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La mercatura medievale

di Armando Sapori

© 1972-2006 – Armando Sapori


2. La crisi del secolo XIV

[v. LETTURA 2]. L'Europa, che rinata nel secolo XII aveva proseguito l'ascesa nel XIII con andamento si può dire tumultuoso, e aveva raggiunto l'apice nel primo Trecento, attorno alla metà di quel secolo conobbe una crisi con la quale si fa coincidere la fine del periodo storico detto Medioevo. «Il Medioevo – scrive Roberto Lopez – cominciato con una crisi, terminò con una crisi, ancorché questa ultima di portata diversa, lunghezza e intensità, da quella iniziale. La prima, una vera catastrofe da cui per risollevarsi occorsero secoli, la seconda un rallentamento dal quale la ripresa non richiese un tempo così lungo». Continua l'A.: «Il Medioevo finirà meglio che non abbia cominciato… non vi sarà, dopo il 1350, un’epoca barbarica come ve ne era stata negli anni prima… gli uomini non si perdono d'animo, non c'è traccia, nel crepuscolo del Medioevo, di quella tetra rassegnazione, di quel disfacimento del carattere che aveva contrassegnato l'alto Medioevo… La crisi che accompagnò il tramonto temperò i caratteri invece di abbatterli».

1. Il regresso demografico

Della crisi si hanno cenni già prima della metà del Trecento  in coincidenza del ritorno dei vecchi flagelli: le carestie, di cui la più notevole era stata quella del 1315-1317 che dalle affolate città delle Fiandre portò via press’a poco un quinto (c'è chi dice, E. Perroy, un decimo) degli abitanti; le guerre sporadiche ma frequenti prima del conflitto tra Francia e Inghilterra protrattosi con pause più o meno lunghe per un secolo, e le cui ripercussioni furono avvertite anche al di là delle zone delle operazioni; le epidemie, con focolai non simultanei ma accesi un po’ da per tutto fino alla grande  peste del 1347 che dall'Italia dilagò fino al 1350 in tutto l'occidente.

Conseguenza di ciascuno e di tutti questi malanni combinati tra loro fu una contrazione demografica dapprima lenta e poi rapidissima e drastica che si stabilizzò per quasi due secoli press’a poco attorno al più basso livello raggiunto, fino a che la ripresa si sarebbe avuta negli ultimi decenni del secolo XVI.


a) LE CARESTIE. Le carestie erano dovute in gran parte ai diboscamenti degli anni della ricerca affannosa di terreni da coltivare per alimentare le popolazioni in crescita, che avevano portato a mutamenti nelle condizioni atmosferiche, frane in collina, impaludamenti in pianura, ostruzione delle foci dei fiumi, alluvioni.


b) LE GUERRE. Le guerre, che direttamente non influirono molto nella diminuzione della popolazione con la mortalità dei combattenti – le campagne di allora non causavano vere stragi –, facevano grandi vuoti nei raccolti, in parte distrutti e in parte ridotti per la non continuità del lavoro nei campi, e portavano altre conseguenze di ordine fiscale e monetario che aumentavano a loro volta la precarietà delle condizioni della vita. I conflitti, anche se non di grandi dimensioni, richiedevano uno sforzo finanziario per il quale alle imposizioni ordinarie già pesanti se ne aggiungevano di straordinarie, facendo ricorso in larga misura all'aumento delle gabelle che si risolvevano in un aumento dei prezzi dei generi di maggior consumo, in specie alimentari, e dei dazi sulle importazioni e le esportazioni che costituivano difficoltà ai commerci; mentre ai mercanti stranieri si imponevano prestiti con l'alternativa della continuata protezione dei principi o della espulsione dai loro territori sui quali avevano radicato gli affari: prestiti che poi si restituivano con forti dilazioni o non si restituivano affatto (come avvenne a quelli fatti dalle compagnie dei Bardi e dei Peruzzi a Edoardo III per la preparazione della prima campagna della guerra dei Cent'anni) [v. LETTURA 3].

Ma siccome tutto questo non bastava, ecco che si ricorreva a manovrare le monete – «numisma cadit in commodum principis» riconosceva anche san Tommaso – che erano proprietà di colui che le batteva. Quelle monete (quasi tutte quelle d'argento e qualcuna all'estero anche d'oro) venivano alterate diminuendone il peso o la quantità del fine di fronte a quello della lega, «bolsone»; e per quanto di minor pregio avevano per legge il medesimo potere liberatorio delle buone. Per esempio, il grosso di Fiandra fra il 1330 e il 1380 perse l'80% del suo valore intrinseco, il tornese di Francia il 75%, e lo sterlino il 47%. La manovra è evidente, ma è altrettanto evidente che per avere efficacia doveva ripetersi con frequenza. Per la verità, svalutazioni si erano avute anche per l'addietro, ma limitatamente e soprattutto con un processo che si può dire normale nel quadro complesso dell’economia che ne aveva avuto anche vantaggio; mentre ora procedevano a sbalzi, per volere dei «signori della moneta» e quasi sempre in concomitanza con eventi politici. Per l'Italia sono sintomatiche le vicende monetarie di Milano. Mantenuto costante il fiorino d'oro creato nel 1261 – allora equivalente a una libbra d'argento – le specie argentee subirono una progressiva ma non eccessiva svalutazione fino al 1405; con una riforma del 1406, ritenuta necessaria per la situazione fallimentare delle finanze ducali, persero (si insiste in un solo anno) press 'a poco quanto avevano perduto nel secolo e mezzo precedente. E poi punte particolarmente acute di indebolimento si ebbero nel 1422 (ripresa della politica espansionistica dei Visconti da parte di Filippo Maria), nel 1456 (guerra di successione nel Ducato), nel 1481 (conquista del potere da parte di Lodovico il Moro ).

Il disordine monetario fu un altro elemento della disorganizzazione delle aziende e contribuì ai fallimenti, che avviati fino dai primissimi del Trecento culminarono nel 1348 con quelli colossali delle compagnie fiorentine dei Bardi, dei Peruzzi e degli Acciaioli, dette dal Villani le colonne della cristianità, tali e tanti erano i loro interessi legati non solo in Firenze e in Italia ma ovunque. Un vero disastro, che di concentrazioni capitalistiche della loro forza non se ne  ebbero più nella Penisola: non quelle pur grandi delle imprese di Francesco di Marco Datini a cavallo fra il Trecento e i primi del Quattrocento, non quelle ancora più famose dei Medici nel secolo XV. All'estero si avevano società assai minori, e là per istituire un parallelo con i vecchi colossi trecenteschi dovremo scendere al secolo dei Fugger; che per altro dominarono nel campo finanziario più che in quello commerciale.


c) LE PESTILENZE. La denutrizione conseguente alle carestie e alle guerre era infine il presupposto dell'insorgere delle epidemie fino a che l'ultima del 1347 trovò nelle diminuite forze vitali delle popolazioni le condizioni più favorevoli per diffondersi come si diffuse e per causare i danni che fece: che dobbiamo limitarci a dire ingenti in quanto la scarsità e la non omogeneità delle fonti di informazione non consentono vere statistiche. Riporto comunque due soli dati, essi pure approssimativi ma riconosciuti più attendibili. L'Inghilterra, che sulla base del Domesday Book, il primo, grande catasto inglese, avrebbe avuto verso la fine del secolo XI un milione e centomila abitanti, cresciuti alla soglia della peste nera a tre milioni e settecentomila, nel 1377 (risulta dal Poll-tax) calò a due milioni e duecentomila. Firenze, che nel quadriennio 1336-1339 contava centomila anime, dopo il flagello ne aveva perse la metà. A ogni modo, a parte queste cifre, un’idea della profonda differenza della situazione demografica prima e dopo la metà del Trecento si ricava dalle notizie che abbiamo sulle prime costruzioni delle mura cittadine (nuova città) e sul loro ampliamento (necessario a contenere una maggiore popolazione ). Nel nord dell’Europa, per esempio – qui gli studi sono più numerosi –, tra il 1100 e il 1250 si conoscono venti recinzioni ex novo e diciassette allargamenti; fra il 1250 e il 1400 solo due cinte nuove e trentuno allargamenti; dal 1400 al 1550 nessuna nuova muratura e solo dieci espansioni.

Col regresso demografico si ebbe la diminuzione della durata media della vita: dai trentacinque ai quaranta anni che sarebbero stati raggiunti prima della grande peste, si sarebbe tornati sui venticinque degli «anni bui» (in Inghilterra pare da trentaquattro verso il 1300 a diciassette nel periodo della peste per risalire a trentadue nel primo quarto del Quattrocento). Su questo mutamento della struttura della società si va insistendo sempre più agli effetti della crisi e del suo prolungamento oltre il secolo XIV. «Siccome – scrive il Lopez – solamente una minoranza giungeva all'età matura, pochi adulti dovevano portare il carico di mantenere una quantità di bambini e di adolescenti [alto era il numero dei celibi, scrive il Perroy], e la società si reggeva sull’ esperienza di pochi».

È opinione prevalente, pertanto, che il fattore demografico sarebbe stato alle origini al centro della crisi. Continuo ad attingere dalle opere più recenti: il Perroy, «la diminuzione massiccia del numero degli uomini è il fenomeno fondamentale che spiega la depressione economica protrattasi a lungo» ; il Lopez (il suo ragionamento appare più serrato e particolarmente interessante perché si riferisce alla influenza sul commercio), «la rivoluzione commerciale ha bisogno di uomini; messa in movimento dalle prime modeste eccedenze demografiche del secolo X, ha poi trovato a questo squilibrio i rimedi che a loro volta hanno reso possibili nuove eccedenze; finche durò questa reazione a catena - commercializzazione, industrializzazione, innovazioni nell'attrezzatura materiale e intellettuale, ricerca emessa in valore di nuovi sbocchi – il ritmo produttivo e il tenore di vita hanno continuato a salire. Venute a mancare le eccedenze il progresso si inceppa».

Il Lopez però aggiunge – e vi pongo l'accento in modo particolare – il verificarsi di circostanze politiche che, avendo chiuso al mondo cristiano le porte attraverso le quali gli uomini di affari erano passati per estendere di continuo il loro lavoro, anche se la popolazione non avesse avuto la decurtazione che ebbe non sarebbe stato possibile continuare o riprendere lo slancio dei secoli XII e XIII: «l 'espansione oltre frontiera? Una dopo l'altra la Cina, l'Asia centrale, la Persia si chiudono ai mercanti occidentali; la pax mongolica è finita. L 'impero bizantino agonizza e i Turchi, che finiranno col raccogliere la sua eredità, fanno pagar caro il privilegio di vendere e di comprare sul loro territorio. L'Egitto aumenta i prezzi, rialza le tariffe doganali, infligge agli stranieri mille vessazioni; il paese stesso sta andando in rovina. Il gran libro delle conquiste della cristianità in Europa, giunto nel Dugento ai suoi ultimi due capitoli, si interrompe bruscamente: Granada resta musulmana, la Lituania resta pagana».

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UpUltimo aggiornamento: 19/11/06