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Didattica > Fonti > La mercatura medievale > Letture, 14

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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


LETTURE

14. L'usura nel Trecento
La petizione di monna Orevole contro ser Neri Orlandi usuraio [1]

Monna Orevole vedova del notaio Bonafede Vilanelli del popolo di S. Lorenzo della città di Firenze, per sé e per i suoi figli Lorenzo, Francesco e Mattea, figli suoi e del fu ser Bonafede, poverissimi deboli e impotenti, umilmente espone a voi signori Priori delle Arti e Vessillifero di Giustizia del Popolo e del Comune di Firenze quanto appresso: Neri figlio del detto ser Bonafede, come principale e con la fideiussione del padre, a cagione di un mutuo promise di pagare a Neri Orlandi notaio fior. 80 d'oro, come risulta da atto pubblico, sebbene non avesse avuto se non 60 fiorini. Scaduto il tempo della soddisfazione del detto mutuo, ser Neri pretese la restituzione della somma. Ser Bonafede, non avendo i danari alla mano da poterli rendere, vendé a ser Neri una sua casa posta in Firenze in Porta Rossa, confinata da una parte con la via e dall'altra con gli Strozzi, per il prezzo di fior. 125 d'oro, sebbene in verità non avesse ser Bonafede da lui se non la compensazione dei detti 60 fiorini d'oro, e in più un'altra carta di mutuo per altri 14. Questa casa ser Neri promise di rivenderla a ser Bonafede notaio per 125 fiorini d'oro [2]. Fatta la vendita, ser Bonafede chiese a ser Neri che gli restituisse gli strumenti di mutuo di 80 e di 14 fiorini d'oro. Ser Neri, maliziosamente e fraudolentemente, negò la restituzione, dicendo che prima voleva buoni e idonei fideiussori per la difesa della detta casa; e così trattenne gli strumenti dei mutui e della vendita della casa. Ser Bonafede morì più che dieci anni fa', e cioè l'anno stesso in cui aveva venduto la casa a ser Neri. Dopo che fu morto, ser Neri, forte di detti strumenti di mutuo, entrò in possesso di tutti i beni mobili e immobili dei pupilli e di monna Orevole: cioè di una casa posta nel popolo di San Lorenzo, di proprietà di monna Orevole metà a titolo di dote e l'altra metà a titolo di compera; un podere con case in Mugello presso Barberino; e le imbreviature [3] del detto ser Bonafede, riscuotendo già da nove anni e più gli affitti delle case e godendo i frutti del podere, ricavando annualmente dalla casa di Borgo San Lorenzo lbr. 44 di fiorini piccoli che da allora ad oggi sono lbr. 396; dai frutti del podere, sempre annualmente, l'equivalente di dieci moggi di grano allo staio fiorentino, che oggi fanno 90 moggi; e dalla casa in Porta Rossa, ancora per nove anni, lbr. 27 di fiorini piccoli, in tutto ad oggi lbr. 245. La casa in Porta Rossa vale, per comune stima, più che 700 lbr., la: casa in borgo San Lorenzo più che lbr. 1200, e il podere con case presso Barberino lbr. 2000. Così per la mancata restituzione dei due mutui di 60 e di 14 fiorini d'oro ser Neri, per la sua forza e il suo potere, privò maliziosamente e fraudolentemente la detta monna Orevole e i pupilli dei loro diritti su quei beni. Per tutto ciò, già da più di cinque anni la donna e i pupilli vanno chiedendo l'elemosina tendendo la mano di casa in casa. Inoltre, questo è anche più, ser Neri la fece dolosamente sbandire e condannare in lbr. 100 di fiorini piccoli perché non potesse continuare a rivendicare il diritto suo e dei suoi pupilli; e tentò perfino, con tutte le forze che poté, di fare imprigionare lei e i figlioli in quanto non poteva pagare le lbr. 100 di fiorini piccoli di ammenda. Esposto tutto questo per sé e per i figlioli, monna Orevole chiede a voi Signori che per l'amore di Dio, per pietà e misericordia, nonché per il dovere che avete di aiutare quanto più potete i poveri, i deboli e gli ingannati, vogliate costringere quel diabolico e pravo uomo a restituire a loro le dette case poste in Porta Rossa e in Borgo San Lorenzo con le pigioni da lui riscosse per più di nove anni, e il podere di Barberino con i frutti pure per tale tempo percetti, calcolando il grano a ragione di 12 soldi lo staio, o quanto più sia valso; e che il detto ser Neri trattenga per sé soltanto i fiorini d'oro che dette effettivamente a mutuo, cioè 60 e 14. Monna Orevole domanda inoltre a voi Signori che vi degniate di rimettere lei e i suoi pupilli in possesso dei detti beni, e che costringiate ser Neri a restituirle le imbreviature del marito notaio defunto, nonché lo strumento della sua dote che gli detiene presso di sé iniquamente e ingiustamente. Nel presentare questa domanda, fa appello a tutti gli statuti e ordinamenti del Comune di Firenze, chiedendo anche l'esenzione dalle spese di giudizio. Chiede infine che a titolo di grazia sia liberata assolta e cancellata da tutte le condanne e bandi nei quali, per qualsiasi cagione, si trovasse condannata e sbandita. [La Signoria accolse la petizione].

[1] A. SAPORI, Studi di storia economica (secoli XIII-XlV-XV), terza edizione accresciuta, Firenze, Sansoni, 1955, vol. I, pp. 219-221 (trad. dal latino). Vedi nel testo «4. La figura del mercante: 2. Il mercante italiano della «crisi» del secolo XIV». L'usura, nel senso di pretesa di eccessivi interessi del danaro, fu praticata da piccoli e medi affaristi, di solito non mercanti. Il grande mercante si accontentò, in genere, di interessi moderati, tollerati tacitamente dalla stessa Chiesa. Fa eccezione, tra pochissime altre, la Compagnia dei Gianfigliazzi di Firenze, famiglia bollata, appunto in quanto praticava l'usura, da Dante che ha collocato uno dei suoi membri nel terzo girone dell'Inferno, canto XVII. Tanta era la vergogna dell'usura che l'Alighieri non dà un volto al dannato, riconoscibile come un Gianfigliazzi dallo stemma che ha sulla borsa dei denari. L 'ho identificato attraverso ai libri della compagnia (I libri della ragione bancaria dei Gianfigliazzi per cura di A. SAPORI, Milano, Garzanti, 1946). Il documento qui riprodotto vuol dare una idea della piaga dell'usura del tempo; e aggiungo che è il caso più atroce che conosco.

[2] Era stata una vendita fittizia: chi dava a mutuo pretendeva talvolta «a modo di vendita» un bene immobile come garanzia del mutuo stesso. Si impegnava a restituire il bene per lo stesso prezzo al mutuatario se avesse restituito il denaro entro il termine stabilito.

[3] I protocolli nei quali il notaio registrava gli estremi degli atti: che, se fossero stati portati in giudizio avrebbe trascritto per esteso, di volta in volta a pagamento. Era un affare per ser Neri prendersi i protocolli di ser Bonafede.

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UpUltimo aggiornamento: 19/11/06