Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”
2. Enrico I: il consolidamento e l’espansione del Regno (A) Widukindo Di Korvey, Gesta
dei Sassoni, SRG, I, 26-27, 33-34. (B) Widukindo di Korvey, Gesta
dei Sassoni, SRG, I, 35-36.
Nel 918 succedeva a Corrado di Franconia il primo sovrano di stirpe
sassone, Enrico, che si distinse dalla tradizione carolingia rifiutando
l’unzione regia. Con alcune prove di forza nei confronti dei ducati
ribelli Enrico riuscì ad affermare il proprio potere, consolidando la
struttura del regno al punto da poter attuare una politica espansionistica:
sia ad ovest, con la riconquista della Lotaringia (un territorio che
dall’869 costituiva motivo di contesa tra i Franchi orientali e i Franchi
occidentali); sia ad est dove, conclusa una tregua con gli Ungari, procedette
all’incastellamento della Sassonia, attuando nel contempo alcune sortite
nei territori degli Slavi, ed imponendo la propria supremazia sulla
Boemia. Ci informa su questi eventi (A,
B), il principale storico, della dinastia
sassone, il monaco Widukindo di Korvey, con l’opera Rerum gestarum Saxonicarum
libri tres, terminata tra il 968 ed il 973 e dedicata alla figlia di
Ottone I, Matilde. Nell’interpretazione di Widukindo la Sassonia, da
territorio marginale dell’impero, è divenuta ormai con Enrico I il centro
ideale di una nuova geografia del potere. Va inteso in questo senso,
nel tessuto della narrazione, il brano di sapore leggendario-simbolico
nel quale si parla di una translazione del potere dai Carolingi di Francia
ai Sassoni: una sorta di passaggio di consegne che avrebbe avuto inizio
sin dai tempi di Ludovico il Pio, e che sarebbe stata esplicitamente
sanzionato, prima della conquista della Lotaringia, tramite l’invio
di una reliquia di san Dionigi, offerta ad Enrico I da uno degli ultimi
Carolingi di Francia. (A) Come il re gli aveva ordinato,
Everardo [1] si recò
da Enrico, gli si consegnò con tutti i tesori, fece pace con
lui e si guadagnò la sua amicizia che seppe mantenere per tutta
la vita, in un rapporto di fedeltà e familiarità. In seguito
proprio Everardo, alla presenza di tutto il popolo dei Franchi e dei
Sassoni, designò Enrico come re ai principi ed ai grandi che
si erano radunati a Fritzlar [2].
Erigerio, che allora era arcivescovo di Magonza offrì ad Enrico l’unzione
e l’imposizione della corona, ma Enrico, senza disdegnare un tale onore,
non volle accettarlo. “Mi basta” disse “che col favore
della grazia divina e per la vostra benevolenza io sia stato insignito
di un titolo che mi fa sopravanzare i miei antenati. L’unzione e la
corona le abbiano altri, migliori di noi che non ci riteniamo degni
di un tal onore”. Queste parole piacquero a tutta l’assemblea
e tutti, levando la mano destra verso il cielo, salutarono il nuovo
re ripetendo a gran voce il suo nome. Divenuto re, Enrico con tutti
i suoi si volse a combattere contro il duca di Alamannia, Burcardo [3].
Questi, pur essendo un guerriero senza pari, si rese conto, da uomo
avveduto, di non poter reggere lo scontro, con il sovrano, e quindi
gli si consegnò con tutte le sue città ed il suo popolo.
Dopo questa felice conclusione Enrico passò allora nella Baviera,
soggetta al duca Arnolfo[4]
che Enrico trovò ed assediò a Ratisbona. Arnolfo, vedendo
che non era in grado di resistere ad Enrico, fece aprire le porte della
città e si recò dal re consegnandosi a lui con tutto il
suo ducato: fu accolto con onore e ricevette il titolo di “amico
del re”. Enrico, avanzando e rafforzandosi di giorno in giorno,
diveniva sempre più forte, più grande e più illustre. Così, dopo aver
risollevato, pacificato ed unificato un regno che sotto i suoi predecessori
era sconvolto dalle guerre interne e dagli attacchi esterni, mosse le
insegne contro la Gallia ed il regno di Lotario [5].
Quando Enrico ebbe varcato il Reno per estendere il suo dominio alla
Lotaringia, gli si fece incontro un ambasciatore di Carlo [6]
che lo salutò con queste parole piene di umiltà:
“Il mio signore Carlo, un tempo insignito del potere regio di
cui ora è stato spogliato, mi ha mandato a dirti che per lui, circondato
di nemici, nulla riesce più gradito e più dolce dell’udire i tuoi magnifici
e gloriosi successi, nulla riesce più consolante della fama del tuo
valore. Ecco, ti ha mandato questo segno della sua fedeltà e
della sua sincerità. E gli porse una mano del prezioso martire
Dionigi[7] incastonata
in un reliquiario di oro e pietre preziose. “Ricevi” disse
“questo pegno di alleanza perpetua e di reciproco amore. Carlo
ha scelto di dare a te questa parte del corpo di Dionigi, rimasto unico
conforto dei Franchi occidentali dopo che l’illustre martire Vito
per nostra rovina ma per vostra pace perpetua ci ha abbandonati per
venire in Sassonia. Da quando, il suo corpo, è stato translato non sono
più cessate per noi le guerre civili e le aggressioni esterne: anzi,
nello stesso anno, della translazione i Danesi ed i Normanni hanno invaso
il nostro territorio [8]”.
Il re rese grazie per il dono divino, e si prosternò davanti
alla santa reliquia baciandola e venerandola con il più grande rispetto.
[L’autore a questo punto introduce un excursus sul martirio di
san Vito e sulle sue sepolture (a Roma, a Parigi, in Sassonia), e quindi
si rivolge in prima persona alla destinataria dell’opera, Matilde, figlia
di Ottone I, per esortarla a venerare san Vito].
Durante l’impero di Ludovico il corpo di Vito fu trasportato in Sassonia
e da allora, come ha ammesso lo stesso ambasciatore di Carlo, le sorti
dei Franchi occidentali hanno preso a declinare e quelle dei Sassoni
ad ascendere fino a produrre i frutti della loro grandezza, come abbiamo,
visto in tuo padre, amore dell’universo e capo, del mondo intero, che
con la potenza della sua maestà ha soggiogato non solo la Germania,
l’Italia e la Gallia, ma quasi tutta l’Europa. Venera dunque un patrono
tanto potente, che con la sua venuta ha reso la Sassonia libera, da
serva che era, e da tributaria l’ha resa signora di molti popoli.
Widukindo Di Korvey, Gesta dei Sassoni, SRG, I, 26-27, 33-34.
[1] Duca di Franconia, fratello
del defunto re Corrado che gli aveva affidato l’incarico di trasmettere
le insegne della regalità al duca sassone Enrico.
[2] Sul fiume Eder (Franconia,
ora Assia). Dall’assemblea di Fritzlar erano assenti i duchi di Alamannia
(Svevia) e Baviera, di cui si parla nel capitolo seguente.
[3] Figlio dell’omonimo margravio
di Rezia, aveva assunto il titolo ducale nel 917, dopo un lungo conflitto
della sua casa con il vescovo di Costanza.
[4] Cfr. sopra, paragrafo 1, n.
11.
[5] La Lotaringia: territorio dalle
sorgenti della Saone al Mare del Nord, così chiamato per aver
costituito l’eredità di Lotario II, figlio dell’imperatore Lotario
I. Zona di tradizione carolingia, alla morte di Ludovico il Fanciullo
era passata ai Franchi occidentali.
[6] Carlo, detto il Semplice, fu
re dei Franchi occidentali dall’893 al 923, allorché venne deposto
e imprigionato mentre gli succedeva sul trono Roberto di Parigi (per
pochi mesi) quindi Rodolfo di Borgogna. Morì nel 929.
[7] Secondo la tradizione, apostolo
della Gallia (m. circa 250). Nel IX secolo il suo culto ricevette grande
incremento dalla falsa identificazione con Dionigi l’Aeropagita, filosofo
cristiano del V secolo. L’abbazia omonima, presso Parigi, divenne la
necropoli dei reali di Francia.
[8] Originario dell’Italia
meridionale, martire della persecuzione dioclezianea. Le sue reliquie,
possedute dall’abbazia di San Denis, erano state poi translate
a quella di Korvey, in Sassonia, nell’836 quando era imperatore
Ludovico il Pio. Gli anni 834-837 videro i primi consistenti attacchi
normanni all’Europa carolingia, e la crisi del potere imperiale
[cfr. capitolo 13, 3 (B)].
(B) Il re Enrico stabilì una pace
novennale con gli Ungari. Si dedicò allora a combattere le popolazioni
barbare ed a rafforzare e difendere la patria con un impegno che è impossibile
descrivere ma che non può essere passato sotto silenzio. In primo
luogo, per ogni nove soldati legati alla terra, ne scelse uno da far
abitare nelle città, perché costruisse otto abitazioni
per i suoi compagni ricevendo e conservando la terza parte del raccolto
di tutti. Gli altri otto dovevano seminare, mietere, raccogliere le
messi e riporle nei propri terreni. Dispose che le assemblee, gli incontri
ed i conviti si tenessero nelle città: giorno e notte tutti dovevano
lavorare per la città, in modo da apprendere in tempo di pace
ciò che avrebbero dovuto fare, se necessario, per contrastare
i nemici. Fuori delle città le mura di cinta erano di entità
trascurabile, o mancavano affatto. Mentre abituava i cittadini a tali
regole, attaccò improvvisamente gli Slavi del fiume Havel, li
prostrò con continue battaglie ed infine, in un gelido inverno,
pose l’accampamento sul ghiaccio e prese la fortezza di Brennaburg [1]
con il freddo, il ferro, la fame. Insieme alla fortezza prese tutto
il territorio, poi attaccò il territorio dei Daleminciani contro
i quali già un tempo aveva condotto una spedizione per incarico
di suo padre ponendo l’assedio alla fortezza di Gane [2]
che prese in venti giorni. Il bottino venne ripartito tra i
soldati, gli adulti furono tutti uccisi, mentre i bambini di entrambe
i sessi furono presi come schiavi. Successivamente Enrico si diresse
con tutto l’esercito verso la città dei Boemi, Praga, il cui
re[3] gli
fece atto di sottomissione. Di costui si narrano cose mirabili [4]
che però preferiamo tacere perché non le conosciamo
con certezza: era comunque fratello di quel Boleslao [5]
che fu per tutta la vita un fedele alleato dell’imperatore Ottone I.
Dopo aver reso tributaria la Boemia il re rientrò in Sassonia.
Il re Enrico aveva assoggettato al tributo tutte le genti limitrofe:
Abotriti, Vilzi, Avolani, Daleminciani, Boemi, Redariani [6].
Vi era la pace, quand’ecco che i Redarii vennero meno alla parola data,
radunarono una nutrita schiera e presero la città di Walsleben
[7] uccidendone tutti
gli abitanti, che erano un numero incalcolabile. Allora tutte le genti
barbare rialzarono la testa ed osarono ribellarsi. Per reprimere la
loro ferocia venne mandato un esercito con a capo Bernardo (che aveva
in affidamento il territorio dei Redariani) a cui venne affiancato,
come collega, Tietmaro. L’ordine era quello di prendere la fortezza
di Lunkin [8].
[Segue la lunga descrizione di una battaglia che si concluse con
la vittoria dell’esercito di Bernardo e Tietmaro]
Allo spuntare del giorno Bernardo e Tietmaro, si diressero verso la
città, dove gli abitanti deposero le armi chiedendo ed ottenendo
di aver salva la vita. I combattenti furono fatti uscire, disarmati,
dalla città, ed i servi, tutti gli averi, le mogli, i figli,
le suppellettili, andarono come preda del re Enrico. Dei nostri, in
quella battaglia, erano caduti solo i due Lotarii ed alcuni nobili.
Bernardo, Tietmaro e gli altri capi sassoni tornarono vincitori dal
re che li accolse con grandi onori e li lodò molto perché,
col favore della divina misericordia, avevano riportato, con poco dispendio,
una splendida vittoria: vi fu infatti chi disse che in battaglia erano
stati uccisi circa duecentomila barbari. Tutti i prigionieri, invece,
erano stati decapitati solo il giorno successivo, per tenere fede alla
promessa [9].
Widukindo di Korvey, Gesta dei Sassoni, SRG, I, 35-36.
[1] Nel 927 o 928 Enrico sottomise
gli Avolani, tribù slava del medio e basso corso del fiume Havel,
prendendo la fortezza che divenne in seguito Brandenburgo.
[2] Jahna, nei pressi di Meissen
(Sassonia). I Daleminciani erano una tribù slava dell’alto corso
della Spree.
[3] Si tratta di Venceslao (915-929),
secondo duca della famiglia dei Przemyslidi (intorno a cui la Boemia
si andava allora costituendo come entità statale), che sembra
abbia prestato ad Enrico un giuramento di fedeltà personale.
Non ebbe mai titolo regio.
[4] Venceslao aveva introdotto
il cristianesimo in Boemia ed accordava al clero una notevolissima influenza:
ucciso in un complotto che portò al trono il fratello Boleslao,
fu venerato come martire.
[5] Boleslao I (929-967), dopo
anni di ostilità strinse alleanza con Ottone I, partecipando
anche alla battaglia di Lechfeld [cfr. avanti, paragrafo 3 (C), n. 3].
[6] Le popolazioni o tribù
citate, tutte slave, erano dislocate su un territorio confinante ad
ovest con la linea Saale-Elba, e ad est con il corso dell’Oder.
[7] A sinistra dell’Elba, non
lontano dalla confluenza del fiume Havel (Sassonia-Anhalt). I Redariani
erano una delle tribù più a nord-est, sul bacino del fiume
Peene.
[8] Lenzen, a nord di Walsleben,
sulla riva destra dell’Elba.
[9] La contraddizione con quanto detto
prima (la promessa di risparmiare gli assediati che si arrendevano)
ha fatto pensare che questa frase costituisca un’aggiunta posteriore.
A meno che non si alluda qui ad un inganno, non certo inconsueto, basato
su una promessa valida solo per un giorno.
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