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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


VI
Le origini del potere temporale dei papi

2. Papi, imperatori ed esarchi
(A) Vita di Severino, Pontificale romano, I, pp. 328-329.
(B) Vita di Martino, Pontificale romano, I, pp. 336-338.

(A) Severino, romano di nascita, figlio di Abieno, sedette [sul trono pontificio] due mesi e quattro giorni. Ai suoi tempi – mentre ancora Severino era solo eletto – fu devastato l’episcopio lateranense dal cartulario Maurizio e da Isacio, patrizio ed esarca d’Italia. Ma prima ancora che venisse [a Roma] il patrizio Isacio, Maurizio, spinto all’inganno verso la chiesa di Dio, fatta lega con alcuni uomini malvagi, incitò l’esercito romano, dicendo: “A che giova che tante ricchezze siano state riunite nell’episcopio lateranense dal papa Onorio, se i soldati che sono qui non ne ricavano nulla? Inoltre, ogni volta che il signore imperatore vi mandò le vostre paghe, esse sono state nascoste qui dal suddetto personaggio”. Udito ciò, tutti si infiammarono contro la chiesa di Dio e vennero con animo irato – tutti gli armati che si trovavano a Roma, dai vecchi ai fanciulli – nel suddetto episcopio lateranense, ma non riuscirono ad entrare con la forza delle armi, poiché quelli che erano con il santissimo Severino resistettero loro. Allora, vedendo questo (che non riuscivano a far nulla), astutamente Maurizio fece stazionare l’esercito entro l’episcopio lateranense, e vi stettero per tre giorni. Passati i tre giorni, Maurizio con gli ufficiali che si erano uniti a lui nella cospirazione entrò [nell’episcopio] e sigillò tutto il vestiario della chiesa (o cymilia dell’episcopio), [contenente le ricchezze] che parecchi imperatori cristianissimi, patrizi e consoli avevano lasciato al beato Pietro apostolo per la redenzione delle loro anime, affinché fossero erogate ai poveri come alimento nei vari periodi [nei quali era necessario], o perché servissero per il riscatto dei prigionieri. Dopodiché Maurizio inviò le sue lettere ad Isacio patrizio a Ravenna, narrandogli ciò che era accaduto, in che modo egli stesso con l’esercito aveva sigillato tutto il vestiario dell’episcopio e come aveva potuto depredare tutta la suddetta ricchezza senza alcun spargimento di sangue. Avendo appreso che ciò era verissimo, Isacio venne a Roma e mandò in esilio tutti i vari primati della chiesa in città differenti, affinché [in città] non ci fosse più nessuno del clero in grado di opporre resistenza. E dopo alcuni giorni il patrizio Isacio entrò nell’episcopio lateranense e vi stette per otto giorni, finché non ebbe depredato tutta quella ricchezza. Contemporaneamente inviò da lì una parte di quella ricchezza nella città regia all’imperatore Eraclio. Dopodiché fu ordinato [papa] il santissimo Severino e Isacio tornò a Ravenna.

Vita di Severino, Pontificale romano, I, pp. 328-329.

Testo originale


(B) Martino, nato a Todi nella provincia della Tuscia, sedette [sul trono pontificio] sei anni, un mese e ventisei giorni. Ai suoi tempi Paolo, vescovo della città di Costantinopoli, gonfio di spirito di superbia contro il giusto dogma della santa chiesa di Dio, presumette di andare audacemente contro alle definizioni dei Padri; e inoltre si adoperò per coprire il proprio errore con alcune manovre segrete, così da persuadere il clementissimo principe ad esporre il Typus che distruggesse il dogma cattolico; in questo editto falsò completamente tutte le voci dei santi Padri [mescolandole] con le affermazioni dei nefandissimi eretici, stabilendo che non si dovesse credere né in una né in due volontà o operazioni in Cristo nostro Signore. […]

Allora Martino santissimo e beatissimo vescovo riunì i vescovi in numero di centocinque nella città di Roma e fece un sinodo secondo le regole stabilite dai Padri ortodossi nella chiesa del Salvatore, vicino all’episcopio lateranense, alla presenza di vescovi, preti, diaconi e tutto il clero. E condannarono Ciro alessandrino, Sergio, Pirro e Paolo patriarchi di Costantinopoli, che osarono proporre delle novità contrarie alla fede immacolata; perciò […] furono colpiti dalla condanna dell’anatema. [Gli atti di] questo sinodo oggi sono conservati nell’archivio della chiesa. E facendo esemplari [di questi atti], li inviò a Oriente e ad Occidente, e li diffuse dappertutto per mano di fedeli ortodossi.

In quei giorni l’imperatore inviò in Italia il cubiculario ed esarca Olimpio per governare tutta l’Italia, ordinandogli: “Conviene alla tua gloria, come ci ha suggerito di agire il patriarca di questa città (che Dio la protegga), Paolo, che, se troverai in quella provincia qualcuno d’accordo con l’editto da noi esposto, ti impadronirai di tutti i vescovi che sono lì e del clero e […] li costringerai a sottoscrivere il medesimo editto. Altrimenti, come ci hanno suggerito il glorioso patrizio Platone e il glorioso Eupraxio, se avrai potuto persuadere l’esercito che è stanziato lì, ti ordiniamo di impadronirti di Martino, che era apocrisario nella città regia, e dopo di ciò sia fatto leggere in tutte le chiese il Typus ortodosso da noi redatto e sia fatto sottoscrivere da tutti i vescovi d’Italia. Se però in questa faccenda troverai che l’esercito è contrario, te ne starai zitto finché non avrai la provincia sotto il tuo controllo e sarai riuscito a riunire un esercito, tanto della città di Roma che di Ravenna, affinché possiate compiere fino in fondo le cose che vi sono state ordinate”.

Il predetto Olimpio venendo a Roma trovò la santa Chiesa romana radunata con tutti i vescovi d’Italia, i sacerdoti e il clero. E volendo portare a termine ciò che gli era stato ordinato, forte del valore dell’esercìto cercò di far nascere lo scisma nella santa Chiesa. Tentò per parecchio tempo; e Dio onnipotente non gli permise di portare a termine ciò che si sforzava di fare. Vedendosi perciò superato dalla santa Chiesa cattolica e apostolica di Dio, reputò necessario dissimulare la sua malvagia intenzione e fare segretamente ciò che non gli era riuscito a mano armata: alla messa solenne nella chiesa della vergine Maria semprevergine madre di Dio detta ad Praesepe, alla comunione, mentre il papa si volgeva verso di lui, cercò di ucciderlo: aveva affidato il compito ad un suo spatario. Ma Dio onnipotente, che è solito proteggere i suoi servi ortodossi e salvarli da ogni male, accecò lui stesso lo spatario dell’esarca Olimpio, e non gli concesse di vedere il papa – per poter versare il sangue di quello e soggiogare la Chiesa cattolica di Dio all’eresia – quando porse la comunione all’esarca e gli diede la pace. […]

Poi fu diretto dall’imperatore [in Italia] l’esarca Teodoro, detto Calliopa, con il cubiculario imperiale Teodoro, detto Pellurio, con ordini precisi. E prelevando il santissimo papa Martino dalla chiesa del Salvatore, detta anche Costantiniana, lo condussero a Costantinopoli; e neppure così li placò. Poi fu diretto il già nominato santissimo uomo in esilio, nel luogo detto Cherson, e lì, come a Dio piacque, finì la sua vita in pace come confessore di Cristo; operò anche, fino al giorno d’oggi, molti miracoli.

Vita di Martino, Pontificale romano, I, pp. 336-338.

Testo originale

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Ultimo aggiornamento: 01/09/05