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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


X
L’Italia
L’età dell’anarchia politica

3. A sud dell’Appennino: tra principi e Saraceni
(A) Cronaca della dinastia capuana, pp. 124-130.
(B) Cronaca del Volturno, FSI 59, II, n. 74.
(C) Ugo di Farfa, Distruzione del monastero di Farfa, FSI 33, pp. 31-32.

(A) Landolfo, vescovo e conte, prima dell’avvento del già nominato imperatore e dopo la sua morte tenne Capua per dodici anni [1].

Alla morte [di Landolfo], Pandonolfo, suo nipote, fu fatto conte di Capua e, nello stesso tempo, Landolfo, figlio di Landone, fu fatto vescovo [della città] [2]. Ma, per suggerimento dell’avversario della fede cristiana [3], in quell’anno fu fatta una divisione del medesimo episcopato dal già nominato Pandonolfo. Il quale, acceso dall’ardore dell’odio e dell’invidia, mandò a Roma suo fratello, ordinandolo contro i canoni (da laico che era), e con molte preghiere ottenne da papa Giovanni [4] che lo facesse vescovo. Per questo motivo nacque non piccola discordia fra i parenti di entrambi i vescovi, così che l’odio diventò fortissimo per molto tempo.

Infine il già detto Pandonolfo, passati quattro anni e otto mesi nella sua carica di conte, fece un banchetto con tutti i suoi parenti, legandoli con molti giuramenti, affinché non gli nocessero in alcun modo. Ma [quelli], facendo subito spergiuro, lo presero e divisero tra loro il comitato capuano; e il vescovo Landolfo si impadronì di tutto il vescovato. Landone, padre del vescovo Landolfo, fu conte di Capua per due anni e dieci mesi [5].

A lui successe Landonolfo, suo fratello, tenendo in sua vece [il comitato] per un anno e quattro mesi.

Alla morte di questi, nel mese di gennaio, prese Capua il conte Atenolfo che, governando in modo mirabile per tredici anni, fu fatto poi principe di Benevento [6].

Nel secondo anno dopo che fu fatto conte di Capua il signore Atenolfo, fu attaccata una grande battaglia fra Capuani e Napoletani in Liburia, a S. Carzio. Ma furono uccisi così tanti Napoletani dai Capuani, che di loro ne rimasero pochissimi. I Napoletani furono aiutati da Bizantini e Saraceni.

Indizione VI, dopo undici giorni: Berelais è presa dal signore Atenolfo [7]. Nel quarto anno del principato del signore Atenolfo, glorioso principe, nel mese di giugno, nella sesta indizione, fu fatta una grande strage di cristiani dai Saraceni al fiume Traietto [8].

Fu attaccata battaglia fra [Landolfo e Atenolfo] e Ursileo allora ipato e patrizio; ma i già detti principi ottennero la vittoria, e fu ucciso il suddetto Ursileo con molti altri, e moltissimi furono catturati, e tutta la Puglia fu soggiogata ai detti principi [9].

Nel quarto giorno del mese di febbraio ci fu l’arrivo degli Ungari, indizione decima [10].

Cronaca della dinastia capuana, pp. 124-130.

Testo orininale

[1] Landolfo morì nell’879.

[2] Pandonolfo, 879-882.

[3] Il diavolo.

[4] Giovanni VIII.

[5] Landone III, 882-885, cui succede il fratello Landonolfo (885-887).

[6] Atenolfo I, fratello dei due conti precedenti, fu conte di Capua dal gennaio 887 e poi principe di Capua-Benevento dal gennaio 900; morì nel 910.

[7] Berelais è il nome con il quale veniva designato l’anfiteatro romano di Capua vecchia.

[8] In realtà il fiume è il Garigliano, in località Traetto: si tratta del primo (e sfortunato) tentativo da parte di Atenolfo di eliminare il nido saraceno del Garigliano [cfr. paragrafo 4]. Siamo nell’anno 903.

[9] I principi di Capua intervennero in Puglia in seguito ad una sollevazione degli abitanti contro Ursileo, governatore della regione per conto di Bisanzio (921).

[10] Si tratta del 4 febbraio 922.


(B) In nome del Signore Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo. Anno settimo dei signori imperatori Leone ed Alessandro e [primo anno] del principato del signore Aione sulla città di Benevento, mese di aprile, quindicesima indizione [1]. Io Maio, nel nome di Dio abbate del monastero di S. Vincenzo, che fu fondato alla sorgente del fiume Volturno, rendo noto che il suddetto nostro monastero per giudizio di Dio fu preso dai Saraceni, e si sa che fu bruciato con il fuoco e distrutto, e che tutto il tesoro, ovvero tutti gli utensili e gli arredi sacri sono stati rubati e depredati da quella stessa nefandissima gente degli Agareni, e il rimanente fu bruciato con il fuoco. Moltissimi dei nostri fratelli, inoltre, sono stati presi in quell’occasione e portati via prigionieri; alcuni di loro giacciono ancora in prigionia e gemono sotto il giogo di quelli; altri nostri fratelli invece sono stati uccisi e gli altri, che sono rimasti, in questi duri tempi sono costretti alla fame e alla nudità. E dopo questo ci accadde anche una maggiore disgrazia, mentre noi andavamo [vagando] a causa dello stato di necessità totale del nostro monastero, nel quale esso era caduto a causa dei Saraceni che devastavano e distruggevano tutto. Accadde infatti, a causa di tutti i nostri peccati, che il nostro monastero, detto di Apiniaco, come vedemmo, era stato preso e distrutto, e tutto l’oro e l’argento e le vesti preziose e tutti i sacri arredi erano stati predati; [i Saraceni] lasciarono il monastero bruciato con il fuoco. I nostri fratelli, dispersi qua e là, giacciono in gravi necessità. Noi perciò, già nominato abbate, essendoci riuniti dopo non molto tempo con i nostri fratelli, prendemmo a pensare ad ogni nostra necessità, come potessimo riuscire a nutrire e vestire noi e i nostri fratelli, o a salvare qualcosa di ciò che è necessario per il nostro monastero, ovvero come potessimo riscattare dalla prigionia quei nostri fratelli che sono in cattività. Preso quindi consiglio con loro, ci parve del tutto idoneo [stabilire] che, se avessimo trovato una persona che volessere prendere alcuni beni del nostro monastero con un accordo, ovvero con un livello, e che ci prestasse dell’argento, tramite il quale ponessimo salvare qualcuna delle cose necessarie per il nostro monastero, gli avremmo dato beni, servi e ancelle del nostro monastero.

Recentemente in effetti abbiamo trovato Leone, figlio di un altro Leone, di Isernia, con il quale abbiamo parlato e stabilito che ci prestasse trentacinque libbre d’argento, e noi gli daremmo a livello i beni del nostro monastero che abbiamo [nelle seguenti località …]. Tutte queste cose le abbiamo date e consegnate [a Leone] per ventinove anni, in modo tale che per questi ventinove anni annualmente ci pagasse, egli e i suoi eredi, un solido a noi e ai nostri successori. Terminato poi il tempo stabilito, renderemo a lui e ai suoi eredi trenta libbre d’argento, e le altre cinque libbre residue rimangano presso di noi imputate al medesimo censo; e riprenderemo da quelli le predette nostre cose, i servi e le ancelle senza alcuna opposizione.

Cronaca del Volturno, FSI 59, II, n. 74.

Testo originale

[1] Aprile 885; sul principato di Benevento, come si vede dalla datazione, Bisanzio esercitava in questo momento la sua alta sovranità.


(C) Infine [i Saraceni] arrivarono al monastero, che cercarono di espugnare dopo averlo circondato da ogni parte, ma non ci riuscirono mai. Infatti il venerabile Pietro, abbate dello stesso monastero [1], fidando nell’aiuto di Dio e in quello dei soldati, spesso li espelleva dal territorio del suo monastero, li faceva inseguire parecchio a lungo e, uccidendone molti, rimaneva [poi] tranquillo per parecchi giorni. Ma quelli, aggressivi, poiché avevano [già] soggiogato al proprio potere tutti i luoghi vicini, tornavano sempre lì a combattere. Allora il predetto abbate, avendo sostenuto questa oppressione con i suoi monaci per sette anni consecutivi, e vedendo che Dio aveva del tutto dimenticato il popolo cristiano a causa della sua malizia, abbandonandolo al potere dei pagani, vedendo che per nessuna ragione poteva allontanare più oltre tali calamità da quel luogo, presa una decisione: divise i fratelli e i tesori in tre parti. Ne mandò una a Roma, un’altra la mandò a Rieti, e lui stesso invece si rifugiò con la terza parte nel comitato di Fermo, dopo aver abbandonato del tutto il monastero; ma prima di partire distrusse il ciborio […] e nascose i pezzi sotto terra: e fino ad oggi nessuno è riuscito a trovarli.

Una volta che fu uscito quello con i suoi monaci, gli Agareni entrarono e invasero il luogo. Dopo averlo perlustrato, piacque loro tanto che non danneggiarono per nulla l’edificio perché apparve loro bellissimo, riservandosi di decidere, quando a loro fosse sembrato opportuno, di entrarvi e di abitarlo. Accadde in seguito che alcuni ladruncoli cristiani, che vagabondavano qua e là a causa della loro povertà, capitassero lì di notte e dormissero in un angolo del monastero [e], acceso un fuoco, fuggissero atterriti dalla paura. Il fuoco arse, e in assenza degli uomini prevalse e bruciò tutto ciò che era rimasto. I predetti ladruncoli erano del paese di Catino; non riuscirono [infatti] a tenere nascosto il male che avevano commesso per negligenza.

Ugo di Farfa, Distruzione del monastero di Farfa, FSI 33, pp. 31-32.

Testo originale

[1] Pietro fu abbate probabilmente dall’ 890 al 919; la distruzione del monastero di Farfa va collocata intorno all’ 898.

© 2000
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Ultimo aggiornamento: 01/09/05