. La mentalità dei grandi lentamente si modifica e si realizza un progressivo aumento di investimenti produttivi. Mulini ad acqua appaiono un po’ ovunque tra l’VIII e il X secolo nelle contrade più attive come il bacino parigino. Può essere — la questione è discussa e nel complesso tutt’altro che dimostrabile – che la stessa radice di molte attività mercantili sia da ricercare nell’accumulazione della rendita fondiaria. A Venezia i primi patrizi erano anche proprietari fondiari sulla terraferma e forse da questa trassero i primi capitali per quella che sarebbe stata poi una folgorante ascesa. A Genova nobili proprietari avrebbero fornito i primi capitali per il commercio marittimo. Non è neppure escluso che i capitali dei banchieri ebrei provenissero dalle estese proprietà fondiarie che essi avevano accumulato in Italia, Spagna e Gallia e di cui furono, tra il VI ed il VII secolo, gradatamente costretti a spogliarsi.

Dall’XI secolo, ma la radice va certo ricercata più addietro, le fonti, se pure in forma indiretta e non «quantitativa», mostrano chiaramente che il sotto-investimento è ormai finito. A partire dal XIII secolo la comparsa di fonti dirette permette di valutare meglio gli investimenti nelle campagne. La seconda fase dei grandi dissodamenti, di cui parleremo più avanti, che vide la nascita di nuovi terreni agricoli e di «villenove», avrebbe potuto più difficilmente concepirsi senza l’apporto di capitali. Una nuova preoccupazione del guadagno e i primi segni dell’idea del profitto si diffondono fra la classe signorile. Soprattutto i signori ecclesiastici mettono a frutto i capitali di cui dispongono. La «signoria di banno» fornisce, come vedremo (2. La signoria rurale (XI-XIII secolo)), a chi ne usufruisce, tutta una nuova serie di proventi economici. I mulini continuano a crescere di numero e in una fase di espansione demografica ciò vuol dire proventi in rialzo. In un secondo momento, nell’Italia centro-settentrionale, saranno gli uomini d’affari delle ricche e popolose città comunali a spostare in campagna capitali guadagnati nel commercio o nella banca, che rimangono tuttavia le loro attività preminenti.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06