Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
2. I concili e la struttura organizzativa delle chiese (A) Eusebio di Cesarea,
Vita di Costantino, PG 20, III, 6, 9-10. (B) I Concilio di Nicea,
cc. 4-7 (325). (A) Tosto convocò un
sinodo generale per fronteggiare il nemico quasi servendosi di una divina
falange; invitò tutti i vescovi con lettere rispettose perché
venissero al più presto. Né dava loro semplicemente un
ordine, ma la benevolenza imperiale si occupò assai del viaggio
offrendo ad alcuni l’uso dei collegamenti pubblici, agli altri
mettendo a disposizione le cavalcature. Fu scelto come sede del concilio
un luogo adattissimo, la città chiamata dalla vittoria Nicea,
posta in Bitinia. Giunto l’ordine imperiale in tutte le province,
subito tutti, come se fossero stati fatti uscire dalla rete, si affrettarono
a intervenire; li spingeva sia la speranza di vantaggi sia l’opportunità
della pace che regnava ovunque; inoltre la curiosità di un nuovo
spettacolo, cioè vedere un simile imperatore.
Quando furono raccolti, apparve chiaro che si trattava di un’opera
divina; infatti pure in mezzo a tante diversità di carattere,
di origine e di tendenze si trovarono riuniti in un solo sentimento
e una sola città radunava la maggior corona di sacerdoti composta
di bellissimi fiori.
Tra questi ministri di Dio, gli unì eccellevano per sapienza,
gli altri per severità di vita e per sacrifici sostenuti, altri
ancora per l’assieme delle virtù. Alcuni erano anziani,
altri giovani e forti, taluni da poco entrati in carica. Tutti erano
largamente sovvenzionati dall’imperatore.
Fissato il giorno dell’apertura del concilio in cui dovevano dirimersi
le questioni, raccoltisi tutti rapidamente nella sala maggiore del palazzo,
disposti sugli scranni ai due lati della sala, presero il posto convenuto
tutti gli invitati. Dapprima si sedettero compostamente e tacquero attendendo
l’arrivo dell’imperatore; incominciarono ad arrivare uno
dopo l’altro i cortigiani e non venivano avanti i militari, come
al solito, ma solo quelli degli amici suoi che si professavano cristiani.
Dato l’avviso dell’ingresso del sovrano, tutti si levarono
ed egli passò loro in mezzo quasi come un angelo di Dio; colpiva
la vista di tutti il colore purpureo del suo abito che brillava di rosse
strisce; era pure ornato di oro e di pietre preziose. Questo per quanto
riguarda il corpo; l’animo suo appariva pio e timorato di Dio,
come dimostravano gli occhi abbassati, il rossore del volto, il portamento
dimesso; tuttavia superava tutti quelli che lo circondavano per prestanza.
Ma non solo di statura, bensì anche per eleganza ed una certa
regale maestosità era agli altri di modello. Tutto ciò
temperato dalla modestia e dalla sovrana clemenza dimostrava la sua
esimia virtù e la prestanza superiore a ogni elogio. Giunto l’imperatore
al suo seggio, restò prima in piedi; poi, posta davanti a lui
una sedia intarsiata d’oro, non volle sedersi prima che i vescovi
non annuissero; e lo stesso fecero gli altri dopo di lui. Allora il
vescovo che stava alla sua destra, alzatosi, pronunziò un indirizzo
per ringraziarlo e render lode a Dio. Terminato che ebbe, tutti fissarono
l’imperatore in silenzio.
[Segue il discorso dell’imperatore]
Dopo aver pronunziato questo discorso in latino, uno lo tradusse in
greco e poi fu data la parola ai presidenti del congresso, ma alcuni
incominciarono ad accusare i vicini, altri a rispondere alle accuse
e tutti a lamentarsi. Furono dette molte cose dall’una e dall’altra
parte e sorse una grande contesa sin dal principio del concilio; l’imperatore
ascoltò tutto pazientemente e accolse con attenzione i problemi
proposti: e convogliando le discussioni e aiutando tutti, alla fine
mise d’accordo anche i più ostinati. Rivolto ai presenti,
parlò in greco (perché lo conosceva) e riuscì soave
e piacevole, riuscendo ad attirare al suo parere alcuni con la forza
dei ragionamenti, altri con le preghiere e l’imposizione; a quelli
poi che pensavano rettamente, diede lode, e tutti invitò alla
concordia; così su tutti i punti prima in discussione ottenne
l’intesa.
Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, PG 20, III,
6, 9-10. Testo originale (B) 4. Sull’ordinazione
dei vescovi. Si abbia la massima cura che un vescovo sia istituito
da tutti i vescovi della provincia. Ma se ciò fosse difficile
o per sopravvenute difficoltà, o per la distanza, almeno tre,
radunandosi nello stesso luogo, e non senza aver avuto prima per iscritto
il senso degli assenti, celebrino la consacrazione. La conferma di quanto
è stato compiuto è riservata in ciascuna provincia al vescovo
metropolita.
5. Sugli scomunicati. Quanto agli scomunicati, sia ecclesiastici
che laici, la sentenza dei vescovi di ciascuna provincia abbia forza
di legge e sia rispettata la norma secondo la quale chi è stato
cacciato da alcuni non sia accolto da altri. È necessario tuttavia
assicurarsi che questi non siano stati allontanati dalla comunità
solo per grettezza d’animo o per rivalità del vescovo o
per altro sentimento di odio. Perché poi questo punto abbia la
dovuta considerazione, è sembrato bene che in ogni provincia,
due volte all’anno si tengano dei sinodi, affinché tutti
i vescovi della stessa provincia riuniti al medesimo scopo discutano
questi problemi, e così sia chiaro a tutti i vescovi che quelli
che hanno mancato in modo evidente contro il proprio vescovo sono stati
opportunamente scomunicati, fino a che l’assemblea dei vescovi
non ritenga di mostrare verso costoro una più umana comprensione.
I sinodi siano celebrati uno prima della Quaresima perché, superato
ogni dissenso, possa esser offerto a Dio un dono purissimo; l’altro
in autunno.
6. Sul primato dei vescovi. In Egitto, nella Libia e nella
Pentapoli siano mantenute le antiche consuetudini per cui il vescovo
di Alessandria abbia autorità su tutte queste province; anche
al vescovo di Roma infatti è riconosciuta una simile autorità.
Ugualmente ad Antiochia e nelle altre province siano conservati alle
chiese gli antichi privilegi. Inoltre sia chiaro che, se qualcuno è
fatto vescovo senza il consenso del metropolita, questo grande sinodo
stabilisce che costui non debba esser vescovo. Qualora poi due o tre,
per questioni loro personali, dissentano dal voto ben meditato e conforme
alle norme ecclesiastiche degli altri, prevalga l’opinione della
maggioranza.
7. Sulla carica del vescovo di Elia, ossia di Gerusalemme.
Poiché è invalsa la consuetudine e l’antica tradizione
che il vescovo di Elia riceva particolare onore, abbia quanto questo
onore comporta, salva sempre la dignità propria della metropoli.
I Concilio di Nicea, cc. 4-7 (325). Testo originale
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