Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
3. La crisi dell’VIII secolo (A) Vita di Gregorio II,
Pontificale romano, I, pp. 407-408. (B) Vita di Stefano
II, Pontificale romano, I, p. 441. (C) Vita di Stefano III, Pontificale romano,
I, pp. 468-470. (A) In quel tempo fu invaso con
l’inganno dai Longobardi il castello di Sutri, che rimase nelle loro
mani per centoquaranta giorni. Ma, dopo che erano state inviate dal
pontefice al re continue lettere e ammonimenti, e sebbene [fosse necessario
anche l’invio di] molti doni, privatosi per una volta di tutta la sua
potenza, il predetto re dei Longobardi lo restituì e lo donò
ai beatissimi apostoli Pietro e Paolo, facendo una donazione. […]
Dopo qualche tempo lo stesso re, fatta una spedizione per sottomettere i duchi di Spoleto
e Benevento, ricevuti dagli stessi duchi giuramenti e ostaggi, si riunì con tutto il suo
esercito nel Campo di Nerone. Il pontefice, uscito [dalla città] incontro a lui e
arrivato alla sua presenza riuscì ad addolcire l’animo del re con i suoi pii ammonimenti,
cosicché quello si prosternò ai suoi piedi e promise di non commettere alcuna violenza e
di ritornare indietro. Infatti fu spinto a tanta compunzione dai pii moniti [del papa] che
si spogliò delle sue vesti e le depose davanti al corpo dell’apostolo. Dopodiché,
recitata una preghiera, si ritirò.
Vita di Gregorio II, Pontificale romano, I, pp. 407-408. Testo originale
(B)
Poiché pesava su Roma e le città a lei soggette una grande persecuzione da parte di
Astolfo re dei Longobardi, e la violenta crudeltà del medesimo re ormai minacciava [di
colpire] da un momento all’altro, subito il beatissimo papa, nel terzo mese della sua
ordìnazione, decise di mandare suo fratello, il santissimo diacono Paolo, e il primicerio
Ambrosio al re dei Longobardi Astolfo, con molti doni, per stabilire e confermare i patti
di pace. I predetti messi, recatisi dal re […], stabilirono con lui un patto della
durata di quarant’anni. Ma il protervo re dei Longobardi, posseduto dalla furberia
dell’antico nemico, ruppe i patti di pace dopo quasi quattro mesi, cadendo nel reato di
spergiuro […]. Desiderando inoltre invadere tutta questa provincia, nonostante che Dio
gli fosse contrario, [Astolfo] si sforzava di imporre un pesante tributo agli abitanti
della città di Roma; voleva avere a tutti i costi un solido d’oro all’anno per abitante e
asseriva sdegnosamente che sottometteva alla sua giurisdizione la città di Roma e i
castelli ad essa soggetti.
Vita di Stefano II, Pontificale romano, I, p. 441. Testo originale
(C) Mentre il suo predecessore,
il signor papa Paolo, si trovava nella chiesa di S. Paolo a causa della
pesantezza del clima estivo ed era gravemente malato – e di ciò
morì – giorno e notte il beatissimo Stefano perseverava nel servizio
del papa suo predecessore, senza allontanarsi da lui finché morì.
Ma quello non aveva ancora esalato l’ultimo respiro che subito il duca
Totone, abitante di Nepi, insieme con i fratelli Costantino, Passivo
e Pasquale, portandosi appresso una moltitudine di armati, [provenienti]
sia da Nepi sia dalle altre città della Tuscia, e una caterva
di contadini, entrando a Roma attraverso Porta S. Pancrazio e piazzandosi
armati in casa del predetto Totone, lì elessero subito [papa]
Costantino, fratello di Totone, che pure era laico. Molti di loro, forniti
di armi e corazze, lo introdussero come ladri nel patriarchio lateranense,
e, salendo con lui nell’ufficio del vicedominus, preso subito
a forza il vescovo Giorgio lo costrinsero a conferire il chiericato
a Costantino. […] E così, fatto chierico, quello invase
il patriarchio lateranense. Il giorno successivo, all’alba del secondo
giorno della settimana, fu consacrato suddiacono e diacono dal medesimo
vescovo nell’oratorio di S. Lorenzo dentro il medesimo patriarchio,
contro le disposizioni dei santi canoni, e poi si fece prestare giuramento
da tutto il popolo. E la domenica, affrettandosi ad andare nella basilica
di S. Pietro [accompagnato], di nuovo, da una moltitudine di uomini
armati, fu consacrato pontefice dal medesimo Giorgio vescovo di Preneste
e da altri due vescovi, Eustazio di Albano e Citonato di Porto. E tenne
per un anno e un mese la sede apostolica che aveva invaso. […]
Cristoforo e Sergio, licenziati dal re dei Longobardi, si recarono insieme a Rieti. Sergio
e il prete Waldiperto, con Reatini, Furconini e altri Longobardi del ducato di Spoleto
precedettero gli altri e si recarono subito a Roma; e il ventinove del mese di luglio,
nella sesta indizione, di sera, [quasi] al calare della notte, alla vigilia della festa
dei beati Abdon e Sennen, occuparono il Ponte Salario. Il giorno seguente, passando per
Ponte Milvio, andarono alla Porta di S. Pietro e di li si diressero a Porta S. Pancrazio.
Alcuni compagni di Cristoforo e Sergio, che custodivano la porta, vedendo Sergio
avvicinarsi alla porta, gli fecero segno e subito l’aprirono; e così Sergio e Waldiperto
con i Longobardi entrarono nella città di Roma. Salirono sulle mura della città con le
torce, temendo il popolo romano; i Longobardi non osarono scendere dal Gianicolo e
rimasero lì con grande trepidazione.
Vita di Stefano III, Pontificale romano, I, pp. 468-470. Testo originale
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