Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. Due nidi saraceni (A) Liutprando, Antapodosis,
I, 2, 3, II, 43-44, 52-54. (B) Rodolfo il Glabro, Storie,
I, 9. (A) [Frassineto] è circondata
dal mare da un lato e dagli altri è difesa da una densissima
selva di rovi. Se qualcuno vi entra, è trattenuto dall’intrico
dei rami e trafitto da acuminate spine tanto che non può né
avanzare né ritornare se non con grande travaglio.
Ma per un disegno di Dio occulto e giusto, giacché non può
essere diversamente, alcuni Saraceni, una ventina appena, salpati dalla
Spagna su una piccola nave, senza volerlo furono trascinati qui dal
vento. Questi pirati, sbarcati di notte, entrano nel paese di nascosto
ed uccidono, ahi dolore!, i cristiani; impadronitisi del luogo, apprestano
il monte Mauro vicino al paese come rifugio contro le popolazioni confinanti,
rendendo quella selva di rovi ancor più estesa e più folta,
per propria difesa, con questa legge: se qualcuno da essa avesse tagliato
anche un solo ramo, sarebbe morto per colpo di spada. E così
avvenne che fu tolta ogni possibilità di accedervi se non per
una sola via strettissima. Fidando dunque nell’asperità del luogo,
perlustrano di nascosto le genti vicine tutt’intorno. Mandano messi
in Spagna per far venire quanti più uomini possono, lodano il
luogo ed assicurano di non far alcuna stima delle genti vicine. Infine
conducono con sé per il momento solo cento Saraceni a prender
conferma della verità dell’asserzione. Ma anche i Saraceni che,
come ho detto, erano stabiliti a Frassineto, dopo la sconfitta dei Provenzali,
straziavano non poco alcune parti dell’Italia superiore a loro vicine;
tanto che, saccheggiate molte città, giunsero ad Acqui, che dista
circa quaranta miglia da Pavia. […]
Nel medesimo tempo i Saraceni, salpati con le loro navi dall’Africa,
occuparono la Calabria, l’Apulia, il Beneventano ed anche quasi tutte
le città dei Romani, di modo che ogni città, metà
la tenevano i Romani, metà gli Africani. Avevano inoltre stabilito
una fortificazione sul monte Garigliano, in cui conservavano ben al
sicuro le donne, i bambini, i prigionieri e tutte le loro robe. Nessuno
da occidente o da settentrione poteva passare per andare a Roma a pregare
sulle tombe dei beatissimi apostoli, senza che fosse preso da questi
o lasciato libero col pagamento di un forte riscatto. Sebbene infatti
l’infelice Italia fosse oppressa da molte stragi degli Ungari e dei
Saraceni di Frassineto, tuttavia da nessuna furia o peste era tormentata
come dagli Africani.
Udite queste cose, il papa si affretta ad inviare ambasciatori a Costantinopoli,
chiedendo supplichevolmente che gli si desse l’aiuto dell’imperatore
[1]. Questi poi,
come uomo santissimo e timorato di Dio, inviò senza indugio truppe
trasportate con la flotta. E mentre risalivano il fiume Garigliano,
fu presente anche il papa Giovanni con Landolfo principe potentissimo
di Benevento, ed anche con gli abitanti di Cammino e gli Spoletini.
Scoppia una battaglia orrenda fra loro. Ma quando i Saraceni videro
che la parte dei cristiani prevaleva, si rifugiano sulla sommità
del monte Garigliano e tentano di difendere soltanto le anguste vie
d’accesso.
Da quella parte dove era più difficile la salita e più
adatta a fuggire per i Saraceni, i Greci nello stesso giorno piantano
un accampamento, stando nel quale osservavano che i Saraceni non fuggissero
e assalendoli ogni giorno, ne uccidevano in gran numero.
Lottando quotidianamente i Greci ed i Latini, per la misericordia di
Dio, neppure uno dei Saraceni rimase che non fosse trucidato di spada
o catturato ancor vivo.
Furono visti
dai fedeli religiosi nella medesima battaglia i santissimi apostoli
Pietro e Paolo, per le preghiere dei quali crediamo che i cristiani
meritarono la fuga dei Saraceni e di ottenere la vittoria.
Liutprando, Antapodosis, I, 2, 3, II, 43-44, 52-54. Testo originale
(B) Avvenne che in quel tempo
il beato Maiolo, mentre stava facendo ritorno dall’Italia, si imbattesse
in una stretta valle alpina proprio in questi saraceni. Essi lo catturarono
e lo condussero con tutti i suoi compagni in un luogo isolato della
montagna, benché il monaco fosse gravemente ferito ad una mano
da una freccia destinata ad uno dei suoi monaci. Spartite tra loro tutte
le cose appartenenti all’abate, i saraceni gli chiesero se avesse al
suo paese delle ricchezze capaci di riscattarlo dalla prigionia con
i suoi compagni. […]
Alla fine alcuni monaci, viaggiando con sollecitudine,
giunsero in quel luogo, e, consegnato ai saraceni il riscatto pattuito,
riportarono al monastero il loro abbate e gli altri che con lui erano
stati catturati. Gli stessi saraceni, poco dopo, circondati in una località
chiamata Frassineto dall’esercito del duca Guglielmo d’Arles [1], furono
tutti massacrati e nessuno di loro riuscì a far ritorno in patria.
Rodolfo il Glabro, Storie, I, 9. Testo originale
[1] Cioè Guglielmo conte di Provenza.
|