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Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XII
Il regno di Francia
Verso la società feudale

3. Il regno di Roberto: le guerre intestine
(A) Rodolfo il Glabro, Storie, II, 4, III, 5, 6, 8.
(B) Folco D’Angiò, Concessione all’abbate Rotberto di San Fiorenzo (910-911).

(A) Nello stesso tempo la violenza delle guerre civili si fece maggiormente crudele nelle più lontane regioni della Gallia.

La maggior parte di coloro che si occupano della configurazione geografica della terra dice che la giacitura della regione gallica può essere inserita nella forma di un quadrato, anche se, andando dai monti Rifei ai confini della Spagna, avendo l’Oceano sulla sinistra e la catena delle Alpi sulla destra, la parte longitudinale risulta essere più lunga rispetto alla figura di un quadrato.

La zona posta alla estremità di un angolo di questo quadrato si chiama Corno della Gallia ed è una terra poverissima. La sua città sede di metropolita è Rennes. Questa regione è stata abitata da lungo tempo dai Bretoni, le cui uniche ricchezze all’inizio furono la libertà da imposizioni fiscali e l’abbondanza di latte. Uomini grossolani e dai rozzi costumi, i Bretoni si lasciano trasportare da un’ira che subito sbolle e sono di una sciocca loquacità.

Un tempo questi Bretoni ebbero un principe, di nome Conan [1] che, sposata la sorella di Folco duca d’Angiò [2] incominciò a tenere un comportamento insolente nei confronti degli altri signori del suo Popolo, e postasi la corona sul capo, come sogliono fare i re, cominciò sconsideratamente a governare in modo tirannico sul piccolo popolo del suo angolo di terra.

Poi tra Conan e Folco d’Angiò sorsero contrasti che essi non riuscirono a comporre, e dopo essersi provocati vicendevolmente gravi danni con saccheggi e stragi, giunsero infine ad affrontarsi in una battaglia che, sebbene fosse fratricida, era diventata inevitabile. Arrecatisi a vicenda e a lungo tutti i danni possibili, decisero entrambi di recarsi, ciascuno col proprio esercito, in un giorno stabilito, nella zona di Conquereux per lo scontro decisivo. Ma l’esercito bretone, escogitato uno stratagemma, riuscì in modo fraudolento ad annientare una parte delle milizie di Folco. Un gran numero di Bretoni, recatisi di nascosto sul luogo scelto per lo scontro, scavarono con perfidia una larga e profonda trincea, che ricoprirono poi con un fitto strato di ramaglia, e si allontanarono dopo aver preparato questa trappola per i nemici. Il giorno stabilito, secondo l’accordo ciascuno giunse sul luogo con il suo esercito, e già i soldati erano disposti in ordine di battaglia quando i Bretoni, che erano stati preparati e sapevano dell’inganno, finsero di fuggire per far cadere più facilmente i nemici nella trappola. Vedendoli in fuga, gli uomini di Folco, impazienti di precipitarsi su di loro, caddero in gran numero nella fossa preparata con astuzia dai Bretoni. Costoro, mentre prima avevano finto di fuggire, ora, ritornati sul posto, con foga si gettarono sull’esercito di Folco ed in una furiosa lotta massacrarono moltissimi uomini e gettarono a terra, sbalzandolo da cavallo, lo stesso Folco che portava la corazza. Rialzatosi furibondo, Folco incitò i suoi soldati, i quali, come un vortice tempestoso in un fitto campo di grano, si scagliarono contro i Bretoni e li massacrarono tutti crudelmente. Distrutto quasi interamente l’esercito dei Bretoni, catturarono vivo anche Conan loro capo, che consegnarono a Folco dopo avergli mozzato la mano destra. Il conte d’Angiò, conseguita questa vittoria, ritornò nelle sue terre, e nessun bretone dopo questi avvenimenti osò più dargli alcun fastidio.

Nello stesso periodo, mentre governava il suo regno, re Roberto dovette sopportare molti oltraggi dai suoi vassalli, ed in modo particolare proprio da parte di chi sia lui che l’uno e l’altro Ugo, cioè suo padre e suo nonno, avevano da una condizione modesta o addirittura umile innalzato alle più alte cariche. Tra coloro che gli si ribellarono il più pericoloso fu Oddone, figlio di Tebaldo di Chartres soprannominato l’Ingannatore. Ma anche altri, sia pure meno potenti, proprio quando avrebbero avuto motivo di stare più sottomessi, intrapresero la ribellione contro di lui.

Alla stessa stregua di costoro si comportò Oddone, figlio di Oddone, la cui superiorità militare sugli altri era pari alla sua slealtà. Quando infatti Stefano, conte di Troyes e di Méaulte, figlio di Eriberto e cugino del re, morì senza figli, Oddone si fece avanti e contro la volontà del sovrano occupò vaste terre che avrebbero dovuto passare il diritto tra le proprietà reali. Anche con Folco d’Angiò Oddone ebbe continue contese e frequenti scontri, giacché erano due uomini superbi e di conseguenza non certo amanti della pace.

Questo re concluse anche accordi di pace con i sovrani dei regni circostanti, soprattutto con il già ricordato imperatore Enrico. Quando per uno scambio di vedute si incontrò con lui sul fiume Mosa, che segna il confine tra i due regni, molti uomini dei rispettivi seguiti andavano borbottando che era sconveniente che qualcuno di questi due re così potenti si abbassasse a passare dall’altra parte del fiume, quasi supplicasse soccorso: sarebbe stato preferibile che per parlarsi si incontrassero su delle imbarcazioni in mezzo al fiume.

Ma ciascuno dei due re custodiva nel suo animo il sapiente ammonimento più sei grande e più umilia te stesso [3]; per questo, levatosi al far del giorno, l’imperatore con un piccolo seguito passò sulla riva del re dei Franchi. A lungo si abbracciarono e poi si baciarono. Dopo aver assistito alla messa celebrata dai vescovi secondo il rito alla loro presenza, decisero di pranzare insieme. Al termine del banchetto re Roberto offrì ad Enrico ricchissimi doni in oro, argento e pietre preziose, e in più cento cavalli magnificamente bardati, su Ciascuno dei quali era posta una corazza ed un elmo, affermando che la loro amicizia sarebbe diminuita in proporzione a quanto l’imperatore si fosse rifiutato di accettare. Ma Enrico, pur apprezzando la generosità dell’amico, volle di questi doni accettare soltanto un evangeliario ornato d’oro e di pietre preziose e un reliquiario ugualmente decorato, contenente un dente di san Vincenzo levita e martire. Anche sua moglie accettò due cofanetti d’oro. Poi si congedò e non volle altro.

Il giorno dopo fu Roberto a recarsi, accompagnato dai vescovi, al padiglione dell’imperatore che lo accolse in modo fastoso e, dopo aver pranzato, gli offerse cento libbre di oro puro, di cui però il re accettò soltanto due cofanetti d’oro. Si lasciarono dopo aver concluso un trattato di amicizia. Re Roberto fu considerato sempre con grande favore anche da altri sovrani Etelredo re degli Angli, Rodolfo re di Arles, Sancio re di Navarra che gli inviavano doni e gli facevano richieste di aiuto.

Rodolfo il Glabro, Storie, II, 4, III, 5, 6, 8.

Testo originale

[1] Conan I lo Storto, conte di Bretagna. Morì nel 992 combattendo contro Folco d’Angiò.

[2] Folco Nerra il Nero, conte d’Angiò (987-1040).

[3] Eccl. 3, 20.


(B) In nome di Dio. Folco conte per grazia di Dio. Vogliamo che sia noto a tutti i fedeli della santa Chiesa di Dio, presenti e futuri, […] che l’abbate di San Fiorenzo di nome Rotberto con i suoi monaci si è rivolto a noi mostrandoci che egli e gli uomini a lui soggetti sono ingiustamente oppressi da un nostro fedele di nome Alberico che a causa della commendazione impone nuove esazioni e consuetudini. […] E quel dominio […] era stato tenuto dai nostri predecessori in tanta venerazione che nessun avvocato osava porvi un’esazione o guadagnarvi qualcosa. […] Abbiamo riconosciuto giusto il reclamo dell’abbate e dei monaci, e abbiamo ordinato che si presentassero dinanzi a noi la moglie, i figli e i fedeli del suddetto Alberico, persuadendoli […] ad abbandonare quelle cattive consuetudini e a non esigere più niente da quel dominio, se non quanto spetta a Rinaldo, avvocato di quel dominio; ed essi fecero ciò spontaneamente.

Noi poi abbiamo implorato l’abbate e i monaci affinché, per amore di Dio, perdonassero i crimini commessi dal suddetto Alberico contro san Fiorenzo. L’abbate e i monaci lo fecero […] a patto che la moglie del più volte nominato Alberico con i figli e i fedeli si recasse al luogo di San Fiorenzo […] per rinunciare alle cattive consuetudini come aveva fatto dinanzi a noi. Noi dunque […] crediamo che mai nessuno degli eredi di Alberico […] osi ripetere quelle cattive consuetudini; e se lo farà […] io le vendicherò; e il nostro Signore Gesù Cristo, per il cui amore il beato martire Giorgio sopportò duri supplizi, getti nel profondo dell’inferno colui che volesse ripetere quelle consuetudini. […] E sopporti le pene dell’inferno con Datan e Abiron e con Giuda traditore, che consegnò il nostro Signore.

Folco D’Angiò, Concessione all’abbate Rotberto di San Fiorenzo (910-911).

Testo originale

© 2000
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UpUltimo aggiornamento: 01/09/05