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Agricoltura e società nel Medioevo

di Giovanni Cherubini

© 1972-2006 – Giovanni Cherubini


3. Signori, contadini e borghesi

5. Le difficoltà contadine. Proletarizzazione rurale e proprietà cittadina nell’Italia centro-settentrionale

A partire dal secolo XIII il mondo contadino diventa sempre più largamente campo di sfruttamento per usurai, ebrei e mercanti, mentre vede al tempo stesso accentuarsi le differenziazioni al suo interno ed emergere sulle sfortune dei più una classe di kulak. Anche per i contadini il bisogno di denaro è cresciuto e la circolazione del numerario si è fatta molto più vivace. Il denaro è necessario per migliorare l’azienda, acquistare bestiame o terre che rincarano di continuo, per comprare le franchigie e le «libertà» che i signori mettono in vendita, per rifornirsi dei beni e degli attrezzi prodotti dagli artigiani della città, del borgo o del villaggio, per soddisfare infine le richieste di una crescente fiscalità. Molti contadini ricorsero ai prestatori «e la moltiplicazione dei crediti rurali figura fra le più sicure testimonianze dell’espansione economica di quel tempo» (G. Duby). Fra i prestiti, i più frequenti sono quelli per il consumo immediato. L’acquisto di stoffe a credito era del resto un fenomeno normale. In un piccolo borgo della regione di Namur, dei finanzieri «lombardi» — di loro sono piene le campagne della Francia orientale, il Delfinato, la Lorena, l’Hainaut — stipularono con contadini, tra il 1295 e il 1311, una serie di prestiti a breve scadenza che si concludevano in sostanza con l’operazione particolarmente esosa, ma diffusissima, dell’acquisto anticipato delle messi. A Perpignano erano invece gli ebrei a percorrere le campagne e si è calcolato che intorno al 1300 il 65% dei loro crediti erano stati contratti con dei campagnoli. Prestiti camuffati rappresentano spesso i vari contratti — bail à cheptel nella Francia settentrionale, gasaille in Provenza, «sòccida» in Italia — con i quali i ricchi, signori o borghesi, anticipavano denaro ai contadini perché potessero costituire o aumentare il loro armento. Talvolta i contadini in difficoltà si rivolgevano invece a un vicino più agiato. Numerosi prestiti di questo tipo sono stati segnalati dal Duby per i villaggi provenzali. Rimborsabili in numerario o in grano — quest’ultimo al prezzo del mese di maggio — servivano per l’acquisto di un bue, di un asino, di una casa, di cereali. Si impegnava, di volta in volta, la casa o la terra, ma anche il raccolto futuro, talvolta il raccolto di un certo numero di anni, che sarebbe servito a restituire a rate il debito. Con questo tipo di transazione, che si diffonde largamente dalla metà del XIII secolo, il debitore accende sul proprio fondo, in cambio di una fornitura immediata di denaro, una rendita in natura, a favore del creditore, della durata di quattro, dieci, venti anni. Nella letteratura il tipo del contadino ricco compare abbastanza spesso: «ce ne sono parecchi nel Roman de Renart, e sono i nemici personali dell’eroe» (J. Le Goff).

Anche altrove la società contadina appare sempre più articolata e differenziata. Da un censimento inglese del 1279 risulta che solo il 20% circa dei villani e il 10% circa dei livellari liberi possedevano un’estensione di terra sufficiente a farli classificare come contadini agiati. Aumenta, fra i contadini, il numero di coloro che per lavorare hanno solo le braccia: in Francia manouvriers o brassiers, in Inghilterra «i poveri cottiers che si procurano di che vivere con il lavoro delle braccia». Per un piccolo villaggio dell’Appennino, vicino alle sorgenti del Tevere, mi è stato possibile contare 81 prestiti — l’elenco è sicuramente incompleto — contratti con un usuraio dai compaesani o da abitanti dei villaggi circostanti tra il 1302 e il 1315. Anche in questo caso si trattava di prestiti di consumo. Il prestito si innestava talvolta a una speculazione sul prezzo dei cereali, sottoposti come nessun altro prodotto a forti variazioni. A far emergere nella comunità rurale queste figure di contadini ricchi aveva del resto contribuito, fin dalle soglie dell’XI secolo, la signoria stessa. Villici, servientes incaricati della riscossione di gabelle ai ponti o sui mercati, mugnai o guardaboschi, non diversi dagli altri contadini per la loro posizione giuridica, misero a profitto le loro funzioni particolari, che divennero talvolta ereditarie, e dettero vita ad un ceto di semiliberi benestanti. Alcuni di loro divennero cavalieri e ammassarono grandi ricchezze, finendo per minacciare la posizione stessa del signore.

In Francia lo sfruttamento del contadino da parte dei prestatori sembra assumesse soprattutto la forma della costituzione di rendita, che appare nel corso del XII secolo, si diffonde lentamente nella prima metà del XIII e diviene d’uso universale nella seconda. Il meccanismo dell’operazione, semplicissimo, offriva al capitale un impiego sicuro perché la mancata corresponsione degli interessi consentiva al creditore di impadronirsi del bene sul quale era stata costituita la rendita. Le rendite erano inoltre commerciabili e il loro mercato era sempre vivace. Fu questa una strada per cui i detentori di numerario — in primo luogo, sembra, signori e clero, più che borghesi e contadini ricchi — investirono capitali nelle aziende contadine e presero parte attiva e diretta alla produzione agricola. In cambio della somma di cui aveva bisogno, il contadino infatti costituiva sul suo allodio o sulla sua tenure una rendita annua e perpetua, oscillante tra il 5 e l’8% della somma prestata. Tali interessi venivano pagati in denaro, ma molto spesso anche in grano.

Il malessere e le difficoltà contadine vengono rivelate anche da un altro fenomeno, sostanzialmente comune a tutti i paesi del continente nonostante le molte varietà locali e la possibile diversa intensità. Si tratta della trasformazione che i signori riuscirono talvolta a imporre, almeno sulle terre «a censo» divenute vacanti, delle concessioni ereditarie in concessioni a tempo breve o revocabili a volontà del padrone. Con tale meccanismo, che a differenza di quel che accadeva nelle concessioni ereditarie poneva il coltivatore nella condizione di un nullatenente, al signore era possibile adeguare il fitto alle variazioni della produzione. Così, nella seconda metà del XIII secolo, vediamo moltiplicarsi nelle signorie inglesi le concessioni per cartam, cioè i contratti a tempo breve. La chiesa di Ely riuscì a triplicare il loro gettito tra il 1251 e il 1336. Nel 1342 questo rappresentava il 57% dei canoni. Gli ultimi quarant’anni del Duecento vedono anche molti contadini dei Costwolds perdere l’ereditarietà delle loro terre e divenire affittuari a tempo. Il sistema della concessione temporanea è largamente utilizzato in questi anni anche nei polders fiamminghi. La Germania occidentale conosce soprattutto aziende contadine affittate a nove, dodici o ventiquattro anni. In Baviera si afferma nel corso del secolo il Freistift, che è una specie di tenure revocabile (di fatto, pur riconcedendola di regola al solito detentore, il signore otteneva ogni anno da lui un dono e un ritocco al censo).

Anche i monasteri italiani cercarono di imporre sempre più concessioni a breve termine. La signoria milanese di Sant’Ambrogio quasi raddoppiò in tal modo l’ammontare dei suoi canoni nel comune rurale di Origgio tra il 1250 e il 1320. In Toscana l’abbazia cistercense di Settimo affittava nel 1338 quasi tutte le sue terre con contratti non più lunghi di cinque anni.

Georges Duby osserva che solo la circolazione del denaro e l’aumento della popolazione avrebbero potuto determinare novità così sfavorevoli per i contadini. Per l’Italia va osservato che sui tempi precisi e il ritmo di questi fenomeni non siamo ancora informati mentre ne conosciamo abbastanza bene, nel complesso, le risultanti finali. Ma non par da escludere che quel fenomeno di proletarizzazione contadina, così caratteristico e così profondo nelle campagne dell’Italia centro-settentrionale, si sia verificato in larga misura, almeno nelle campagne fiorentine, tra la fine del Duecento e la prima metà del Trecento, in concomitanza cioè con quei «tempi difficili», con le carestie generali e col momento di massima fame di terra. Tra il 1281 e la metà del XIV secolo la badia di Passignano finisce per riacquistare le terre allivellate ai contadini del villaggio di Poggialvento, spogliandoli poco a poco delle loro tenures e l’operazione pare accelerarsi negli anni di carestia. Anche nel territorio dell’Impruneta, abbastanza vicino al precedente, la ricchezza dei contadini indipendenti si assottiglia di continuo nella prima metà del XIV secolo, come ha dimostrato recentemente David Herlihy. Per tutto il contado fiorentino sono del resto rivelatori alcuni rapporti delle commissioni incaricate di sottoporre il contado all’imposta fiscale. Nel 1329 si riferisce che gli abitanti di sessantacinque parrocchie rurali erano così impoveriti che senza un alleggerimento dell’imposta sarebbero stati costretti «ad andare mendicando per il mondo». Nel 1339 si ritiene impossibile imporre alle campagne la somma fiscale preventivata, perché le famiglie più povere sono incapaci di venire incontro alle richieste del fisco. Esse «hanno venduto i loro beni e le loro proprietà a cittadini fiorentini ed anche a chierici, e sono ancora oppresse da vari e diversi debiti usurarii».

Le terribili carestie rendono intollerabile una situazione giunta al limite di rottura. Per il contado di Arezzo è stato possibile intravedere sui documenti i pesanti effetti di quella del 1346-1347. Si incontrano contadini indebitati con usurai, con uomini d’affari della città, con monasteri. Si vede perfettamente la loro impossibilità di pagare l’affitto della terra o la necessità assoluta di vendere le loro proprietà per sopravvivere, oppure di sottostare a un peggioramento contrattuale. A un miglioramento — miglioramento relativo dati i bassissimi livelli di vita del contadino — durato forse un mezzo secolo o qualcosa di più, non è escluso che succeda, almeno in Toscana, un nuovo peggioramento a partire dal terzo o quarto decennio del XV secolo, quando la popolazione riprende a salire. Queste oscillazioni altrove appaiono chiarissime. In alcuni manors inglesi i salari degli operai agricoli salgono sensibilmente nella seconda metà del Trecento.
Nelle campagne fiorentine si tratta soprattutto, per i contadini del Quattrocento, di un peggioramento contrattuale nei rapporti col proprietario [DOC. 27], perché a tale data ben poca terra è ormai rimasta ai coltivatori. Il catasto fiorentino del 1427 ha infatti consentito a Elio Conti di rilevare che nei dintorni di Firenze i contadini possedevano ormai percentuali di terra oscillanti tra il 2,9 e il 7,9; poco più del 4% era loro rimasto nella Valdipesa, il 12,8% nella Valdigreve, il 12% nella Valdimarina. Il passaggio delle terre contadine ai proprietari cittadini pare non si fosse interrotto neppure nella seconda metà del Trecento — questo osserva per il territorio dell’Impruneta David Herlihy — e alla scarsa competitività della piccola proprietà rurale, sfornita di capitali e di bestiame, ben poco sollievo doveva aver portato la recessione demografica, che rappresentò forse addirittura un peggioramento. Per altre regioni italiane gli studi non sono così precisi e soprattutto riguardano una situazione più tarda. Forse in alcune località marginali e arretrate, come risulta per una piccola zona delle Marche, la spoliazione dei contadini avvenne realmente più tardi, nel corso del XV secolo. In ogni modo per la Lombardia o il territorio padovano, o le campagne cremonesi, o il contado lucchese, i risultati appaiono, tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’età moderna, più o meno gli stessi. Molto meglio la proprietà contadina, la piccola proprietà del contadino-allevatore, resiste nelle zone di montagna.

Non si creda che questo processo si fosse compiuto tutto grazie alla spoliazione dei contadini da parte degli abitanti della città. Molto spesso la differenziazione, come del resto anche altrove nel continente, avviene in campagna. Solo che i contadini agiati, i piccoli borghesi di campagna — naturalmente non loro soltanto — abbandonano le zone di origine per spostarsi in città, spesso conservando la proprietà avita. Il fenomeno è documentato per l’età comunale a Firenze, Lucca, Pisa, Genova, Bologna, Modena, Brescia. In tal modo, anche per un’altra via, la campagna diventa il mondo dei poveri, mentre la città, pur con le sue violente sperequazioni interne e le sue turbe di miserabili, diventa il mondo della ricchezza.

Anche nelle regioni in cui all’inizio del Trecento i contadini avevano conservato una presa maggiore sulla terra, gli effetti provocati dall’alleggerimento della pressione demografica non pare avessero modificato le tendenze precedenti. Allorché è possibile studiare la ripartizione della ricchezza contadina, la differenziazione interna delle comunità sembra continuare anche nella seconda metà del XIV secolo. Nel manor inglese di Weedon Beck la crescita demografica aveva prodotto tra il 1248 e il 1300 lo spezzettamento di un gran numero di tenures e accresciuto il numero dei contadini poveri. Sessantacinque anni più tardi il numero dei coltivatori risulta diminuito, ma il raggruppamento di alcune tenures aveva portato alla formazione di una decina di proprietà soltanto superiori alla media. Più chiara ancora la tendenza che risulta per le terre del monastero di Stoneleigh, nei Midlands. Mentre nel 1280 solo il 2% dei contadini possedeva una tenure superiore a diciotto ettari, nel 1392 essi erano diventati il 23%. Tendenze dello stesso genere sono rintracciabili nella contea di Leicester e, al di qua della Manica, in Sologne. Per quanto le comunità rurali si sforzassero di impedirlo, le grosse aziende contadine continuarono a progredire sulle rovine dei più. Per l’Inghilterra risulta che nel 1377 e nel 1381 la maggioranza dei salariati, numerosissimi in certi villaggi, lavorava per contadini agiati. Anche per la Francia l’impoverimento contadino appare qualche volta molto chiaro e strettamente collegato alle vicende della guerra dei cent’anni. Per esempio il diritto di pascolo nella foresta di Neubourg fruttava al suo titolare 23 lire nel 1397-1398, ma solo 5 lire e 15 soldi nel 1437-1438, 3 lire e 11 soldi nel 1444-1445. Mentre all’inizio di questi cinquant’anni i contadini inviavano al pascolo più di 2000 porci, alla fine i contadini ve ne spingevano 430 soltanto.

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UpUltimo aggiornamento: 26/06/06