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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


I
La fine del mondo antico / 1
Il cristianesimo, le chiese, la Chiesa

4. Roma: l’aspirazione al primato
(A) Leone I, Lettere, PL 54, 104.
(B) Gelasio I, Lettere, PL 59, 8.

(A) Conservi pure la città di Costantinopoli – come noi stessi le auguriamo – la posizione onorata che le spetta, e con la valida protezione di Dio possa a lungo godere dell’impero della vostra clemenza. Sta di fatto però che altro è il criterio che regola le cose terrene, altro quello che regola le cose divine: in queste non ci può essere nessuna stabilità di struttura al di fuori di quella pietra, che il Signore ha posto come fondamento.

Perde i propri diritti chi aspira a quelli che non gli sono dovuti. Perciò il predetto vescovo deve pur contentarsi di aver ottenuto, grazie al vostro benigno aiuto ed al mio consenso favorevole, l’episcopato di una città tanto importante: non disdegni di occupare questo centro imperiale perché non può elevarlo a sede apostolica, e non si illuda di poter crescere in dignità, recando offesa agli altri. Difatti le prerogative delle chiese, quali sono previste dai canoni dei santi Padri e fissate dai decreti del venerando concilio di Nicea, non possono essere né abbattute con sottile malizia, né modificate con la scusa del nuovo.

Leone I, Lettere, PL 54, 104.

Testo originale


(B) Supplico la tua pietà di non considerare arroganza l’ubbidienza ai princìpi divini. Non si dica di un imperatore romano, ti prego, che egli giudichi ingiuria la verità comunicata al suo intendimento. Due sono infatti i poteri, o augusto imperatore, con cui questo mondo è principalmente retto: la sacra autorità dei pontefici e la potestà regale. Tra i due, l’importanza dei sacerdoti è tanto più grande, in quanto essi dovranno rendere ragione al tribunale divino anche degli stessi reggitori d’uomini. Tu sai certo, o clementissimo figlio, che, pur essendo per la tua dignità al di sopra degli uomini, tuttavia devi piegare devotamente il capo dinanzi a coloro che sono preposti alle cose divine, e da loro aspettare le condizioni della tua salvezza; e nel ricevere i santissimi sacramenti e nell’amministrarli come compete, tu sai che ti devi sottoporre agli ordini della religione, e non avere funzioni di capo, e che pertanto in queste questioni tu devi essere sottomesso al giudizio degli ecclesiastici e non volere che essi siano obbligati alla tua volontà. Se infatti anche gli stessi sacerdoti ubbidiscono alle tue leggi, per quel che riguarda l’ordine pubblico, sapendo che l’impero ti è stato dato per disposizione divina, e perché non sembri che persino nelle cose puramente materiali essi si oppongano a un giudicato, che esula dalla loro giurisdizione; con che sentimento, io ti chiedo, conviene che tu obbedisca a coloro che sono stati assegnati ad amministrare i divini maestri? Dunque, come sui pontefici incombe il non lieve pericolo d’aver taciuto ciò che si conviene, in rapporto al culto della divinità, così grave pericolo c’è per coloro – Dio non voglia – che serbano un atteggiamento di disprezzo, quando debbono ubbidire. E se conviene che i cuori dei fedeli siano sottomessi a tutti i sacerdoti in genere, che con giustizia amministrano le cose divine, quanto più si deve dar consenso al capo della sede apostolica, a colui che la somma Divinità volle superiore a tutti i sacerdoti, e che sempre dopo la pietà di tutta la Chiesa onorò come tale?

Gelasio I, Lettere, PL 59, 8.

Testo originale

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05