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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


X
L’Italia
L’età dell’anarchia politica

10. La Sicilia musulmana
(A) Al-Waquidi, La conquista della Siria e dell’Egitto, I, c. 32.
(B)

In questo quadro dell’evoluzione italiana fino alla metà circa del secolo X non va dimenticata l’esistenza di una vasta regione, che aveva preso a seguire una strada del tutto diversa dal resto del paese: la Sicilia, unica superstite, nel X secolo, degli stati musulmani sorti sul territorio italiano (nel secolo precedente c’erano stati altri due emirati a Bari e a Taranto). Unica superstite, ma di gran lunga la più importante di tutti, la Sicilia era stata conquistata dai musulmani inviati dagli Aghlabiti di Tunisia, al termine di una lunga lotta contro i Bizantini condotta tra l’827 e il 901 (caduta di Taormina). La lontananza da Bisanzio non aveva consentito alla flotta imperiale di difendere fino in fondo l’isola. I due testi di area musulmana che si propongono qui riguardano, rispettivamente, il ricordo ormai semifavoloso delle circostanze iniziali della conquista, opera di un autore del XII secolo, Al-Waquidi, e la descrizione di una grande capitale mediterranea, Palermo, vista da Ibn Hawqal, un mercante di Bagdad vissuto nel X secolo ed autore di un’opera a carattere geografico, un genere questo molto diffuso nel mondo musulmano (i testi sono riportati nella traduzione ottocentesca di Michele Amari, solo in parte modernizzata nel linguaggio).


(A) Indi assursero i Musulmani alla conquista della Sicilia. Paese era questo di gran importanza, poiché dai tempi più antichi fino ai nostri non sedette re dei Rûm [1], se non in tre luoghi della Terra: Sicilia, Roma e Costantinopoli. La Sicilia è una grande e fertile isola, della estensione di tre giornate di cammino in lunghezza sopra altrettante in larghezza, ed ha fontane copiose ed alberi con frutta stupende.

[…] I Musulmani mandarono uno dei loro, accompagnato da un interprete, che gli spiegasse la lingua dei Rûm. Arrivato l’ambasciatore e fermatosi di faccia al re, questi gli chiese: “Chi siete voi?”. Il musulmano rispose: “Siam quegli Arabi la cui fama è arrivata sino alle estremità della Terra, alle sommità dei monti ed agli spazii dei mari. L’Onnipossente Iddio ci mandò un profeta ch’era tra noi l’uomo più eloquente, più verace e più nobile d’animo: egli ci chiamò alla fede dell’Onnipossente Iddio. Noi seguimmo l’inviato di Dio, e gli credemmo, non tutti però ché alcuni ricusarono; onde il Profeta combatté i riluttanti per mezzo dei credenti; finché Iddio non esaltò gli Arabi tutti. Prima di quel tempo aveva Eraclio [2], re dei Rûm, riconosciuto in Maometto lo spirito della profezia, ed attestata senza contrasto la sua missione divina. Ora il nostro profeta Maometto, prima di venire a morte, ci fece sapere che Iddio ci darebbe la vittoria sopra tutte le altre religioni, e ci farebbe trionfare. Tu già sai ciò che facemmo in Siria, quantunque pochi e scarsi di danaro e d’armi: che pur mettemmo in fuga Eraclio, sì che, tutto spaventato, riparò in Costantinopoli, e che la paura gli rimase addosso, fin ch’ei morì per cagion della guerra che ci avea fatta. Gli succedette il suo figliuolo Costante, e tu già sai quali sventure piombarono addosso a lui ed a’ suoi seguaci; come il vento li portò via; come furono affranti di ferite, e com’egli infine venni qui e voi gli deste addosso. Questo è quanto ho da dirti. […] Sappi che il solo scopo al quale venghiamo qui è di farvi abbracciare la nostra religione; farvi credere in Dio e nel suo apostolo; farvi far la preghiera; farvi pagar la zakâh [3]; farvi obbedire ai precetti ed ai divieti di Dio: nel qual modo sarete sicuri nelle vostre case e nei vostri beni, e vi manderemo alcuni di noi che v’insegni le leggi della nostra religione. Se rifiutate di consentirvi ad essa, accettate il nostro dominio e la nostra protezione; pagateci la gesìa [4] e rimarrete nelle vostre case, ugualmente sicuri. Se poi rifiutate queste nostre offerte, siate avvertiti ed ammoniti, e sappiate che dopo ciò non rimarrà altra via che la spada. Se noi cadremo in battaglia noi sappiamo, per l’evidenza delle parole del Signore, che sarà nostro soggiorno il paradiso; e voi, se vi uccideremo, avrete per soggiorno il fuoco, sì come ha detto il nostro profeta Maometto”. Il principe di Sicilia [5] rispose: “Di’ al vostro emiro, che la Sicilia non somiglia alle città dei Rûm, che voi avete conquistate: di’ che il caso non è quello che voi supponete, e che la Sicilia sta tranquilla tra tutte queste vostre minacce. Sì che, vedendo il numero della nostra gente, e la grande abbondanza delle nostre armi, voi vi pentirete d’essere venuti qui”.

Al-Waquidi, La conquista della Siria e dell’Egitto, I, c. 32.

[1] I Bizantini (Rûm = ‘Romani’).

[2] Eraclio I, imperatore bizantino (610-641) [cfr. capitolo 8].

[3] È la tassa sui beni mobili, prescritta dalla legge a tutti i musulmani.

[4] È un tributo che i sudditi cristiani o ebrei dovevano pagare per garantire sicurezza a se stessi e ai propri beni.

[5] Si tratta di un anacronismo.


(B) Della Sicilia. Questa isola è lunga sette giorni [di cammino], larga quattro giornate; montuosa, irta di rocche e di castelli, abitata e coltivata per ogni luogo. Essa non ha altra città famosa e popolosa che quella che chiamano Palermo, ed è la capitale dell’isola. Sta [proprio] sulla spiaggia, nella costiera settentrionale. Palermo si compone di cinque quartieri, non molto lontani [l’un l’altro], ma sì ben circoscritti che i loro limiti appaiono chiaramente. [Il primo è] la città grande, propriamente detta Palermo, cinta d’un muro di pietra alto e difendevole, abitata da’ mercanti. Quivi la moschea gâmi [1] che fu un tempo chiesa dei Rûm; nella quale [si vede] un gran santuario. Ho inteso dire da un certo logico che il filosofo de’ Greci antichi, ossia Aristotele, giaccia entro [una cassa di] legno sospesa in cotesto santuario, che i Musulmani hanno mutato in moschea. I Cristiani onoravano assai la tomba di questo [filosofo] e soleano implorare da lui la pioggia, prestando fede alle tradizioni [lasciate] da’ Greci antichi intorno i suoi grandi pregi e le virtù [del suo intelletto]. Raccontava [il logico], che questa cassa era stata sospesa lì a mezz’aria, perché la gente ricorressevi a pregare per la pioggia, o per la [pubblica] salute e [per la liberazione di tutte] quelle calamità che spingon [l’uomo] a volgersi a Dio e propiziarlo; [come accade] nei tempi di carestia, morìa o guerra civile. [Per vero] io vidi lassù una [cassa] grande di legno, e forse racchiudea l’avello.

L’[altra città] che ha nome ’Al Hâlisah’ [2], è cinta anch’essa d’un muro di pietra, ma non tale che sia simile al primo [da noi descritto]. Soggiorna nella Hâlisah il Sultano con i suoi seguaci: quivi non mercati, non fondachi; v’ha due bagni, una moschea gâmi, piccola, ma frequentata; la prigion del Sultano; l’arsenale [di marina] e il dîwân [3]. Ha quattro porte a mezzogiorno, tramontana e ponente; a levante un muro senza porte.

Il quartiere dello Harat ’as Saqâlibah [4] è più ragguardevole e popoloso che le due città anzidette. In esso il porto; in esso parecchie fonti, le acque delle quali scorrono tra questo quartiere e la città vecchia: tra l’uno e l’altra il limite non è segnato se non che dalle acque. Il quartier che si chiama Harat ’al Masgid [5] […] è spazioso anch’esso; ma difetta d’acque vive, per cui gli abitanti bevono dai pozzi.

[Scorre] a mezzogiorno del paese un grande e grosso fiume che s’appella Wâdi ’Abbâs, sul quale sono piantati molti mulini; ma [l’acqua di esso] non si adopera per l’[irrigazione degli] orti, né dei giardini.

Grosso è ’Al Harat ’al gadîdah [6] il quale s’avvicina al Quartiere della moschea, senza separazione, né intervallo: neanche ha mura il quartiere degli Schiavoni. La maggior parte dei mercati giace tra la moschea di Hbn Siqlâb e questo Quartier nuovo: per esempio, il mercato degli oliandoli, che racchiude tutte le botteghe de’ venditori di tal derrata. I cambiatori e i droghieri soggiornano anch’essi fuor le mura della città; e similmente i sarti, gli armaiuoli, i calderai, i venditori di grano e tutte quante le altre arti. Ma i macellai tengono dentro la città meglio che cinquanta botteghe da vender carne; e qui [tra i due quartieri testé nominati] non ve n’ha che poche altre. Questo [grande numero di botteghe] mostra la importanza del traffico suddetto e il grande numero di coloro che lo esercitano. Il che si può argomentare ugualmente dalla vastità della loro moschea; nella quale, un dì ch’era zeppa di gente, io contai, così in aria, più di settemila persone; poiché v’erano schierate per la preghiera più di trentasei file, ciascuna delle quali non passava il numero di dugento persone.

Le moschee della città, della Hâlisah e de’ quartieri che giacciono intorno la [città fuori le mura, passano il numero di trecento: la più parte fornite d’ogni cosa, con tetti, mura e porte. […]

[In vero] io non ho visto tanto numero di moschee in nessuna delle maggiori città, foss’anco grande al doppio [di Palermo], né l’ho sentito raccontare se non che da quei di Cordova [per la loro patria]; per la quale città io non ho verificato il fatto, anzi l’ho riferito a suo luogo non senza dubbio. Lo posso affermare bensì per Palermo, perché ho veduta con gli occhi miei la più parte di [queste moschee]. […]

Giaccion su la spiaggia del mare molti ribât [7] pieni di sgherri, uomini di mal affare, gente da sedizioni, vecchi e giovani, ribaldi di tante favelle, i quali si son fatta in fronte la callosità delle prosternazioni per piantarsi lì ad acchiappare l’elemosina e sparlar delle donne oneste. La più parte sono mezzani di lordure o rotti a vizio infame. Ripararono costoro nei ribât, come quegli uomini da nulla che sono, gente senza tetto, [vera] canaglia.

Ho detto della Hâlisah, delle sue porte e di quanto c’è lì [da notare]. Venendo ora al Qasr [8] propriamente chiamato Palermo, dico ch’è questa la città antica. Delle sue porte, la principale è la Bâb ’al bahr [9], così chiamata perché vicina al mare.

La città, [di figura] bislunga, racchiude un mercato che l’attraversa da ponente a levante e si chiama ’As simât [10]: tutto lastricato di pietra da un capo all’altro; bello emporio di varie specie di mercanzie. Scaturiscono intorno a Palermo acque abbondanti, che scorrono da levante a ponente, con forza da volgere ciascuna due macine; onde son piantati parecchi mulini su que’ rivi. Dalla sorgente allo sbocco in mare sono essi fiancheggiati di vasti terreni paludosi, i quali, dove ...[mancano le pp. successive]

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Ultimo aggiornamento: 01/09/05