Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
10. Roma e Germania nella coscienza dei contemporanei (A) Tangmar, Vita di Bernardo,
vescovo di Hildesheim, SS 4, pp. 770. (B) Bruno di Querfurt, Vite dei
cinque eremiti martiri in Polonia, SS 15/2, 3.
Nel 1001 Ottone II si trovava nuovamente a Roma, dove l’universalismo
imperiale, che tanti risentimenti aveva provocato in Germania, cadeva
nel disinteresse di un particolarismo locale nutrito di troppe tradizioni.
Alla scontentezza della Germania sacrificata nei suoi interessi orientali
e posposta all’Italia faceva dunque riscontro quella di Roma, sostanzialmente
indifferente al programma ottoniano ed infastidita nelle sue secolari
autonomie dalla ormai inusuale presenza di una corte imperiale. Nel
febbraio 1001 il disagio dei Romani sfociava in una rivolta che costrinse
il papa, l’imperatore ed i loro fedeli (tra i quali il vescovo Bernardo
di Hildesheim, m. 1022) ad abbandonare la città. In quell’occasione
secondo la Vita Bernardi Hildheseimensis scritta tra il 1022 ed 1024
dall’antico maestro di Bernardo, Tangmar Ottone avrebbe pronunciato
un discorso dove si manifestava la coscienza di una lacerazione tra
un’ideologia imperiale legata a Roma ed una più ristretta dimensione
germanica e sassone (A). Non sappiamo
se i due termini apparissero così antitetici al giovane imperatore:
certamente sono presentati in netta contrapposizione tra loro sia da
Tangmar sia da Bruno di Querfurt, personaggio di grande rilievo della
cerchia ottoniana, agiografo di Adalberto [cfr. al paragrafo 10, n.
1] e dei cinque eremiti martiri in Polonia (1003), a sua volta martire
in Prussia nel 1009. La contrapposizione, di natura politica, recava
in sé una forte componente affettivo-emozionale. È appunto esemplare,
in questo senso, la Vita quinque fratrum eremitarum di Bruno di Querfurt,
dove le vicende dell’ultimo anno di Ottone (che moriva tra il 23 ed
il 24 gennaio 1002 nel corso di una spedizione per rientrare in Roma)
sono rievocate, con uno stile quasi visionario, nella chiave di un duplice
disatteso amore: della Germania per Ottone e di Ottone per Roma (B). (A) “Ascoltate le parole del
padre vostro, prestate loro attenzione, e meditatele con cura nel vostro
anima. Non siete voi i miei Romani? Per voi ho abbandonato la mia patria,
la mia famiglia. Per amor vostro ho trascurato i miei Sassoni, e tutti
i Tedeschi, che pure sono il mio sangue. Io vi ho condotto fino alle
estreme regioni del mio impero, in luoghi dove i vostri padri, che pure
avevano il dominio sul mondo, non hanno mai posto il piede. E perché
l’ho fatto, se non per estendere la vostra gloria fino ai confini della
terra? Io vi ho adottato per miei figli, vi ho preferiti a tutti. Per
causa vostra, perché tanto vi prediligevo, ho sollevato contro
di me odio e gelosie. E voi, in cambio di tutti questi benefici, avete
scacciato vostro padre, avete fatto morire crudelmente tanti che mi
erano cari [1]; mi avete
respinto, ma non potete farlo, perché quelli che io abbraccio
con amore di padre, non permetterò mai che siano esclusi dal
mio cuore. Fortunatamente so chi sono i capi della sommossa, posso indicarli
con un’occhiata: non arrossiscono, anche se tutti gli sguardi sono puntati
su di loro. Ed avrei considerato una mostruosità che quelli che
mi sono stati più fedeli, la cui innocenza fa la mia fierezza, non potessero
essere distinti da questi scellerati, e venissero contaminati dal loro
contatto”.
Tangmar, Vita di Bernardo, vescovo di Hildesheim, SS 4,
pp. 770.
[1] Nel corso della rivolta alcuni compagni
di Ottone erano stati uccisi: l’imperatore, accerchiato dai ribelli,
era riuscito a liberarsi per l’intervento di Enrico di Baviera (che
gli sarebbe poi succeduto nel regno e nell’impero) e di Ugo di Toscana.
(B) Al giungere dell’inverno l’imperatore
Ottone III, nel pieno vigore del suo regno e con un esercito scelto
di guerrieri, si diresse verso la città di Romolo sotto un segno,
avverso. In quel frangente ahimè doveva venire a morte, senza figli,
il pio Ottone: quando nulla lo lasciava presagire, il grande imperatore
doveva morire in una angusta fortezza, Paterno [1].
Compì molte azioni egregie ma in questo solo come accade agli uomini
errò: dimenticando che Dio ha affermato la vendetta mi appartiene,
e così la ricompensa [2],
non onorò Dio ed il suo prezioso apostolo che ha con sé
le chiavi del cielo, come invece avrebbe dovuto fare in conformità
della sentenza Onora, Israele, il tuo Dio santo [3].
Ma solo Roma gli stava a cuore, al popolo romano, più che a tutti gli
altri, aveva riservato onori e ricchezze, e con puerile fantasia aveva
pensato pensiero vano! di rimanere a Roma per sempre e di riportare
Roma all’altezza della sua antica dignità. Senza cercare a lungo
troverai nel Salmista la citazione adatta: Vani sono i pensieri degli
uomini [4]. Questo fu
il peccato del re. Non aveva voluto più vedere la terra che gli aveva
dato i natali quella Germania che avrebbe dovuto amare tanto grande
era la sua smania di abitare in Italia, dove la morte crudele colpisce
con mille malattie, con mille uccisioni. Caddero intorno a lui il cappellano,
il vescovo, il conte, molti degli addetti al suo servizio, non pochi
guerrieri e gente scelta: la spada infuriava nel sangue dei suoi nobili,
grondava stillando per la morte di molti a lui cari, straziava atrocemente
il cuore dell’imperatore. E poi a nulla gli valsero l’impero, le gravose
ricchezze, l’esercito invano predisposto: lance e spade non poterono
strapparlo alla morte, l’unica che non riverisce i re [5].
Eppure era un buon imperatore, ma aveva intrapreso una strada sbagliata
meditando di distruggere le mura potenti della grande Roma, perché
anche se i Romani gli avevano sempre reso male per bene, Roma è la sede
degli apostoli, data agli apostoli da Dio. Ma la terra nativa, la Germania
che avrebbe dovuto essere oggetto del suo desiderio, non gli fu mai
ugualmente cara: con adultero amore preferiva la città di Roma,
che si era abbeverata del sangue dei suoi cari [6].
Come gli antichi re pagani, che non rinunciavano ai loro capricci, si
affannò invano per rinnovare il morto splendore della vecchia
Roma. Lesse e non capì, poiché l’amore delle cose che passano
rende ciechi i cuori degli uomini. Eppure il santo padre di tutti i
giusti, Benedetto veritiero perché ricolmo di Spirito Santo
ad una domanda aveva dato questa profetica risposta: “Roma non
sarà presa da genti straniere ma marcirà in se stessa” [7] sentenza veridica
egli si mise in cammino con un proposito stolto; lui che stoltamente,
mutando di pensiero, prima aveva cercato di dare luce a Roma, rinnovandola
e poi voleva impadronirsene, distruggendola. I Romani non avevano mai
mostrato alcuna gratitudine per tutti i benefici che l’imperatore aveva
loro continuamente concesso, non avevano tenuto in alcuno conto il monte
di denaro che aveva sperperato per loro, amandoli senza essere ricambiato.
Avevano anzi disprezzato il suo desiderio di restare con loro molto
più di quanto non vi fossero rimasti i re del tempo passato, e quasi
avevano ucciso, con la loro plebaglia, quell’imperatore così colmo di
pietà. E poiché Dio misericordioso non aveva consentito
che giungessero a tanto ahi misera ed amata Roma lo avevano scacciato
in modo ignominioso. A tale insolenza era giunto infatti il furore di
quei pecorai, che l’imperatore a stento, ed in modo umiliante, era riuscito
a salvarsi la vita riparandosi nella fortezza di San Pietro [8].
A causa dei suoi peccati si era deciso a vendicarsi del dolore che gli
era stato inferto, ma come castigo della sua colpa la morte lo colse
nell’ora più inattesa.
Bruno di Querfurt, Vite dei cinque eremiti martiri in Polonia,
SS 15/2, 3.
[1] Alle pendici del monte
Soratte, circa 50 Km. a nord-ovest di Roma. L’imperatore proveniva da
Ravenna, dove si era stabilito dopo la rivolta dei Romani.
[2] Deut. 32,35.
[3] Eccli. 7, 33.
[4] Sal. 94, 11.
[5] Qui l’autore, nel presentare
l’Italia come terra fatale, accomuna la morte per spada dei compagni
di Ottone (uccisi a Roma durante la ribellione) alla morte per malattia
dell’Imperatore.
[6] Vi è un’eco di Apoc.
17, 6 che conferma l’intonazione anti-romana.
[7] La citazione ricalca, con
qualche modifica, una profezia attribuita a s. Benedetto da Gregorio
Magno, Dialogi, 2, 15.
[8] Castel S. Angelo.
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