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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


LETTURE

4. I primi mercanti[1]

Resta da vedere, ed è una questione essenziale, come si sia formata la classe mercantile che è stata lo strumento di questo commercio. La questione è assai difficile a causa dell'esiguità dei documenti, e senza dubbio non sarà mai completamente chiarita. Constatiamo in primo luogo che i mercanti (mercatores) sono uomini nuovi. Essi appaiono come creatori di una fortuna nuova accanto ai detentori dell'antica ricchezza fondiaria, dalla cui classe essi non escono.

Essi ne escono così poco che, tra l'ideale della nobiltà e la vita del mercante, il contrasto è rimasto durante i secoli e non è completamente svanito. Sono due mondi impermeabili. Della Chiesa non è da parlarne. Essa è ostile alla vita commerciale, e vi scorge un pericolo per l'anima. «Homo mercator nunquam aut vix potest Deo placere». Essa interdice il commercio al clero. Tutta la sua ispirazione ascetica ne è in flagrante contrasto. Pur non condannando la ricchezza, essa condanna l'amore e la ricerca della ricchezza. Per ciò non è da lei che è potuto venire il minimo incoraggiamento a questo riguardo.

I mercanti escono forse dalla classe dei villani, da quella gente che ha una sede stabile nei grandi possessi fondiari, che vive sul proprio mansus e che conduce un'esistenza sicura e protetta? Non lo si direbbe e tutto sembra indicare il contrario.

Per quanto strano ciò possa sembrare, non resta dunque che una soluzione: i mercanti hanno come antenati i poveri, cioè la gente senza terra, la massa fluttuante che percorre il paese, che si cede ad affitto durante la mietitura, dedita all'avventure e ai pellegrinaggi. Occorre fare eccezione per i Veneziani, le cui lagune ne hanno fatto fino dall'inizio dei pescatori e dei raffinatori di sale, che riforniscono il mercato bizantino.

Chi non possiede terra non ha nulla da perdere, e se non ha nulla da perdere ha tutto da guadagnare. Chi non possiede terra è un avventuriero che conta solo su se stesso e che non è preoccupato da nulla. Sono però individui esperti e pieni di risorse, che hanno visto il mondo, che conoscono le lingue, che conoscono i costumi diversi e che la povertà rende ingegnosi. È da questa feccia, non ne dubitiamo, che si sono attinti i primi equipaggi corsari pisani e genovesi. E nel nord dell'Europa, questi Scandinavi che partivano per Costantinopoli, che cosa erano se non genti senza averi e in cerca di fortuna?

In cerca di fortuna: questa è l'espressione. Molti non l'hanno trovata e sono scomparsi nei combattimenti o sono stati sterminati dalla miseria. Ma altri sono riusciti. Con niente, cioè con niente altro che il loro coraggio, la loro intelligenza, il loro ardimento, essi hanno fatto fortuna…

Oggi ciò sembra facile. Un uomo intelligente, senza possedere null'altro che la sua intelligenza, trova dei capitali. Ma noi dobbiamo riflettere che costoro non hanno capitali sui quali contare. Occorre che essi li creino dal nulla. È l'epoca eroica delle origini ed occorre fermarsi a considerare questi poveri diavoli che sono i creatori della ricchezza mobiliare.

Un caso è assai semplice e dovette presentarsi spesso. Qualcuno è riuscito in una spedizione di pirateria, ha saccheggiato un porto musulmano, catturato una nave ben carica. Torna e, all'improvviso, può assumere dei poveri diavoli e ricominciare, o comprare da qualche parte del grano a buon mercato e portarlo dove imperversi la carestia, per rivenderlo assai più caro. È in ciò, infatti, una delle cause della formazione di queste prime ricchezze mercantili. Tutto è locale. A poche leghe di distanza si trova il contrasto dell'abbondanza e della povertà e, come conseguenza, le fluttuazioni di prezzo più straordinarie. Con poco si può guadagnare molto.

Un battelliere del Reno, dell'Escaut o del Rodano, ha potuto, adoperando l'ingegno, fare ricchi guadagni in tempo di carestia. Più di uno che ha cominciato come facchino nei mercati, o come venditore di candele ai pellegrinaggi, ha potuto tutto a un tratto arrivare a possedere del denaro liquido e ha potuto prendere il mare.

Non bisogna dimenticare che la mancanza di probità e la violenza devono essere state assai grandi al principio. L'onestà commerciale è una virtù che non arriva che assai tardi.

Così, in quella società agricola dove i capitali dormono, un gruppo di outlaws, di vagabondi, di miserabili, ha fornito i primi artefici della ricchezza nuova, separata dalla terra. Fatto dei guadagni, vogliono farne ancora. Lo spirito del guadagno non esiste nella società tradizionale, ma essi che ne sono al di fuori ne sono animati. Vendono, comprano, non per vivere, non perché abbiano bisogno dei loro acquisti e per l'esistenza, ma per guadagnare. Essi non producono niente; trasportano. Sono erranti, sono degli ospiti, dei gosty in qualunque località arrivino. Sono anche dei tentatori che portano abiti alle donne, ornamenti da altare e drappi d'oro alle chiese. Nessuna specialità: essi sono in una sola volta rigattieri, carrettieri, scrocconi e cavalieri d'industria. Non sono ancora mercanti professionisti, ma stanno per diventarlo.

Lo divengono quando il commercio si trasforma decisamente per divenire un genere di vita a sé, estraneo alla vita avventurosa alla giornata. Allora prendono dimore fisse. Occorre loro una residenza, dal momento che sono veramente entrati nell'esercizio normale del traffico. Si stabiliscono in un luogo favorevole al loro genere di vita: vicini a un porto, a una località di riparo per i battelli, in una città episcopale favorevolmente situata. E là si trovano in compagnia dei loro simili, e via via che il loro numero diviene più grande, ne arrivano altri. E allora naturalmente si stabilisce tra loro un'associazione. Se vogliono godere di una qualche sicurezza, devono viaggiare in gruppi o in carovane. Si riuniscono in gilde, in società religiose, in confraternite. Tutto il commercio del Medioevo fin verso la fine del XII secolo, è un commercio di carovane armate (hanses).

Ciò non aumenta soltanto la loro sicurezza, ma anche le loro possibilità poiché, se i compagni si proteggono a vicenda sulle grandi strade, essi comprano anche in comune sui mercati. Con l'aumento dei loro piccoli capitali intraprendono affari molto importanti. Dopo l'inizio del XII secolo si tratta di accaparrarsi i cereali. In quell'epoca molti hanno già realizzato delle fortune che permettono loro l'acquisto di immobili importanti. D'altronde è la loro gilda che, nella città dove abitano, provvede ai lavori di fortificazione. Certamente c'è in loro uno spirito di guadagno assai forte. Non bisogna credere che si tratti di brava gente che cerca semplicemente di guadagnarsi la vita. Il loro scopo è di accumulare ricchezze. In questo senso sono animati dallo spirito capitalistico che la psicologia rudimentale degli economisti moderni si sforza di far apparire come qualche cosa di assai misterioso, nato nella miseria o nel calvinismo. Questi mercanti calcolano e speculano; appaiono ai loro contemporanei tanto terribili che non si meraviglierebbero sapendo che hanno fatto un patto col diavolo. La maggior parte non sa certamente leggere. Ma ciò non è necessario per farsi delle grosse fortune. Negar loro lo spirito commerciale è così ingenuo, come sarebbe negare lo spirito politico ai principi loro contemporanei. In realtà lo spirito capitalistico compare con il commercio.

In breve, la storia del commercio europeo non ci presenta affatto, come si amerebbe credere, lo spettacolo di uno sviluppo organico fatto apposta per compiacere gli amatori delle evoluzioni. Essa non comincia affatto da piccoli affari locali che si sviluppano poi a poco a poco in importanza e in estensione. Essa comincia, al contrario, conformemente alla spinta che riceve dall'esterno, con il commercio in terre lontane e con lo spirito dei grandi affari, grandi si intende in senso relativo. Lo spirito capitalistico la domina e ai suoi inizi è anche più forte di quanto non lo sarà più tardi. Quella che ha provocato, diretto e fatto penetrare il commercio in Europa, è una classe di mercanti avventurieri. È essa che ha rianimato la vita urbana e, in questo senso, è a lei che si riconnette la nascita della borghesia, un po' come il proletariato moderno si riconnette ai grandi industriali.

[1] H. PIRENNE, Storia d'Europa dalle invasioni barbariche al XVI secolo, Firenze, Sansoni, 1956, pp. 147-150. Vedi «3. Il marcante all'opera: 1. Il mercante e la città» e sgg.

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UpUltimo aggiornamento: 19/11/06