Logo di Reti Medievali 

Didattica

spaceleftMappaCalendarioDidatticaE-BookMemoriaOpen ArchiveRepertorioRivistaspaceright

Didattica > Strumenti > La predicazione nell'età comunale > 11

Strumenti

La predicazione nell'età comunale

di Carlo Delcorno

© 1974-2005 – Carlo Delcorno


11. San Tommaso e la sua scuola

Tommaso d'Aquino (1225-1274) ebbe un influsso determinante sullo sviluppo della predicazione medievale, non tanto perché egli sia stato un grande maestro di eloquenza [1], ma per il rinnovamento radicale che egli provocò nella cultura del suo tempo, e in particolare del suo Ordine. I suoi biografi, soprattutto Guglielmo di Tocco, danno notizie abbastanza generiche sulla sua predicazione; i cataloghi antichi delle Biblioteche registrano un ciclo di Sermones de Sanctis e di Sermones dominicales et festivi, che non sono stati rintracciati. Fatalmente, a partire dal XVI secolo fino a tempi recenti, si attribuirono all'Aquinate e si stamparono tra le sue opere centinaia di prediche che, nella migliore delle ipotesi, sono di mano dei suoi allievi. Autentici sono pochi sermoni conservati in raccolte antologiche molto antiche (XIII-XIV secolo), che conservano la predicazione universitaria dei grandi filosofi della Scolastica. In questi sermoni, per lo più destinati agli studenti degli Studia domenicani (e particolarmente agli studenti parigini di Saint Jacques) non vi è nulla di semplice né di popolare, nulla di banale. Il prothema, la parte più elegante e difficile della predica medievale, non manca mai.

Spesso san Tommaso utilizza il sermone come il mezzo più adatto a sintetizzare e a propagandare certe posizioni dottrinali: predicando sul versetto Ecce rex tuus tibi venit mansuetus (Matteo 21, 5) a Parigi nella prima domenica d'Avvento del 1270, egli espone con insuperata chiarezza la sua dottrina della Regalità di Cristo (v. TESTO N. 16): Il Sermo de Eucharistia, recitato il Giovedì Santo «in consistorio coram Papa Urbano [IV] et cardinalibus» è di un eccezionale interesse, se si pensa che quel papa, istituendo la festa del Corpus Domini (1264), diede all'Aquinate l'incarico di scrivere l'Ufficio liturgico (del quale fa parte il Pange, lingua). Non mancano altri resti della predicazione che san Tommaso tenne in Italia (1259-1268): così un sermone «editus in domo Praedicatorum Bononie, coram Universitate» e un altro « editus Mediolani coram clero et populo civitatis»: entrambi per la prima domenica dell'Avvento. Purtroppo non possediamo la redazione originaria del Quaresimale tenuto a Napoli nel 1273, ma, come è noto, il materiale di quella predicazione fu rifuso nell'esposizione del Credo, stampata tra gli Opuscula theologica. Proprio quest'opera viene esplicitamente citata (e con essa il Commentario di san Tommaso sulle Sententiae) dal beato Ambrogio Sansedoni, di boccacciana memoria (cfr. Decameron VII, 3), che fu compagno di Studi dell'Aquinate alla scuola di Alberto Magno, a Colonia e a Parigi, e poi insegnante negli Studi della Provincia Romana. I Sermones dominicales di Ambrogio, inediti, pur essendo ridotti a schematici appunti ad uso degli scolari, sono meno anonimi di quelli raccolti in altri sermonari: vi sono tracce di movenze e atteggiamenti propri di una predicazione popolare, addirittura resti di locuzioni senesi; riferimenti geografici precisi. Vi si parla ad esempio del Bulicame, un laghetto solforoso presso Viterbo, al quale Dante (Inferno XII, 117 e XIV, 79) paragonerà il Flegetonte.

In Italia la dottrina tomista trovò un importante canale di diffusione proprio nell'omiletica: Aldobrandino Cavalcanti, Aldobrandino da Toscanella e Remigio de' Girolami sono tra i maggiori responsabili dell'opera di volgarizzamento del tomismo soprattutto nell'àmbito della cultura fiorentina di fine secolo. Il Cavalcanti (1217-1279), che fu più volte priore di Santa Maria Novella, è personaggio di rilievo nella storia politica e culturale di Firenze: fu lui a chiamare quale paciere tra Bianchi e Neri il domenicano cardinale Latino Malabranca; egli promosse la costruzione della nuova chiesa di Santa Maria Novella, capolavoro dell'architettura gotica. Gli studi recenti del Kaeppeli hanno indicato nel Cavalcanti il vero autore di gran parte dei sermoni stampati sotto il nome di san Tommaso. Non è chiaro come si sia determinato lo scambio, ma di per sé il fatto indica il livello intellettuale di questo predicatore. Non si sa ancora nulla dei Sermones quadragesimales, una raccolta che giace inesplorata in un codice del Museo Nazionale di Budapest. L'orazione funebre per le esequie di Aldobrandino fu pronunciata da fra Remigio de' Girolami (c. 1245-1319), ed è una delle più antiche che ci siano giunte di questo grande oratore di parata. Nato da una famiglia dell'antico patriziato cittadino, partecipe della vita politica del Comune [2], Remigio è uno degli uomini più autorevoli di Firenze nell'età di Dante. Dopo avere ascoltato le lezioni di san Tommaso a Parigi (1269-1272), egli insegnò a lungo nel convento di Santa Maria Novella, esponendo le dottrine del maestro (dal 1273-1274 alla morte). Si è a lungo discusso sulla possibilità che Dante, il quale in alcuni passi del Convivio (IV xi 8 e xii 5 e 8) e in Inferno (VII, 56-57) sembra rifarsi a precisi luoghi del De peccato usure di Remigio, abbia seguito le sue lezioni; ma i pareri su questo problema restano discordi. Il Girolami è un oratore attento ai fatti politici che si svolgono in Firenze: a volte egli può sembrare superficiale e vanitoso, ma nelle sue parole vi è sempre una sincera preoccupazione per la grandezza e la libertà fiorentine, per il bene comune, cioè la pace, minacciati dalle fazioni politiche. Molte delle sue prediche furono tenute in occasioni storiche, quando re, papi e signori venivano accolti in Santa Maria Novella. Così nel 1281 egli salutò l'arrivo di Carlo I d'Angiò, nel 1294 accolse Carlo Martello, una delle più alte amicizie di Dante, ricordata in Paradiso VIII, 33 ss.; nel 1301 si rivolgeva a Carlo di Valois, che proprio nel convento domenicano riceveva la signoria e la difesa della città. Nel 1294-1295, in momenti burrascosi, egli si rivolse francamente ai priori esponendo idee politiche riprese più ampiamente nel De bono pacis e nel De bono communi. In confronto ai sermoni d'occasione, i cicli legati alla liturgia (Sermones de Sanctis, de Tempore, il Quadragesimale) sembrano più scialbi e banali; ma la fatica della lettura di questi testi ancora inediti è ripagata dalla scoperta di pagine personalissime, aperte su una realtà quotidiana colta con sicuro piglio realistico.

Aldobrandino da Toscanella († 1314), lettore nei conventi di Pisa, Pistoia, Siena e Viterbo tra il 1287 e il 1292, è autore di due famosi sermonari (De Sanctis e De Tempore), citati ancora nel XV secolo da Nicola di Cusa, il quale fregiò questo predicatore dell'epiteto di «vir intelligens», quasi a sottolineare la sua soda cultura filosofica. Aristotile è spesso citato con precisione nei sermoni di Aldobrandino, che scrive soprattutto per i suoi allievi dei conventi toscani; vi sono passi interi che derivano ad verbum da san Tommaso. Con Aldobrandino la tendenza a trasformare la predica in trattato (già notata a proposito dell'esposizione sul Credo di san Tommaso) diventa sempre più evidente [3]. Infatti gran parte della sua predicazione ci è giunta in forma di trattato: l' Expositio decem preceptorum deriva da un quaresimale; l' Expositio orationis dominice, cioè la spiegazione del Pater Noster, da un altro ciclo di prediche. Alcuni trattati per nostra fortuna sono conservati in duplice redazione, cioè la forma omiletica e quella rimaneggiata a trattato: è il caso delle Collationes de peccatis e della Scala fidei.

[1] A torto gli si attribuì un Tractatulus solennis de arte et vero modo predicandi, più volte stampato nel XV secolo.

[2] I Girolami sono tra i mallevadori di parte guelfa nella Pace del Cardinal Latino (1280).

[3] Anche il popolarissimo Libellus de ludo scaccorum , volgarizzato in tutte le lingue europee, compreso l'italiano, non è altro che un ciclo di prediche tenute «ad populum» da Jacopo da Cessole, vissuto verso la fine del Duecento nel convento domenicano di Genova. In esso il gioco degli scacchi è interpretato moralmente e si risolve in una serie di ammonimenti alle diverse classi sociali.

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 02/07/2005