Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
7. I maestri di palazzo, la chiesa franca e i missionari anglosassoni (A) Beda, Storia ecclesiastica
degli Angli, V, 10-11. (B) Lettere di S. Bonifacio,
ES 1, 50. (C) Concilio di Estimes,
CC 1, c. 2, (743). (A) Egbert, uomo di Dio, quando
vide che non gli era permesso andare a predicare ai pagani, poiché
secondo quanto gli era stato preannunciato dall’oracolo era trattenuto
per un’altra missione utile alla Chiesa e poiché anche
Witbert pur andando colà non aveva concluso niente, si adoperò
ancora per mandarvi a predicare uomini santi e attivi, tra i quali eccelleva
il prete Wilbrord per la dignità presbiteriale e il merito.
Quando furono giunti (erano dodici) si recarono da Pipino, principe
dei Franchi. Questi li accolse con grande benevolenza; e dato che da
poco aveva occupato la parte di Frisia più vicina alla Gallia,
avendone scacciato Radbod, li mandò a predicare là. Fece
anche valere la sua autorità perché nessuno recasse loro
molestia quando predicavano; e concesse molti benefici a quelli che
avessero voluto abbracciare la fede; per cui con l’aiuto della
grazia divina in breve tempo i missionari convertirono molti dall’idolatria
alla fede di Cristo. […]
Nei primi tempi del suo arrivo in Frisia, appena Wilbrord venne a sapere
che gli era stato dato dal principe il permesso di predicare colà,
si affrettò ad andare a Roma, dove allora era papa Sergio, perché
desiderava iniziare l’opera di evangelizzazione dei pagani con
il suo permesso e la sua benedizione; sperava anche di ottenere da lui
alcune reliquie dei beati apostoli e martiri di Cristo. Così,
quando avesse distrutto gli idoli dei pagani e avesse edificato le chiese,
avrebbe avuto a disposizione reliquie da collocarvi e di conseguenza
avrebbe dedicato le chiese, ognuna in onore del santo di cui erano le
reliquie. Desiderava inoltre apprendere e ottenere colà molte
altre cose che l’impegno di un’opera tanto grande richiedeva.
E avendo ottenuto tutto quello che desiderava, tornò a predicare.
[…] Dopo che i missionari giunti in Frisia vi ebbero predicato
per alcuni anni, Pipino col consenso di tutti mandò Wilbrord
a Roma, dove era ancora papa Sergio, chiedendo che quello fosse ordinato
arcivescovo dei Frisoni, e ottenne ciò che aveva chiesto nell’anno
696 del Signore. Fu ordinato infatti nella chiesa e nel giorno della
festività della santa martire Cecilia e gli fu imposto dal papa
il nome di Clemente. Quindi fu rimandato subito nella sede del suo episcopato,
cioè solo quattordici giorni dopo che era venuto a Roma. Pipino
gli donò anche il luogo per la sede episcopale nel suo famoso
castello che, con antico termine di quelle genti, si chiama Viltaburg,
cioè città dei Vilti, e nella lingua gallica Traiectum.
Vi fu costruita la chiesa, e il vescovo predicando la parola di Dio
in lungo e in largo richiamò molti dall’errore e costruì
in quelle regioni non solo chiese ma anche alcuni monasteri. Così
poco tempo dopo egli fu in grado di nominare altri vescovi in quelle
regioni tra i fratelli che erano venuti a predicare con lui o dopo di
lui e dei quali alcuni già si erano addormentati nel Signore.
Invece Wilbrord, chiamato anche Clemente, ancora oggi vive, nonostante
la venerabile età avanzata, dopo trentasei anni di episcopato,
e dopo tante lotte sostenute per la milizia celeste, aspira con tutto
il cuore al premio della ricompensa divina.
Beda, Storia ecclesiastica degli Angli, V, 10-11. Testo originale (B) Al carissimo signore apostolico,
insignito del sommo pontificato, Zaccaria, Bonifacio servo dei servi
di Dio. […] La paternità vostra sappia anche che Carlomanno,
duce dei Franchi, mi ha convocato presso di sé e mi ha chiesto
di riunire un concilio nella parte del regno che è soggetta al
suo potere. Mi ha promesso di voler correggere ed emendare l’osservanza
ecclesiastica, che negli ultimi sessanta od ottanta anni è stata
conculcata e ridotta al nulla.
Se, per divina ispirazione, vorrà condurre davvero a termine
il suo proposito, io debbo avere e conoscere gli ordini ed i consigli
dell’autorità vostra, cioè della sede apostolica.
È infatti da più di ottanta anni che i Franchi –
dicono i vecchi – non hanno riunito un concilio, né avuto
un arcivescovo, né riconfermato o rinnovato i canoni della Chiesa.
E ora le sedi episcopali sono affidate per lo più a laici avidi
di possesso o a falsi chierici fornicatori che si arricchiscono in traffici
mondani. Dunque se voi mi direte che io debba intraprendere questa impresa
richiestami da Carlomanno, desidero avere i pareri e gli ordini della
sede apostolica, nonché i canoni ecclesiastici.
Se troverò diaconi che sono giunti al diaconato vivendo sin dall’infanzia
tra fornicazioni e turpitudini e che anche da diaconi hanno nel letto
quattro, cinque o più concubine né provano timore o vergogna
a chiamarsi diacono o a leggere il Vangelo: e se troverò che
giungono in queste condizioni all’ordine sacerdotale e che, perseverando
negli stessi peccati ed aggiungendo peccato su peccato, svolgono il
ministero sacerdotale dicendo di poter intercedere per il popolo ed
offrire l’ostia sacra: se infine – cosa peggiore di tutte
– troverò che salendo di grado in grado costoro sono stati
eletti e consacrati vescovi: ebbene, che per questi casi io abbia una
disposizione scritta della vostra autorità, in modo che i peccatori
siano riconosciuti colpevoli e puniti per verdetto apostolico.
Ma si trovano anche alcuni vescovi i quali, benché dicano di
non essere fornicatori, sono però dediti all’ubriachezza,
incuranti del loro ministero, amanti della caccia; e vi sono di quelli
che combattono armati nell’esercito e versano di propria mano
il sangue dei pagani e dei cristiani. Poiché so di essere servo
e rappresentante della sede apostolica, la mia parola e la vostra siano
una sola, nel caso avvenga che in più persone chiediamo un giudizio
all’autorità vostra.
Lettere di S. Bonifacio, ES 1, 50. Testo originale (C) Abbiamo anche stabilito,
con il consiglio dei servi di Dio e del popolo cristiano, a causa delle
guerre imminenti e delle persecuzioni delle altre genti che confinano
con noi, di trattenere per un po’ di tempo, con l’indulgenza
di Dio e per l’aiuto del nostro esercito, una parte dei beni ecclesiastici
a titolo di precaria, a questa condizione: che ogni anno per
ogni fattoria sia dato alla chiesa o al monastero un solido, cioè
dodici denari; in modo tale che, se muore colui al quale è stata
affidata la proprietà, la chiesa sia rivestita della proprietà
stessa, e di nuovo, se c’è necessità – ossia
qualora il principe lo comandi – sia rinnovata la precaria e se
ne scriva una nuova. E si faccia molta attenzione che non soffrano penuria
e povertà la chiesa o i monasteri la cui proprietà sia
stata prestata a titolo precario; al punto che, se la povertà
lo impone, il possesso sia integralmente restituito alla chiesa e alla
casa di Dio.
Concilio di Estimes, CC 1, c. 2, (743). Testo originale
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