Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”
1. Le cristianità celtiche (A) Penitenziale di Finnian,
cc. 35-45. (B) Beda, Storia ecclesiastica
degli Angli, III, 4. (C) Valafrido Strabone,
Vita di san Gallo, SRM 4, 1, 4-5. (A) 35. Per quel che riguarda i laici, se
qualcuno, allontanandosi dalle cattive azioni, si sarà convertito al Signore dopo aver
però compiuto ogni sorta di malvagità, ad esempio fornicando od uccidendo, faccia
penitenza per tre anni, e vada senza armi, eccettuato un bastone, e non stia con sua
moglie, e nel primo anno faccia penitenza a pane ed acqua, e non stia con sua moglie. Dopo
una penitenza di tre anni offra del denaro nelle mani del sacerdote, per la redenzione
della sua anima e come frutto della penitenza, e imbandisca una cena per i servi di Dio, e
nella cena sia riammesso alla comunione; e dopo aver portato integralmente a termine la
penitenza potrà unirsi a sua moglie.
36. Se un laico avrà contaminato la moglie di un altro, o una vergine, faccia penitenza
per un anno intero a pane ed acqua e non si unisca a sua moglie, e dopo un anno di
penitenza sia riammesso alla comunione, e dia un’elemosina per la propria anima, e non
commetta più fornicazione con un’estranea, finché avrà vita. […]
37. Se un laico avrà contaminato una vergine consacrata a Dio, privandola del suo merito,
e avrà generato da lei un figlio, faccia penitenza per tre anni: nel primo anno stia a
pane ed acqua, e vada senza armi, e non si unisca a sua moglie; negli altri due si astenga
dal vino e dalla carne, e non si unisca a sua moglie. 38. Se però non avrà generato da lei, ma l’avrà soltanto contaminata, stia un anno
intero a pane ed acqua, e per metà anno poi si astenga dal vino e dalla carne, e non si
unisca a sua moglie fino al termine della penitenza. 39. Se un laico ammogliato si sarà unito ad una sua schiava, si deve procedere così: che
la schiava sia venduta, ed egli per un anno intero non si unisca a sua moglie. 40. Se però avrà generato dalla schiava uno o due o tre figli, è giusto che egli liberi
la schiava, e se volesse venderla non deve essergli consentito; ma si separino, ed egli
faccia penitenza per un anno intero a pane ed acqua, e non si accosti più alla sua
concubina ma si unisca a sua moglie. 41. Qualora uno abbia una moglie sterile, non la mandi via a causa della sua sterilità;
ma devono vivere entrambi nella continenza, e beati se persevereranno casti nel corpo fino
a quando Dio non pronuncerà per loro un giudizio vero e giusto. Credo, infatti, che se
tali saranno stati quali furono Abramo e Sara, Isacco e Rebecca, e Anna, madre di Samuele,
o Elisabetta, madre di Giovanni, andrà bene per loro nel giorno del giudizio. Dice
infatti san Paolo: E quelli che hanno moglie sia come se non l’avessero. Passa,
infatti, l’apparenza di questo mondo. Se poi rimarremo fedeli, qualunque cosa Dio ci
avrà inviato, favorevole o contraria, sempre accoglieremo la gloria di Dio con gioia. 42. Affermiamo che la moglie non debba separarsi dal marito; ma se si sarà separata
deve rimanere senza nozze, o riconciliarsi con il proprio marito secondo quanto dice
l’Apostolo. 43. Se la moglie avrà commesso adulterio, ed abita con un altro uomo, il marito non deve
prendere un’altra donna, finché la moglie sarà viva. 44. Se quest’ultima si sarà volta a penitenza, e se proprio lo chiederà con buona
disposizione, bisogna riaccoglierla; ma non porterà dote e servirà il marito; finché
avrà vita compia le funzioni di servo o di schiava interamente e devotamente sottomessa. 45. Così se una moglie sarà stata mandata via del marito, non deve unirsi ad altro uomo
finché il marito avrà vita; ma dovrà invece attenderlo senza nozze, con pazienza e
castità, nell’eventualità che Dio induca la penitenza nel cuore del marito. E la
penitenza dell’uomo adultero e della donna adultera è questa: facciano penitenza per un
anno intero a pane ed acqua, e non stiano nello stesso letto [con il proprio coniuge].
Penitenziale di Finnian, 35-45. Testo originale (B)
Nell’anno 565 del Signore, allorché Giustino II successe nel governo dell’impero romano a
Giustiniano, dall’Irlanda venne in Britannia un prete e abate, insigne per l’aspetto e il
modo di vita monastica, di nome Columba, per predicare la parola di Dio nelle regioni dei
Pitti settentrionali, cioè a quelli che sono separati dalle regioni dei Pitti meridionali
da ardue e impervie catene montuose. Infatti i Pitti meridionali, che abitano tra quei
monti, già da molto tempo, secondo quanto si tramanda, abbandonato l’errore
dell’idolatria, avevano accolto la parola di verità dalla predicazione del vescovo
Nynias, un uomo santo e venerabile della stirpe dei Brettoni, che era stato istruito
rettamente a Roma nella fede e nei misteri della verità. […] Columba venne in
Britannia, mentre regnava sui Pitti Bridio, figlio del potentissimo re Meilochon, nel nono
anno del suo regno e convertì quella gente alla fede di Cristo con la parola e con
l’esempio; sì che ricevette da loro in possesso l’isola di Hii per costruirvi un
monastero. […] Prima di venire in Britannia aveva costruito un famoso monastero in
Irlanda, che per abbondanza di querce è detto nella lingua degli Scotti Dearmach, cioè
Campo delle querce. Da questi due monasteri trassero origine molti altri, grazie
all’attività dei suoi discepoli, in Britannia e in Irlanda, ma fra tutti occupa il primo
posto il monastero dell’isola di Hii, nel quale riposa il suo corpo. Quest’isola suole
avere sempre come rettore un abate, che è prete, al cui volere è soggetta non solo tutta
la regione, ma anche, con inusitato ordine gerarchico, gli stessi vescovi, secondo
l’esempio di quel primo maestro, che non fu vescovo ma prete e monaco; si dice che i suoi
discepoli conservino alcuni scritti che trattano della sua vita e della sua predicazione.
Beda, Storia ecclesiastica, III, 4. Testo originale (C) Avuto quindi dal re il permesso di scegliersi un luogo ovunque avessero voluto, [Colombano e
Gallo] esaminarono moltissime località ed infine andarono nella regione
dell’Alemannia, presso il fiume chiamato Limmat. Ne risalirono il corso fino al lago
di Zurigo di cui presero a percorre le sponde. Come giunsero all’estremità del lago, in
una località chiamata Tuggen, le caratteristiche della zona parvero loro adatte per
risiedervi. Gli abitanti del posto erano però empi e crudeli: onoravano delle statue,
sacrificavano agli idoli, praticavano auspici e divinazioni, e seguivano molte osservanze
superstiziose in contrasto con il culto di Dio. I santi uomini, avendo cominciato ad
abitare tra quelli, cercarono di insegnare loro ad adorare il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo, ed a custodire le verità della fede. Il beato Gallo, discepolo del santo
uomo, armatosi di pio zelo, diede fuoco ai templi nei quali offrivano sacrifici ai demoni,
e gettò nel lago tutte le offerte che aveva trovate. A causa di ciò [gli abitanti del
luogo] si adirarono, inseguirono i santi e, di comune accordo, volevano uccidere Gallo e
scacciare Colombano dopo averlo frustato ed ingiuriato […] Quindi non per timore della
persecuzione, ma per desiderio di un profitto spirituale, lasciò quella gente ostinata
che non dava frutti e non volle continuare ad irrigare invano quei cuori aridi mentre
avrebbe potuto giovare ad animi ben disposti. Si mise dunque in cammino con i suoi e
giunse presso un luogo fortificato chiamato Arbon.
Valafrido Strabone, Vita di S. Gallo, SRM 4, I, 4-5. Testo originale
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