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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


2. Gli uomini e lo spazio coltivato

4. La grande battaglia contro il bosco, l’incolto, le paludi, il mare

La lotta che l’uomo ha condotto tra la fine del X secolo e il XIII contro la natura selvaggia per meglio dominarla è senza dubbio uno dei grandi avvenimenti della storia. L’arretramento delle foreste e l’avanzamento degli spazi coltivati assumono ora un ritmo nettamente più intenso. Per quanto sia difficile fissare zona per zona le fasi del fenomeno, il secolo XII fu secondo il Duby il momento culminante delle bonifiche e dei diboscamenti. Miglioramenti tecnici degli strumenti del boscaiolo e una organizzazione più razionale del lavoro permisero di ridurre a coltura non solo le sterpaglie, le foreste più degradate da un intenso sfruttamento degli uomini e dai danni del bestiame, ma anche le vere e proprie «foreste impenetrabili», come la Laye, la Bière, la Loge. Intorno al XIII secolo ciò che è rimasto di queste compatte distese è ormai indicato con il nome dell’abitato più vicino, segno evidente della frammentazione da loro subita: foresta di Rambouillet, foresta di Fontainebleau, foresta di Saint-Germain-en-Laye, foresta d’Orléans.

L’ampliamento dello spazio coltivato avviene sia estendendo i confini del vecchio territorio del villaggio, sia creando nuovi territori e nuovi villaggi. Le nuove fondazioni diventano, spesso, a loro volta, il punto di partenza per una nuova colonizzazione e gli agglomerati contadini sorti a quell’epoca sono ancor oggi riconoscibili dal loro nome: «villenove», bourgs delle province francesi dell’ovest, abergements della Francia orientale (Borgogna soprattutto), bastides delle province francesi del sud-ovest, e, nei paesi di lingua tedesca, i tanti nuclei abitati contrassegnati da un nome d’uomo e dal suffisso berg, feld, dorf, rode, reuth. Se per allargare la radura del vecchio villaggio era sufficiente spostare un po’ di mano d’opera sul terreno in precedenza sgombrato dalla vegetazione — soluzione si può dire «automatica» in una fase di popolazione crescente — la creazione di un nuovo villaggio implicava un processo più complesso, quanto meno, di regola, la deliberata volontà dei detentori del potere, fossero re, signori laici o ecclesiastici, comuni italiani. Frutto invece di iniziative individuali, signorili o contadine, è il diffondersi di abitazioni isolate nelle campagne, l’affermarsi di un «popolamento intercalare» (G. Duby). In Francia questo tipo di abitato, eccezionale fino al 1100 circa, pare in seguito farsi meno raro e addirittura moltiplicarsi verso il 1200-1225. In Toscana esso è strettamente connesso con il passaggio delle terre nelle mani dei cittadini, con la maggior sicurezza che la città assicura alla campagna, con la nascita del «podere» mezzadrile. Nelle zone più evolute della regione la nuova forma di insediamento è già evidentissima e affermata verso la metà del Trecento.

Meglio informati siamo sulle imprese collettive di dissodamento più difficili. Quando il posto era solitario o il terreno ingrato e da prosciugare, sì che il signore era obbligato, per attirare coltivatori, a tutto un lavoro di preparazione, egli cercava dei soci e stringeva con loro dei patti scritti che ci informano sull’avvenuto. A volte il socio era un «ministeriale», un membro della familia signorile, cui veniva demandato il compito di dirigere tutta l’operazione. Frequenti in Francia erano anche i contratti di pariage [DOC. 10] fra due signori, spesso un laico e un ecclesiastico. Uno mette nella società la terra da bonificare e i connessi diritti di bannalità, l’altro si impegna a reclutare gli uomini e il denaro per il loro insediamento. I profitti vengono divisi a metà. Particolarmente diffusa nelle terre della Germania orientale dalla metà del XII secolo è invece l’associazione tra i grandi signori e tutta una varietà di locatores, familiari, chierici, laici, abitanti delle città, forniti di un modesto capitale da far fruttare. «Viene loro assegnato uno spazio deserto da dividersi in un numero di poderi fissato in precedenza, e ad essi spetta il compito di delimitare le quote, raccogliere gli immigrati e insediarli. Per la loro fatica ricevono un cospicuo lotto di terra e una parte dei diritti signorili riscossi nel villaggio che hanno contribuito a far sorgere» (G. Duby). Spesso alla base delle nuove fondazioni stanno insieme moventi di natura politica ed esigenze di natura economica. Molte bastides costruite nel XIII secolo lungo le frontiere ebbero funzioni militari. L’insediamento di forti comunità contadine nelle zone boscose o deserte era un modo per rendere le strade più sicure. Le «terre nove» o i «borghi franchi» istituiti dai comuni cittadini italiani furono di regola un mezzo per combattere la feudalità del contado. Nelle zone periferiche, sulle principali vie con le città antagoniste, qualche volta a «coppie contrapposte», sorsero degli insediamenti a carattere militare. La carta di fondazione di molte «villenove» francesi, qualcuna poi cresciuta fino ad assumere caratteristiche di città, garantiva alle nuove entità esenzione o riduzione dei pedaggi e delle gabelle. Frutto della vitalità agricola e della espansione demografica, le «villenove» si inseriscono nello stesso tempo in quello sviluppo economico e in quella ripresa degli scambi di cui la crescita delle città costituisce l’aspetto più appariscente.

Tra i secoli IX e XI la migrazione dei tedeschi si era diretta verso il sud-est e l’Austria, e l’Elba costituiva nella parte settentrionale del paese la frontiera tra germani e slavi. La avanzata verso le meno popolate contrade al di là del fiume cominciò nel XII secolo, sotto la spinta dell’incremento demografico. Tre furono le linee di penetrazione: lungo la costa del Baltico, attraverso Meklemburgo, Brandeburgo, Pomerania e Prussia; verso la Sassonia, la Lusazia, la Slesia, e l’Erzgebirge; infine verso la Transilvania. L’acme della migrazione fu raggiunto tra il 1210-1220 e il 1300 circa. Essa fu favorita dai principi tedeschi per ragioni politiche oltre che economiche e da vescovi e ordini religiosi o religioso-cavallereschi come cistercensi, premostratensi, Cavalieri Teutonici. Si ritiene che anche in Germania, come in altre regioni, un ruolo più particolare nella lotta contro l’incolto abbiano avuto i cistercensi, la cui organizzazione, con la gestione diretta e centralizzata, con le grandi aziende agricole («grange») [1], con l’impiego nei lavori agricoli di fratelli laici («conversi») o di salariati, rappresentò una novità rispetto alle altre grandi proprietà laiche o ecclesiastiche. Ma su questo problema la discussione «è aperta» (Slicher Van Bath). La regola imponeva a questi monaci di costruire i loro monasteri nelle solitudini, ma per la Bassa Sassonia si sa di monasteri che ricevettero terre a coltura per la cui bonifica i monaci non ebbero quindi alcun merito.

Le terre slave conobbero anche una forte colonizzazione interna. Nel XII secolo nei territori polacchi le superfici arative si allargarono notevolmente a scapito delle vaste foreste che separavano l’uno dall’altro gli insediamenti umani nell’alto Medioevo. Le fonti rivelano anche un accrescimento del numero delle aziende contadine e ciò par significare, non diversamente da quanto riguarda il resto del continente, una crescita demografica. Certo non tutto il mondo slavo presenta, nel XIII secolo, lo stesso livello di sviluppo. In Russia, soprattutto nella «zona delle foreste», l’abitato è a maglie molto rade, «raggruppato in isolotti tra i grandi spazi boschivi» (A. Gieysztor). Del resto, anche lo sviluppo del mercato, pur presentando la stessa genesi e gli stessi fattori di crescita, è in ritardo rispetto alle terre degli slavi occidentali.

Più difficile e più incerta è spesso la lotta contro le acque, le paludi, il mare. L’episodio più illustre è in questo campo la costruzione dei polders della Fiandra e della Zelanda, ma contro le acque marine lottarono con successo anche gli inglesi nei Fens, i bretoni e gli abitanti del Poitou. La Fiandra marittima era almeno parzialmente abitata in età preistorica e romana e in uno strato di torba, due o tre metri sotto l’attuale superficie del suolo, sono stati rinvenuti manufatti di quei periodi storici. Un lungo e lento processo, culminato probabilmente all’inizio del V secolo, aveva ricondotto il mare sulle terre più basse depositandovi sabbia e argilla. Per questo i franchi invasori evitarono la pianura stabilendosi nella Fiandra più interna. Solo lentamente il mare si ritrasse, ma nel IX secolo pare che il processo fosse ormai avanzato. Si costituì una linea di dune sabbiose spezzettate in una serie di isolotti, dietro la quale si stendeva una piana alluvionale, poco al di sotto del livello dell’alta marea. La costruzione di una serie di dighe avrebbe potuto permettere la bonifica della piana. Gli isolotti accolsero presto una serie di villaggi, come Dunkerque, la «chiesa delle dune». Sugli isolotti i conti di Fiandra fondarono castelli e abbazie. Dal X-XI secolo l’espansione demografica e la necessità di moltiplicare i mezzi di sussistenza accelerarono l’opera naturale di colmata.

Al pari che sulle lagune (meersen, broeken), sulle terre alluvionali vigeva il potere dei conti e furono conseguentemente i conti o le abbazie da loro beneficate che portarono avanti l’opera di redenzione delle terre. L’impresa necessitava di tutta una tenace opera collettiva di collaborazione degli abitanti dei nuovi insediamenti, gli «ospiti», con i loro signori, e dei contadini fra loro. Una grande marea d’equinozio poteva tutto distruggere, perciò prima dell’inizio d’ottobre (festa di Saint Remi), gli «ospiti» erano obbligati a riparare dighe e fossati [DOC. 9]. Altri obblighi comunitari e di collaborazione fra coltivatori e signori riguardavano il Watergang, cioè il costoso processo di drenaggio e di scorrimento delle acque. In un primo tempo i polders, non sufficientemente drenati e ancora troppo salati, venivano utilizzati per il pascolo. La loro coltivazione cominciava solo in un secondo momento. Verso la metà del secolo XI i progressi erano già considerevoli. Dal secolo successivo nell’estuario della Schelda e lungo la costa del Mare del Nord su tutta una serie di polders più vecchi l’allevamento lasciava progressivamente il posto alla coltivazione.

In Italia una grande e secolare opera di prosciugamento delle terre acquitrinose e di drenaggio delle acque, iniziata già nel IX o X secolo, si ebbe nella pianura padana. Alla fine del XV secolo Philippe de Commynes rimase stupito della sistemazione idraulica della pianura lombarda e della sua fertilità e paragonò proprio alle Fiandre il paesaggio lombardo tutto disseminato di fossati. Certo nella lotta contro le acque non ovunque i risultati furono i medesimi e ciò dipese dalla varietà della densità demografica, da una maggiore o minore necessità di approvvigionamento granario, da una maggiore o minore disponibilità di capitali, ma una parte notevole di responsabilità va certo attribuita alle insufficienti capacità tecniche di quel tempo. Ancora a metà del XVI secolo nei territori veronese e padovano i campi vallivi, paludosi, incolti rappresentavano rispettivamente il 14,6% e il 25% della terra.

A nord di Ravenna si estendeva, ancor dopo la fine del Medioevo una grande laguna, l’interno era malsano e le spiagge deserte. Anche nel Ferrarese, parzialmente bonificato nel Medioevo, i bacini compresi tra i dossi fluviali e tra questi e le vecchie dune sono stati redenti solo in epoca moderna mediante colmate ed eliminazione delle acque con mezzi meccanici.

[1] Il termine (in franc. grange) deriva dal latino granica, cella adibita a deposito del grano (G. Penco). Può essere interessante conoscere le dimensioni di qualche proprietà cistercense. Nella Bassa Sassonia la proprietà dei monasteri variava da 400 a 1400 ettari. Ognuno poteva annoverare quattro grange, ma anche una decina o più. L’abbazia belga di Villiers giungeva a ventuno. Sempre per il Belgio sappiamo che quella di ter Duinen possedeva 10.560 ettari di terra. Meno ricchi erano i monasteri di più recente fondazione. Gli investimenti di capitale risultano notevoli. In Belgio il granaio dell’abbazia di ter Does presso Bruges era lungo 58 metri, largo circa 24 e alto circa 31, il bestiame di quella di Cambron comprendeva 169 vacche e buoi, 426 vitelli, 636 maiali, 4243 pecore.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06