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Didattica > Fonti > La mercatura medievale > Letture, 10

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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


LETTURE

10. Firenze della prima metà del Trecento nella narrazione di Giovanni Villani [1]

Le spese ferme del comune di Firenze e di necessità per anno; e valeva lire tre e soldi due il fiorino dell'oro. Il salario del podestà e di sua famiglia l'anno lire quindicimila dugentoquaranta di piccioli. Il salario del capitano del popolo e di sua famiglia lire cinquemilaottocentottanta piccioli. Il salario dell'eseguitore degli ordini della giustizia contro a' grandi colla sua famiglia lire quattromila novecento di piccioli. Il salario del conservadore del popolo e sopra gli sbanditi con cinquanta cavalieri e cento fanti fiorini ottomilaquattrocento d'oro l'anno: questo uficio non è stanziale, se non come occorrono i tempi di bisogno. Il giudice dell'appellagioni sopra le ragioni del comune lire millecento di piccioli. L'uficiale sopra gli ornamenti delle donne e altri divieti lire mille di piccioli. L'uficiale sopra la piazza d'Orto san Michele e della Badia lire mille trecento di piccioli. L'uficiale sopra la condotta de' soldati e loro messi lire mille di piccioli. Gli uficiali e notai e messi sopra i difetti de' soldati lire dugentocinquanta di piccioli. I camarlinghi della camera del comune, e loro uficiali e massari e loro notai e frati che guardano gli atti del comune, lire millequattrocento di piccioli. Gli uficiali sopra le rendite proprie del comune lire dugento di piccioli. I soprastanti e guardie delle prigioni lire ottocento di piccioli. Le spese del mangiare e bere de' signori priori e di loro famiglia costa l'anno lire tremilasecento di piccioli. I salari de' donzelli e servidori del comune e campanai delle due torri, cioè quella de' priori e quella del podestà, lire cinquecentocinquanta. Il capitano con sessanta fanti che stanno al servigio e guardia de' signori priori lire cinquemiladugento di piccioli. Il notaio forestiere sopra le riformagioni e il suo compagno lire quattrocentocinquanta di piccioli. Il cancelliere del comune e il suo compagno lire quattrocentocinquanta di piccioli l'anno. Per lo pasto de' lioni, torchi, e candele, e panelli per li priori lire duemilaquattrocento di piccioli. Il notaio che registra nel palagio de' priori i fatti del comune, lire cento di piccioli. I messi che servono tutte le signorie, per loro salario l'anno lire millecinquecento di piccioli. I trombatori, sei banditori del comune, naccherini, sveglia, cornamusa, cennamelle e trombette, in tutto dieci, con trombe d'argento, per loro salario l'anno lire mille di piccioli. Per limosine a' religiosi e spedali l'anno lire duemila di piccioli. Seicento guardie, che guardavano di notte alle poste della città lire diecimilaottocento di piccioli. Il palio di sciamito che si corre l'anno per san Giovanni, e quelli di panno per san Bernaba e per santa Reparata costano l'anno fiorini cento d'oro. Per ispese in spie e messi che vanno fuori per lo comune, l'anno lire milleducento di piccioli. Per ambasciadori che vanno per lo comune, stimati l'anno fiorini cinquemila d'oro, e più. Per castellani e guardie di rocche si tengono per lo comune di Firenze fiorini quattromila d'oro. Per fornire la camera dell'arme di balestra, sagittamento e palvesi, fiorini millecinquecento d'oro. Somma l'opportune spese sanza i soldati a cavallo e a piedi, fiorini quarantamila d'oro o più l'anno. A' soldati a cavallo e a piedi non ci ha regola nè numero fermo, ch'erano talora più e talora meno secondo i bisogni che occorrevano al comune; ma al continuo si può ragionare, sanza quelli della guerra di Lombardia, non faccendo oste, da settecento in mille cavalieri, e altrettanti pedoni continuamente. Non facciamo conto delle mura e de' ponti, e di santa Reparata, e di più altri lavori di comune, che non si possono mettere in numero ordinario.

Dappoich'avemo detto dell'entrate e spese del comune di Firenze in questi tempi, mi pare si convenga di fare menzione di quello e dell'altre grandi cose della nostra città: che i nostri successori che verranno per li tempi, s'avveggano del montare e abbassare dello stato e potenzia 'che facesse la nostra città, acciocché per li savi e valenti cittadini, che per li tempi saranno al governo di quella, per lo nostro ricordo e esempio di questa cronica, procurino d'avanzarla in istato e in maggiore potere. Troviamo diligentemente che in questi tempi avea in Firenze circa venticinquemila uomini da portare arme da' quindici anni infino in settanta, tutti cittadini, intra' quali avea millecinque cento cittadini nobili e potenti che sodavano per grandi al cmune. Aveva allora in Firenze da settantacinque cavalieri di corredo. Bene troviamo che innanzi che fosse fatto il secondo popolo, che regge al presente, erano i cavalieri più di dugentocinquanta, che poiché 'l popolo fu, i grandi non ebbono stato né signoria come prima, e però pochi si facevano cavalieri. Stimavasi d'avere in Firenze da novantamila bocche tra uomini e femmine e fanciulli, per l'avviso del pane che bisognava al continuo alla città, come si potrà comprendere; ragionavasi avere continui nella città da millecinquecento uomini forestieri e viandanti e soldati; non contando nella somma de' cittadini religiosi, e frati e monache rinchiusi, onde faremo menzione appresso. Ragionavasi avere in questi tempi nel contado e distretto di Firenze da ottantamila uomini. Troviamo dal piovano che battezzava i fanciulli (imperocché ogni maschio che si battezzava in san Giovanni, per averne il novero metteva una fava nera, e per ogni femmina una fava bianca) che erano l'anno in questi tempi dalle cinquantacinque alle sessanta centinaia, avanzando più il sesso masculino che 'l femminino da trecento in cinquecento per anno. Troviamo, ch'e'fanciulli e fanciulle che stanno a leggere, da otto a dieci mila. I fanciulli che stanno ad imparare l'abbaco e algorismo in sei scuole, da mille in milledugento. E quegli che stanno ad apprendere la grammatica e loica in quattro grandi scuole, da cinquecentocinquanta in seicento. Le chiese ch'erano allora in Firenze e ne' borghi, contando le badie e le chiese de' frati religiosi, troviamo che sono centodieci, tra le quali sono cinquantasette parrocchie con popolo, cinque badie con due priori con da ottanta monaci, ventiquattro manisteri di monache con da cinquecento donne, dieci regole di frati, trenta spedali con più di mille letta ad allogare i poveri e infermi, e da dungentocinquanta in trecento cappellani preti. Le botteghe dell'arte della lana erano dugento o più, e facevano da settanta in ottantamila panni, che valevano da uno milione e dugento migliaia di fiorini d'oro; che bene il terzo più rimaneva nella terra per ovraggio, senza il guadagno de' lanaiuoli del detto ovraggio, e viveanne più di trentamila' persone. Ben troviamo, che da trenta anni addietro erano trecento botteghe o circa, e facevano per anno più di cento migliaia di panni; ma erano più grossi e della metà valuta, perocché allora non ci entrava e non sapeano lavorare lana d'Inghilterra, come hanno fatto poi. I fondachi dell'arte di Calimala de' panni franceschi e oltramontani erano da venti, che faceano venire per anno più di diecimila panni di valuta di trecento migliaia di fiorini d'oro, che tutti si vendeano in Firenze sanza quelli che mandavano fuori di Firenze. I banchi de' cambiatori erano da ottanta. La moneta dell'oro che si batteva era da trecentocinquanta migliaia di fiorini d'oro e talora quattrocentomila; e di danari da quattro piccioli l'uno si batteva l'anno circa ventimila libbre. Il collegio de' giudici era da ottanta. I notai da seicento; medici fisici e cerusichi da sessanta; botteghe di speziali erano da cento. Mercatanti e merciai erano grande numero; da non potere stimare le botteghe de' calzolai, pianellai e zoccolai; erano da trecento e più quegli ch'andavano fuori di Firenze a negoziare, e molti altri maestri di più mestieri, e maestri di pietra e di legname. Aveva allora in Firenze centoquarantasei forni, e troviamo per la gabella della macina tura e per li fornai, che ogni di bisognava alla città dentro centoquaranta moggia di grano, onde si può estimare quello che bisognava l'anno; non contando, che la maggior parte de' ricchi e nobili e agiati cittadini con loro famiglie stavano quattro mesi l'anno in contado, e tali più. Troviamo, nell'anno 1280, ch'era la città in felice e buono stato, che volea la settimana da ottocento moggia. Troviamo per la gabella delle porte che c'entrava l'anno in Firenze da cinquantacinque migliaia di cogna di vino, e quando n'era abbondanza circa diecimila cogna più. Bisognava l'anno nella città tra buoi e vitelle circa quattromila; castroni e pecore sessantamila; capre e becchi ventimila; porci trentamila. Entrava del mese di Luglio per la porta san Friano quattromila some di poponi, che tutti si distribuivano nella città. In questi tempi avea in Firenze le infrascritte signorie forestieri, che ciascuna teneva ragione, e avea colla da tormentare, cioè il podestà, capitano, e 'l difensore del popolo e dell'arti; l'esecutore degli ordinamenti della giustizia, il capitano della guardia ovvero conservadore del popolo, il quale avea più balla che gli altri; tutte queste quattro signorie aveano arbitrio di punire personalmente il giudice della ragione e dell'appellagione; il giudice sopra le gabelle; l'uficiale sopra gli ornamenti delle donne; l'uficiale della mercatanzia; l'uficiale dell'arte della lana; gli uficiali ecclesiastichi; la corte del vescovo di Firenze; la corte del vescovo di Fiesole; l'inquisitore dell'eretica pravità, e altre dignità e magnificenze della nostra città di Firenze non sono da lasciare di metterle in memoria per dare avviso a quelli che verranno dietro a noi. Ell'era dentro bene situata e albergata di molte belle case, e al continovo in questi tempi s'edificava, migliorando i lavorii di fargli agiati e ricchi, recando di fuori belli esempli d'ogni miglioramento. Chiese cattedrali e di frati d'ogni regola, e magnifichi monasteri; e oltre a ciò non v'era cittadino popolano o grande che non avesse edificato o che non edificasse in contado grande e ricca possessione, e abitura molto ricca, e con begli edificii, e molto meglio che in città: e in questo ciascuno ci peccava, e per le disordinate spese erano tenuti matti. E sì magnifica cosa era a vedere, che i forestieri non usati a Firenze venendo di fuore, i più credevano per li ricchi edificii e belli palagi ch'erano di fuori alla città d'intorno a tre miglia, che tutti fossono della città a modo di Roma, sanza i ricchi palagi, torri, cortili, e giardini murati più di lungi alla città, che in altre contrade sarebbono chiamate castella.
In somma si stimava, che intorno alla città a sei miglia aveva tanti ricchi e nobili abituri che due Firenze non avrebbono tanti: basta assai avere detto de' fatti di Firenze.

[1] Cronica di GIOVANNI VILLANI, Firenze, 1845, tomo III, capp. XCIII-XCIV, pp. 322.326. Vedi nel testo «4. La figura del mercante: 1. Il mercante italiano dell'età eroica». Si riporta questo brano a prova della bellezza del linguaggio del cronista e del valore della cronaca, che talvolta assume il carattere di storia nel senso moderno che si basa largamente su dati statistici.

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UpUltimo aggiornamento: 19/11/06