Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”
2. La cristianizzazione degli anglosassoni (A) Beda, Storia ecclesiastica
degli Angli, I, 22-23, 25-26. (B) Gregorio Magno, Lettere,
XI, 56. (A) Alle tante altre inenarrabili
scelleratezze commesse [dai Brettoni] e che sono descritte con tristi
parole dal loro storico Gilda, si aggiungeva anche che non avevano mai
predicato il messaggio della fede né ai Sassoni, né agli
Angli che abitavano con loro in Britannia. E tuttavia la grazia divina
non abbandonò il suo popolo, che aveva già conosciuto
in anticipo, ma destinò loro messaggeri di verità molto
più degni, per mezzo dei quali potessero credere.
Nell’anno 582 del Signore, Maurizio, cinquantaquattresimo dopo Augusto,
salito al trono, tenne il regno per ventun anni. Nel decimo anno del
suo regno Gregorio, uomo eminente per scienza e opere, ottenne il pontificato
della sede apostolica di Roma e lo resse per tredici anni, sei mesi
e dieci giorni. Per ispirazione divina, nell’anno quattordicesimo del
regno di Maurizio, circa quarant’anni dopo che in Britannia erano arrivati
gli Angli, mandò Agostino, servo di Dio, insieme a molti altri
monaci timorati di Dio, a predicare il messaggio di salvezza agli Angli.
In obbedienza agli ordini del papa, i monaci intrapresero quest’opera
e avevano già percorso una parte del viaggio, quando, vinti da
un terrore che li paralizzava, pensarono di comune accordo di tornarsene
in patria piuttosto che recarsi da una gente barbara, feroce, miscredente,
della quale non conoscevano neppure la lingua. […]
Confortato dall’incoraggiamento del beato padre Gregorio, Agostino si
accinse di nuovo alla predicazione del messaggio e giunse in Britannia
insieme con i servi di Cristo che erano con lui. In quel tempo era re
della Cantia il potentissimo Ethelbert, che aveva esteso i confini del
regno fino all’Humbra, fiume molto lungo che divide gli Angli del nord
da quelli del sud. A oriente dalla Cantia vi è l’isola di Tanatos
di non modesta estensione […]. In questa isola approdò
Agostino con i suoi compagni, che erano a all’incirca quaranta, come
tramandano. Per disposizione di papa Gregorio avevano preso anche alcuni
interpreti dai Franchi. Agostino mandò a dire al re Ethelbert
che egli era venuto da Roma e che portava la buona novella che prometteva,
a chi l’avesse seguita, gaudio eterno in cielo e certezza di un regno
che sarebbe stato senza fine con Dio vivo e vero. Il re, apprese queste
notizie, comandò loro di fermarsi nell’isola nella quale erano
giunti, e li fece rifornire di tutto il necessario, finché non
decidesse che fare di loro. Infatti già da tempo aveva avuto
notizia della religione cristiana perché sua moglie Berta, della
stirpe regale dei Franchi, era cristiana: i genitori di lei gliela avevano
data in moglie a condizione che avesse il permesso di conservare inviolato
il rito della sua fede e della sua religione insieme al vescovo Liudhard,
che le avevano dato come consigliere spirituale.
Dopo alcuni giorni, il re si recò nell’isola e fermatosi all’aperto
ordinò ad Agostino e compagni di venire a colloquio; temeva infatti
per vecchia superstizione di entrare con loro in un luogo chiuso, onde
impedire che quando fosse entrato, servendosi di arti magiche, lo superassero
con l’inganno. Ma quelli, forti di virtù divina e non demoniaca,
vennero portando la croce d’argento come vessillo e l’immagine del Salvatore
raffigurata su una tavola: cantando litanie supplicavano il Signore
per la salvezza eterna loro e di quelli per i quali e presso i quali
erano venuti. Fermatisi per ordine del re, predicarono la parola di
vita a lui e a tutti quelli che erano con lui; il re rispose loro con
queste parole: “Sono bellissimi i discorsi e le promesse che fate,
ma poiché sono cose nuove e incerte non posso dare il mio assenso
e abbandonare tutto quello in cui ho creduto per tanto tempo con tutti
gli Angli. Pur tuttavia, poiché siete venuti qui da tanto lontano
fra genti straniere e desiderate comunicare anche a noi, come mi sembra
di aver capito, i principi veri e buoni nei quali voi credete, non vogliamo
esservi ostili. Anzi desideriamo accogliervi con benevola ospitalità
e fornirvi tutto ciò che è necessario al vostro sostentamento.
E non vi impediamo neppure di predicare e convertire alla fede della
vostra religione tutti quelli che potete”. Diede dunque loro una
sede nella città di Doruvernis che era la capitale di tutto il
suo regno, e come aveva promesso non negò loro, insieme con provviste
di cibo temporale, il permesso di predicare. Raccontano anche che Agostino
e i suoi si avvicinarono alla città, secondo il loro costume,
con la croce santa e l’immagine di nostro Signore Gesù Cristo,
nostro re, cantando all’unisono questa litania: “Ti preghiamo,
Signore, di allontanare per la tua misericordia, il furore e l’ira da
questa città e dalla tua santa casa, poiché abbiamo peccato.
Alleluia”.
[…] Vicino alla città, a oriente, vi era la chiesa costruita
anticamente in onore di san Martino, quando ancora i Romani abitavano
la Britannia, nella quale era solita pregare la regina che, come abbiamo
detto, era cristiana. Essi dunque cominciarono inizialmente a radunarsi
in questa chiesa, a cantare, a pregare, a dire messa, a predicare, e
a battezzare; finché, convertitosi il re alla fede, ricevettero
maggiore licenza di predicare dappertutto, di fabbricare o restaurare
chiese.
Dopo che insieme con altri il re, attratto dalla vita pia dei santi
e dalle loro dolci promesse, la cui verità avevano provato anche
con la dimostrazione di molti miracoli, credette e fu battezzato, molti
cominciarono ad affluire ogni giorno per ascoltare la parola e, abbandonata
la religione pagana, credettero e si unirono alla santa Chiesa di Cristo.
Si dice che il re, pur rallegrandosi della loro fede e conversione,
tuttavia non costringesse nessuno al cristianesimo; soltanto abbracciava
di un amore più vivo i credenti, quasi suoi concittadini del
regno celeste. Infatti aveva appreso dai maestri e autori della sua
conversione che il servizio a Cristo deve essere volontario e non coatto.
Né indugiò, ma donò a quei dottori una sede consona
al loro grado a Doruvernis che era la sua capitale, e insieme aggiunse
possedimenti di vario genere per le loro necessità.
Beda, Storia ecclesiastica, I, 22-23, 25-26. Testo originale (B) Gregorio servo dei servi
di Dio al dilettissimo abate Mellito.
Dopo la partenza della nostra missione che è con te siamo stati
in grande ansia, perchè non sapevamo nulla a proposito della
buona riuscita del vostro viaggio. Quando Dio onnipotente vi avrà
fatto giungere presso il nostro reverendissimo vescovo Agostino, ditegli
ciò che ho deciso dopo lunga meditazione a proposito degli Angli
e cioè che i templi pagani di quel popolo non devono essere assolutamente
distrutti, ma che devono essere distrutti soltanto gli idoli che vi
si trovano. Benedite l’acqua, aspergetela su quei templi, costruite
altari e riponetevi reliquie. Se i templi sono ben costruiti, è
infatti necessario che siano trasformati da luoghi di culto dei demoni,
in luoghi di devozione al vero Dio, affinchè, quando la popolazione
vedrà che i suoi templi non sono distrutti, deporrà l’errore
dal proprio cuore e accorrerà per conoscere e adorare il vero
Dio nei luoghi che le sono più familiari. E poichè sono
soliti sacrificare ai demoni molti buoi, si deve cambiare qualche aspetto
di questa loro rito, per cui nella ricorrenza della consacrazione della
chiesa o del giorno della nascita dei santi martiri, le cui reliquie
vi sono riposte, costruiscano delle capanne con rami frondosi attorno
alle chiese ricavate dai templi pagani e celebrino la festività
con devoti banchetti. Non devono immolare animali al diavolo. Li uccidano
invece in lode a Dio per nutrirsene e ringrazino Lui, donatore di tutte
le cose, per essere stati saziati, affinchè, nel momento in cui
vengono ad essi riservati alcuni piaceri materiali, essi siano più
disponibili verso la gioia interiore. Non c’è infatti dubbio
che è impossibile strappare dalle loro dure menti tutti [gli
errori], giacchè non può portarsi in alto a balzi colui
che si sforza di salire gradualmente in un luogo elevato.
Gregorio Magno, Lettere, XI, 56. Testo originale
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