Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
6. Il Regno di Etelstano (A) La battaglia di Brunanburh,
pp. 516-518. (B) Saga di Egli Skallagrimsson,
55.
In Inghilterra il figlio di Alfredo, Edoardo (899-924), proseguì
l’opera paterna respingendo nuovi attacchi vichinghi e riconquistando
parte del Danelaw. Il figlio di Edoardo, Etelstano (924-939),
riuscì ad impossessarsi anche di quel territorio e fu così
il primo sovrano anglosassone ad esercitare il dominio diretto su tutta
l’Inghilterra, ricevendo inoltre l’atto di sottomissione da parte dei
re di Scozia e Galles. Etelstano intrattenne stretti rapporti con i
regni continentali del suo tempo (le sue sorelle sposarono il re di
Francia Carlo il Semplice, il duca dei Franchi Ugo e l’erede di Germania
Ottone) e grande era il prestigio della sua corte, che ospitò,
tra gli altri, i pretendenti al trono di Francia (Luigi d’Oltremare)
e di Norvegia (Hakon il Buono). La sua fama è legata però
soprattutto alla battaglia nella quale il suo esercito, forte anche
di mercenari vichinghi – tra i quali il celebre scaldo Egil Skallagrimsson
– sconfisse le forze congiunte del re norvegese Olaf di Dublino e del
re Costantino di Scozia. La battaglia, che si combatté nel 937
nella località non identificata di Brunanburh, fu celebrata in
un poema (A) tramandato nella Anglo-Saxon
Chronicle, ma è anche ricordata in alcune saghe, i racconti
in prosa che tramandano le memorie del mondo scandinavo.
In particolare si può citare la saga dedicata ad Egil – Egils
Saga, composta intorno al 1230 e da alcuni attribuita a Snorri
Sturluson – dove troviamo una singolare immagine nordica della corte
di Etelstano (B), che costituì
in effetti un polo di attrazione per il mondo scandinavo.
(A) In quell’anno re Aethelstan,
signore dei baroni e ricco
sempre di doni per i suoi guerrieri,
e suo fratello
il principe Eadmund con lui, si meritarono gloria infinita
col filo della spada a Brunanburh.
I figli di Eadweard [1]
sfondarono il muro di scudi,
fendettero tutti gli usberghi di tiglio con lame d’acciaio:
per dimostrare la loro, discendenza da nobile sangue
difesero
contro i nemici invasori la terra e i tesori e le case.
I nemici fuggivano e cadevano, gli Scoti e i Vichinghi [2]
portati
a quella costa dalle navi snelle, e i campi erano intrisi
del sangue degli uomini quando la luce gloriosa del sole
scivolò sulla terra al mattino, splendente candela di Dio
Signore Eterno e Possente, finché quella nobile stirpe
creata non cadde in riposo. Molti guerrieri rimasero
stesi sul campo, uccisi dalle picche, molti Normanni
e Scoti
passati parte a parte, sugli scudi,
stanchi e sazi di guerra.
Per tutto il giorno i Sassoni a schiere inseguirono
le truppe odiate, e gravemente ferivano il nemico
in rotta, con le lame affilate uccidevano gli uomini.
Nessuno fra i soldati della Mercia si rifiutò di usare la
sua spada
contro gli eroi destinati alla lotta che posero il piede
nemico
su quella terra con Anlaf [3]
nel grembo delle navi,
sull’onda furiosa.
Cinque giovani re ebbero, il proprio letto sul campo di
battaglia,
le spade concessero il sonno, e mai più si destarono,
come sette baroni di Anlaf e numerosi altri uomini,
Scoti e navigatori. Anche il capo degli uomini del Nord
fu costretto alla fuga, spinto alla prua della nave
con altri pochi, e la nave sospinta sull’onde.
Il re salpò sopra l’oceano oscuro, e si salvò la vita.
Lo stesso Costantino [4],
abile e accorto, se ne fuggì verso
nord,
alla terra natale; non v’era alcuna ragione perché il vecchio
guerriero esultasse ad un simile incontro di spade, rimase
senza gli amici e i soldati, e lasciò il figlio trafitto
da orrende ferite sul campo, giovane eroe sconfittodai
nemici.
Il vecchio dai bianchi capelli,
l’abile vecchio non ebbe ragione di vanto fra i colpi
delle spade,
né ebbe ragione di vanto il più giovane Anlaf. Né
alcuna
ragione di gioia poterono trarre dal fatto di essere
esperti
nell’urto dei loro stendardi, nel gioco delle picche nella
lotta,
nel lancio delle frecce contro gli uomini e i figli di
Eadweard.
Gli uomini giunti dal nord tornarono alle navi
tenute salde dai chiodi, guerrieri coperti di sangue,
umiliati,
e ripresero, il mare sull’onde sonore, sull’acque profonde,
diretti in Irlanda. I due fratelli insieme, il principe e il re,
ugualmente tornarono alla loro terra, il paese dei
Sassoni: tutti esultarono allora per quella vittoria in battaglia.
Lasciarono dietro di sé il corvo nero dalla cappa oscura, dal
becco arcuato,
per fare scempio di quelle carogne, e l’aquila grigia di
piume, la candida coda,
le spoglie abbandonate al suo volere, con l’avido falco
della guerra e il grigio lupo dei boschi. Mai vi fu su quest’isola,
prima, una
simile lotta,
un esercito intero distrutto dal filo delle spade, almeno
a quanto
ci dicono i libri e i sapienti, fino dal tempo in cui
gli Angli e i Sassoni giunsero dall’est a cercare i Britanni
sopra l’oceano immenso, quando gli esperti in guerra
sopraffecero
il popolo del Galles, e i condottieri arditi fecero propria la terra.
La battaglia di Brunanburh, pp. 516-518.
[1] Etelstano ed Edmondo, figli
di Edoardo.
[2] Gli eserciti congiunti della
Scozia e del regno norvegese di Dublino.
[3] Olaf, re di Dublino.
[4] Costantino di Scozia.
(B) Re Athelstan lasciò
il luogo della battaglia mentre i suoi uomini inseguivano i fuggiaschi;
egli fece ritorno in città a cavallo e soltanto là si
fermò per trascorrere la notte. Intanto Egil [1]
inseguì i fuggitivi e ammazzò ogni uomo su cui riuscì
a mettere le mani. Poi, coi suoi compagni, tornò indietro e raggiunse
il luogo dove si era svolta la battaglia e là trovò suo
fratello Thorolf, morto. Egli sollevò il cadavere, lo lavò
e quindi lo preparò secondo le usanze di allora. Là essi
scavarono una fossa e vi deposero Thorolf con tutte le sue armi e le
sue vesti: quindi, prima dell’ultimo commiato, Egil gli infilò
un’armilla a ciascun braccio. Poi vi accumularono delle pietre e le
coprirono con la terra. […]
Poi Egil coi suoi fidi si recò da re Athelstan e andò
subito al cospetto del re, che sedeva a brindare. Là c’erano
grande confusione e allegria, ma quando il re vide che era giunto Egil,
disse che si doveva far posto ad essi sulla panca di fronte alla propria
e disse che Egil doveva sedersi là, proprio di fronte al re.
Egli si mise giù a sedere e si buttò lo scudo davanti
ai piedi; tenne l’elmo in capo e si mise la spada sulle ginocchia e
non faceva altro che estrarla a metà e poi rinfilarla rumorosamente
nel fodero. Sedeva col busto eretto ma a capo chino.
Egil aveva lineamenti marcati, fronte larga, sopracciglia folte, naso
non lungo ma molto largo; una barba, ampia e fluente, copriva un mento
largo da non credersi come la mascella intera. Aveva un collo taurino
e spalle larghe e ciò lo rendeva diverso da come erano le altre
persone. Faceva una faccia feroce e crudele quand’era in collera, era
ben proporzionato anche se più alto di un uomo normale: i capelli
li aveva grigi come pelo di lupo e folti, però diventò
presto calvo.
Mentre se ne stava seduto, così come si è già detto,
un sopracciglio gli era sceso verso la guancia e l’altro era salito
fino all’attaccatura dei capelli. Egil era nero d’occhi e aveva sopracciglia
unite. Egli non voleva bere, nonostante gliene fosse stato portato e
le sopracciglia si muovevano su e giù in continuazione.
Re Athelstan sedeva nel suo alto seggio; anche lui teneva la spada sulle
ginocchia e dopo essersene rimasti seduti così per un po’, il
re estrasse la spada dal fodero, si sfilò dal braccio una armilla,
pesante e di buona fattura e la infilò sulla punta della spada.
Si alzò, scese sul pavimento della sala e la tese verso Egil,
al di sopra del fuoco. Egil si alzò, estrasse la spada e scese
sul pavimento, infilò la spada nel cavo dell’armilla e la ritirò
a sé: quindi tornò al suo posto e il re al suo alto seggio
[2]. Quando
Egil si sedette, si infilò l’armilla al braccio e allora le sue
sopracciglia si distesero, posò la spada e l’elmo, e accettò
il corno che gli era stato portato e bevve. Poi egli cantò:
Il corazzato Hödr pone a me,
sull’oscillante albero del falco
dove il falco ha posato
il tintinnante cerchio della ferrea presa;
la corda della mano tenni con la fiacca-scudi,
col palo della bufera di punte.
Il nutritore dei falchi della pugna
mi fa più grande onore [3].
Da quel momento in poi Egil bevve a volontà chiacchierò
con gli altri. Successivamente il re fece portare due casse, portate
ognuna da due uomini: tutt’e due erano piene d’argento. Il re disse:
«Queste casse, Egil, le prenderai tu e se tu torni in Islanda
dovrai dare questo denaro, a tuo padre; io glielo mando quale compenso
per il figlio morto. Una certa parte però la dovrai dividere
fra i parenti tuoi e di Thorolf, quelli che tu ritieni più illustri.
Quanto a te, quale compenso per la morte di tuo fratello, da me avrai
terre o denaro, come preferisci e se tu vuoi trattenerti presso di me
più a lungo, qui allora io ti procurerò onori e distinzioni:
puoi dirmelo tu stesso». Egil prese il denaro e ringraziò
il re per i doni e per l’amichevole discorso; da quel momento Egil prese
a farsi allegro e cantò:
Molto a me reclinarono
le inclinate vette delle ciglia
per il dolore,
ma ora io ho trovato
chi spianò queste grinze dalla fronte.
L’irato re, colui che è fiero
contro il filo del braccio
mi ha sollevato dagli occhi
l’irte pendici del suolo del cappuccio [4].
Si pensò quindi ai feriti e a quelli che avevano avuto in sorte
di sopravvivere. Egli si trattenne presso re Athelstan per tutto l’inverno,
ora che Thorolf era morto e godette di grandissima stima da parte del
re; con lui rimasero tutti gli uomini che erano stati sotto al comando
dei due fratelli ed erano scampati alla battaglia.
Saga di Egli Skallagrimsson, 55.
[1] Guerriero vichingo e grandissimo
scaldo di cui ci sono giunti poemetti encomiastici, composizioni estemporanee
e poemi sulla guerra, la vendetta, i lutti, la desolazione della vecchiaia.
Prese parte alla battaglia di Brunanburh a fianco di Etelstano.
[2] Presso i popoli germanici
era il modo rituale di procedere nell’offerta di un dono: con la spada,
punta contro punta.
[3] Composizione estemporanea
basata su kenningar (perifrasi metaforiche): «corazzato
Höder», «nutritore dei falchi della pugna» è
Etelstano; «albero del falco» è il braccio di Egil;
«tintinnante cerchio», «corda della mano» è
il bracciale; «fiacca scudi», «palo della bufera delle
punte» è la spada.
[4] «Inclinate vette delle ciglia»,
«irte pendici del suolo del cappuccio» sono le sopracciglia
(«suolo del cappuccio» è la fronte); «colui
che è fiero contro il filo del braccio » può significare
valoroso o generoso nel donare: si riferisce comunque ad Etelstano.
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