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Didattica > Strumenti > Bisanzio. Società e stato - 7

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Bisanzio. Società e stato

di Jadran Ferluga

© 1974 – Jadran Ferluga


7. Lo smembramento dello stato

Il primo decennio del XIII secolo segna una svolta decisiva e radicale nello sviluppo dell'impero bizantino. La caduta della capitale (1204) nelle mani dei Veneziani e degli altri partecipanti alla IV crociata portò allo smembramento dello stato e alla fondazione di un impero latino su buona parte del territorio di Bisanzio. Checché si sia detto o scritto, l'impero bizantino non riuscì mai più a ricostituirsi nei vecchi confini, non ebbe mai più la forza di imporsi come prima e non ritornò mai più a essere una potenza sul piano internazionale. Conservò il vecchio nome ma di esso non rimase più che l'ombra della grandezza d'un tempo. Era di fatto la fine dell'impero «romano». Ricostituitosi nel 1261, con la riconquista di Costantinopoli da parte degli imperatori che avevano dovuto ritirarsi per un mezzo secolo a Nicea nell'Asia Minore, esso rivelò tuttavia una forza interna sufficiente e una tradizione statale radicata tanto profondamente da permettergli, spesso anche grazie a situazioni esterne favorevoli, di sopravvivere per ancora due secoli e mezzo. Fu un lento e lungo morire di un impero una volta potente e questo fenomeno storico potrebbe avere per molti suoi aspetti un interesse particolare per l'uomo moderno. Dopo che i crociati ebbero occupato nel 1204 Costantinopoli, fondarono l'«impero latino», formazione tipicamente feudale, e spartirono come bottino di guerra i territori bizantini. Venezia fece la parte del leone: cioè prese tutti i porti e le isole vitali sulla rotta marittima per l'oriente, compresi gli stretti e l'ingresso in Costantinopoli, e nella capitale la chiesa patriarcale di Santa Sofia e i tre ottavi della città. I crociati si erano sì spartito l'impero bizantino ma dovettero occupare a mano armata i territori che si erano attribuiti (vedi CARTINA II).

Non sono purtroppo conosciute nei dettagli le spedizioni crociate da cui sorsero i nuovi stati vassalli dell'imperatore latino che risiedeva a Costantinopoli. La Cronaca della Morea ci descrive però l'incontro dei due mondi in Peloponneso. Ai crociati si oppose l'alta aristocrazia bizantina che non aveva evidentemente alcuna intenzione di spartire il potere con i nuovi signori. La media e piccola nobiltà bizantina, quella cioè dei proprietari di pronie, non oppose invece una resistenza duratura ai crociati; al contrario, nel momento in cui questi promettevano di rispettare i loro possedimenti, ereditari o solo vitalizi (le pronie), cessava da parte bizantina ogni opposizione (vedi DOC. N. 23).

Importantissimo era per questo ceto sociale che nulla cambiasse nella situazione dei contadini delle loro proprietà e la Cronaca lo nota con lapidaria brevità; nella versione italiana di essa infatti è detto: «… che li villaggi rimanessero secondo si ritrovavano…». I contadini dunque cambiarono solo padrone (vedi DOC. N. 23).

«In pratica non c'era nessuna differenza fra la pronia bizantina e il feudo occidentale; la struttura economica e i rapporti sociali dell'impero bizantino non erano ormai molto più diversi da quelli dell'occidente e questo facilitò considerevolmente l'istaurazione del dominio latino» (Ostrogorsky).

L'impero bizantino fu smembrato, le forze centrifughe già operanti nel secolo precedente subirono nuovi impulsi, la disgregazione e la divisione feudale aumentarono. Nei Balcani si formarono dapprima alcuni centri minori, per esempio il Peloponneso sotto Leone Sguro, fino a che non ebbe il sopravvento l'Epiro che si costituì a stato sotto un despota.

In Asia Minore, grandi signori feudali bizantini si resero indipendenti nella valle del Meandro, intorno a Filadelfia e nel territorio di Mileto nonché nella regione di Trebisonda sita all'estremo angolo del Mar Nero. Alcuni di questi stati e staterelli mostrarono una grande forza e vitalità interna, quale l'impero nell'insieme non possedeva più; anzi taluni fra essi ebbero vita lunghissima – l'impero di Trebisonda per esempio, sotto la dinastia dei «grandi Comneni», sopravvisse di otto anni alla caduta dell'impero bizantino – ma nessuno ebbe la forza di ricostituire l'impero. L'unico tentativo serio, ma di breve durata e senza successo, fu fatto dall'Epiro. La tradizione imperiale e statale fu trasferita in Asia Minore dalla famiglia dei Lascaris che si insediò dopo varie peripezie a Nicea, nota città dell'Asia Minore (oggi Iznik) che in linea d'aria dista appena un centinaio di chilometri da Costantinopoli.

L'ambizione suprema degli imperatori di Nicea, presto riconosciuti da tutti come unici eredi e quindi continuatori di quelli bizantini, fu la riconquista della vecchia capitale e la ricostituzione dell'antico impero. Il nuovo stato ebbe una struttura economica e sociale più solida e più robusta che non il vecchio impero prima della IV crociata. Forse la compattezza territoriale influì, assieme ad altre circostanze di politica estera, sulla solidità statale. L'aristocrazia fondiaria si era in parte rifugiata a Nicea dai territori occupati dai latini, dopo aver perso beni e poderi. Essa entrò al servizio e nell'amministrazione del nuovo stato e servì per lungo tempo con fedeltà gli imperatori, ricevendo da essi terre, e ne sostenne la politica di espansione verso i Balcani e la vecchia capitale. Spina dorsale dell'impero di Nicea, come del resto anche degli altri stati bizantini, furono i proniari, sia greci sia anche stranieri e in particolare latini passati al servizio imperiale. Sembra accertata una prevalenza della piccola nobiltà proniaria con possedimenti terrieri di estensione limitata. Come gli imperatori della famiglia dei Comneni e degli Angeli nel XII secolo, così anche quelli di Nicea non tralasciarono di ingrandire la loro proprietà privata. I latifondi imperiali, eccellentemente amministrati, erano solide basi del potere centrale e di quello personale dell'imperatore. I confini furono rafforzati in parte con stratioti, bizantini o appartenenti a popolazioni barbare, possessori di piccoli appezzamenti terrieri come ai tempi dell'apogeo di Bisanzio, in parte con «acriti» (= akritai), cioè difensori della frontiera e appartenenti alla piccola nobiltà. Anche il commercio fiorì, soprattutto quello con il vicino sultanato dei Selgiuchidi di Iconio, portando grandi profitti allo stato. L'impero di Nicea era sano economicamente e irrobustito socialmente e poté quindi riprendere la politica di riconquista dei territori e della capitale che si trovavano in mani latine. Il potere era più che mai concentrato nelle mani dell'imperatore ed egli amministrava lo stato, cosa che ormai avveniva da più di un secolo, come un bene di famiglia.

Con la continua ma lenta riconquista di parte dell'antico impero aumentò la forza della vecchia aristocrazia fondiaria, che cominciò nuovamente a sollevare la testa e a opporsi alla politica antiaristocratica degli imperatori di Nicea. Altro punto di debolezza fu la mancanza di una flotta e soprattutto la sempre maggiore dipendenza dalle repubbliche marinare italiane, da Venezia e Genova; dipendenza che si manifestava sia nella quasi completa mancanza di una flotta bizantina, necessaria per il dominio sugli stretti e la riconquista dei territori perduti, sia nella impossibilità di esercitare un controllo sul proprio commercio e su quello internazionale. La riconquista della capitale nel 1261 e il rientro a Costantinopoli della corte e del governo videro di fatto la ripresa del potere da parte della grande aristocrazia fondiaria. Suo esponente fu Michele VIII Paleologo (1259-1282), fondatore dell'ultima dinastia che regnò sull'impero bizantino. Malgrado la sua forza interna, malgrado la riconquista di parte degli antichi territori e della stessa Costantinopoli, malgrado la gelosa tutela della tradizione imperiale e statale, l'impero di Nicea fu una potenza di second'ordine e di limitata importanza sul piano internazionale: fu solo l'ombra del potente impero «romano» dei tempi passati.

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UpUltimo aggiornamento: 02/07/05