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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


III
La riconquista dell’Italia

2. Barbari, senatori e contadini
(A) Cassiodoro, Varie, AA 12, XII, 24.
(B) Procopio, La guerra gotica, III, 6, 9, 13.
(C) Procopio, La guerra gotica, III, 18, 22.

(A) Ai tribuni marittimi, Senatore prefetto del pretorio. Abbiamo già stabilito, con un ordine precedente, che l’Istria invii felicemente vino, olio e grano, dei quali quest’anno c’è abbondanza, a Ravenna. Ma voi, che nel vostro territorio possedete navi numerose, provvedete con pari devozione affinché, ciò che è pronto da mandare, vi adoperiate a portare nel modo più celere possibile. […] Siate dunque prontissimi [alle esigenze] vicine, voi che spesso traversate spazi infiniti. Percorrete, in un certo senso, le vostre stesse dimore, voi che navigate all’interno della patria. Si adatta anche ai vostri interessi il fatto che a voi si apre un altro itinerario tranquillo per perpetua sicurezza.

Infatti, quando il mare sarà chiuso per il furore dei venti, si aprirà a voi la via degli amenissimi fiumi. Le vostre carene non temono gli aspri venti: toccano terra con somma felicità e non possono andare in rovina, esse che [invece] spesso si incagliano. Da lontano si crede quasi che siano portate attraverso i prati, perché accade di non vedere il loro scafo. Camminano tirate con le funi, esse che erano solite star ferme davanti ai [venti] ruggenti, e, mutata la loro condizione, gli uomini giovano con i piedi alle loro navi: trascinano senza fatica le navi da trasporto e, per paura di usare le vele, i comandanti sfruttano il più sicuro passo dei marinai.

Giova riferire in che modo abbiamo visto che sono situate le vostre abitazioni. Le Venezie, degne di lode, un tempo piene di nobili, toccano a mezzogiorno Ravenna e il Po, a oriente fruiscono dell’amenità della spiaggia ionica […]. Qui la vostra casa è come quella degli uccelli acquatici. […] I [vostri] domicili sono sparsi per ampio spazio nel mare aperto, e non sono procurati dalla natura, ma dalla cura degli uomini. Lì infatti la solidità del terreno è consolidata con flessibili vimini legati insieme, e questa fragile difesa non ha paura di opporsi ai flutti del mare […]. Per gli abitanti pertanto c’è una sola abbondanza, il fatto che si soddisfino di soli pesci. La povertà lì convive in uguaglianza con i ricchi. Un solo cibo rifocilla tutti, un’identica abitazione racchiude tutti. […] D’altra parte ogni sforzo è rivolto allo sfruttamento delle saline […]. Qualcuno può desiderare meno l’oro: ma non c’è nessuno che non desidera trovare il sale, perché grazie a questo ogni cibo può essere gradevolissimo. Perciò riempite le navi, che come animali legate alle pareti [delle vostre case], con diligente cura, affinché, quando l’esperto Lorenzo, che è diretto [lì] per procurare vettovaglie, si darà da fare per convincervi, vi affrettiate ad accorrere [da lui].

Cassiodoro, Varie, AA 12, XII, 24.

Testo originale


(B) Dopo i fatti precedentemente narrati, Totila conquistò le piazzeforti di Cesena e di Petra. Poco più tardi entrò in Tuscia e cercò aiuti dagli abitanti di quella regione; ma siccome nessuno voleva unirsi a lui, attraversò il fiume Tevere e, senza passare per il territorio di Roma, andò subito in Campania e nel Sannio, dove senza alcuno sforzo espugnò la città di Benevento, che era saldamente fortificata, e ne rase al suolo le mura, perché nessun esercito che sopraggiungesse da Bisanzio avesse la possibilità di usarla come fortezza ai danni dei Goti. Poi Totila decise di andare ad assediare Napoli, perché gli abitanti di quella città, nonostante tutte le sue buone promesse, non volevano lasciarlo entrare.

In quel momento la città di Napoli era presidiata da Conone con un migliaio di Romani e di Isauri. Totila con la maggior parte dell’esercito si accampò non molto distante dalle mura, ma non tentò contro di essa alcuna azione, mandando invece una parte delle truppe ad espugnare la piazza di Cuma e alcune altre località fortificate, dalle quali gli riuscì anche di far bottino di ricchezze considerevoli. Ma, avendo trovato là le mogli dei membri del senato romano, non recò loro alcuna offesa, anzi con molta cortesia le lasciò andar libere, e per questo suo gesto si guadagnò fra tutti i Romani fama di saggezza e umanità.

Siccome nessuna forza nemica si presentava a contrastarlo, egli continuò a mandare attorno piccoli reparti del proprio esercito e a compiere in questo mondo importanti azioni di guerra. Sottomise infatti i Bruzi e i Lucani e occupò sia l’Apulia che la Calabria, da cui si mise egli stesso a riscuotere le tasse pubbliche e a prendere i redditi dei beni privati al posto dei proprietari della terra. Insomma, si comportò come se fosse divenuto il signore d’Italia. Di conseguenza l’esercito romano non poté più ricevere a tempo dovuto la paga regolare, e Giustiniano divenne debitore di una grande quantità di denaro.

Intanto gli Italiani, defraudati delle loro proprietà e gettati una seconda volta in gravi disagi, si sentivano molto irritati, mentre i soldati erano sempre più insubordinati verso gli ufficiali e si mostravano ben lieti di starsene oziosi nelle città.

Mentre Totila stava occupandosi di queste faccende, gli ufficiali dell’esercito romano insieme coi soldati continuavano a saccheggiare le proprietà dei loro sudditi italiani, non astenendosi nemmeno da soprusi e scostumatezze. Gli ufficiali, entro le stesse mura delle città, si davano a baldorie con donne di malaffare, e i soldati si dimostravano sempre più insubordinati verso i loro superiori e si abbandonavano ad ogni genere di licenze.

Così agli Italiani toccava sopportare gravissimi disagi per colpa dell’uno e dell’altro esercito. Mentre, infatti, erano privati delle loro terre dai nemici, dall’esercito dell’imperatore venivano depredati dei loro beni personali, e inoltre capitava loro di subire anche violenze fisiche e persino di essere uccisi senza alcun motivo, oltre a dover patire la penuria di viveri. I soldati, incapaci di difendersi dalle offese che ricevevano dai nemici, non solo non provavano nessuna vergogna per le condizioni in cui erano venuti essi stessi a trovarsi, ma col loro deprecabile comportamento costringevano la gente a rimpiangere di non essere più dominata dai barbari.

Dopo questi fatti, Totila marciò su Roma e, giunto nelle vicinanze, si accinse ad assediarla. Come in ogni altra parte d’Italia, anche qui non fece alcuna violenza ai contadini, ma lasciò che continuassero a coltivare senza timore le loro terre, come erano abituati a fare, limitandosi a chiedere che versassero a lui le imposte che fino ad allora avevano versato alle casse dello Stato e ai proprietari delle terre.

Procopio, La guerra gotica, III, 6, 9, 13.

Testo originale


(C) A Canosa un certo Tulliano, figlio di Venanzio, cittadino romano che possedeva grande autorità tra i Bruzi e i Lucani, si fece ricevere da Giovanni per fare le proprie rimostranze contro i soldati dell’imperatore a causa di ciò che gli Italici avevano dovuto patire per colpa loro, ma anche per promettere che, se d’allora innanzi li avessero trattati con equità, egli avrebbe garantito la sottomissione dei Bruzi e dei Lucani, i quali sarebbero diventati di nuovo sudditi e tributari dell’imperatore, come già in precedenza. Non era stato infatti per loro libera scelta che si erano assoggettati a uomini barbari e ariani, ma perché costretti con la violenza dai nemici, e per di più trattati con ingiustizia dai soldati imperiali.

Giovanni gli assicurò che per l’avvenire gli Italici avrebbero ricevuto soltanto benefici da parte dei Romani, e Tulliano si schierò a suo favore. Di conseguenza i nostri soldati non nutrirono più alcun sospetto nei riguardi degli Italici, e la maggior parte delle popolazioni che abitavano lungo il Golfo divennero loro amiche e sottomesse all’imperatore.


Tulliano arruolò dei contadini del luogo e li mise a guardia dell’unico accesso alla regione, che era molto stretto, affinché i nemici non potessero entrare a devastare i paesi lucani. Con costoro c’erano anche, a fare la guardia, trecento Anti, che Giovanni aveva lì lasciato, su richiesta di Tulliano stesso, dato che quei barbari erano particolarmente bravi, più di chiunque altro, a combattere anche in terreni accidentati.

Allorché Totila ne fu informato, non ritenne conveniente impiegare dei Goti per quell’azione, ma raccolse egli pure una grande massa di contadini e li mandò, accompagnati da pochi Goti soltanto, con l’ordine di forzare a qualunque costo quel passo.

Quando le due parti vennero a confronto, si accese una lotta furibonda, e gli Anti per il loro valore e anche perché le accidentalità del terreno erano a loro favore, unitamente ai contadini di Tulliano, batterono gli avversari e ne fecero una grande strage. […] I patrizi che erano stati trasferiti in Campania, dietro suggerimento di Totila, mandarono allora in Lucania alcuni loro servi per invitare gli agricoltori di quella regione, loro dipendenti, a desistere dalla difesa del passo e a tornare a coltivare le proprie campagne come avevano sempre fatto, riferendo loro che avrebbero potuto tenere per sé i prodotti della terra che sarebbero spettati ai proprietari. Quelli, perciò, si licenziarono dall’esercito romano e tornarono lieti ai propri campi, cosicché Tulliano fu costretto a ritirarsi di là e i trecento Anti decisero di ricongiungersi con le truppe di Giovanni. In questo modo tutta la regione a sud del Golfo Ionico, eccetto Otranto, divenne di nuovo soggetta ai Goti e a Totila, e i barbari, rianimati da questo successo, si diedero a fare scorrerie per ogni dove, divisi in piccoli gruppi.

Procopio, La guerra gotica, III, 18, 22.

Testo originale

© 2000
Reti Medievali
UpUltimo aggiornamento: 01/09/05