Fonti
Antologia delle fonti altomedievali
a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto
© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”
5. Ottone I imperatore (A) Liutprando da Cremona, Gesta
di Ottone, SRG, 2. (B) Ottone I, Diplomi, DRG
1/2, n. 235 (962). (C) Liutprando da Cremona, Gesta
di Ottone, SRG, 10, 13, 15-16.
All’indomani dell’acquisizione del regno italico Ottone
inviava un’ambasceria al papa Agapito II per essere ricevuto a
Roma. La città, roccaforte del “principe e senatore”
Alberico, si mostrò però in attingibile per Ottone che
nel frattempo richiamato in Germania dalla ribellione del figlio Liudolfo
doveva venire a patti con lo spodestato Berengario II, cui concedeva
l’investitura del regno d’Italia. La ripresa della politica,
italiana ed imperiale di Ottone trionfatore in Germania poté
effettuarsi allorché Berengario entrò in conflitto con
il figlio e successore di Alberico, divenuto papa in giovanissima età
con il nome di Giovanni XII [cfr. capitolo 12, 5]. Nel 960, contro Berengario,
Giovanni (955-964) chiamava infatti in aiuto Ottone promettendogli la
corona imperiale. Riconosciuto per la seconda volta re di Italia a Pavia
nel 961, il 2 febbraio 962 Ottone veniva finalmente coronato imperatore
a Roma, mentre il 13 dello stesso mese, secondo l’uso carolingio,
rilasciava al papato un privilegio il cosiddetto Pactum Othonis o Ottonianum
(B) che confermava al papato una serie
di possedimenti reali e fittizi, ma che, in linea con la Constitutio
romana [cfr. capitolo 10, 4] stabiliva una forma di controllo dell’impero
sull’elezione pontificia. Dopo il privilegio accordato da Ludovico
il Pio a Pasquale I, l’Ottonianum costituisce il primo testo a
noi giunto fra le successive redazioni di privilegio imperiale per la
chiesa romana. La coronazione imperiale come si è già
detto [cfr. paragrafo 3] è passata sotto silenzio dal sassone
Widukindo, ma ci è narrata, sia pur brevemente (A),
dallo storico Liutprando, elevato da Ottone alla sede episcopale di
Cremona nel 961 ed autore, su committenza imperiale, di un Liber de
rebus gestis Ottonis magni imperatoris. In Liutprando lo scarso rilievo
dato alla coronazione si spiega con il contrasto immediatamente sorto
tra Giovanni XII ed Ottone, che nel 963 fece deporre il papa che lo
aveva incoronato: un evento, questo, che viene invece trattato diffusamente
(C) da Liutprando nel Liber, composto
negli anni 964/5 con il preciso intento di motivare l’operato
imperiale. (A) Pertanto il piissimo re,
colpito dalle lacrimose lagnanze di costoro [1],
non pensando ai suoi interessi ma alle cose di Gesù Cristo, contro
la consuetudine fece re ancora ragazzo suo figlio dello stesso suo nome
[2] e lo lasciò
in Sassonia; ed egli stesso, raccolte delle truppe, venne assai rapidamente
in Italia. E scacciò dal regno Berengario ed Adalberto [3]
tanto più rapidamente in quanto consta che ebbe commilitoni i
santissimi apostoli Pietro e Paolo. Il buon re infatti, riunendo le
cose disperse e consolidando le deboli incrinate, restituì a
ciascuno quel ch’era suo; quindi si recò a Roma per farvi
le stesse cose. E qui, accolto da un cerimoniale nuovo, ricevette l’unzione
imperiale dallo stesso sommo pontefice e papa universale Giovanni; e
non restituì al papa soltanto le cose di sua proprietà
[4], ma lo onorò
con doni ingenti di gemme, oro ed argento. Accolse poi dallo stesso
papa sul preziosissimo corpo di san Pietro e da tutte le persone eminenti
della città il giuramento che non avrebbero portato mai aiuto
a Berengario ed Adalberto. Dopo di che con la maggior rapidità
raggiunse Pavia. Frattanto il predetto papa Giovanni, dimentico del
giuramento e della promessa che aveva fatto al santo imperatore, manda
ad Adalberto un nunzio perché venga da lui [5],
assicurandolo con giuramento che l’avrebbe aiutato contro la potenza
del santo imperatore. Questi aveva messo Adalberto, persecutore delle
chiese di Dio e dello stesso papa Giovanni, in tale terrore da abbandonar
l’intera Italia e rifugiarsi a Frassineto [6],
affidandosi ai Saraceni. Il giusto imperatore pertanto non poté
non stupirsi assai che papa Giovanni ora amasse quell’Adalberto
che prima perseguitava di odio veemente.
Liutprando da Cremona, Gesta di Ottone, SRG, 2.
[1] Si allude qui alle rimostranze
dei messi pontifici e di alcuni vescovi e signori che si erano lamentati
con Ottone del comportamento di Berengario II.
[2] Ottone II, che era nato nel
955, venne coronato re ad Aquisgrana il 26 maggio 961. Ottone I fece
ritorno in Germania solo nel 965.
[3] In Italia Ottone si fece nuovamente
coronare re, privando Berengario e suo figlio Adalberto del potere che
detenevano: Berengario allora si rinchiuse in una fortezza dell’esarcato
di Ravenna, mentre Adalberto si diresse in Provenza in cerca di aiuti.
[4] È un riferimento al
privilegio concesso da Ottone.
[5] Dopo la coronazione imperiale,
mentre Ottone era impegnato nella campagna contro Berengario, Giovanni
XII avviò trattative con Berengario e nel 963 richiamò
a Roma Adalberto.
[6] Celebre avamposto della pirateria
saracena nel Mediterraneo, in Provenza, tra Nizza e Tolone.
(B) Nel nome del Signore Dio
onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo. Io, Ottone, per grazia di
Dio imperatore Augusto, e con noi nostro figlio Ottone, re glorioso,
garantiamo e confermiamo con questo patto a te, beato Pietro, principe
degli apostoli e clavigero del regno dei cieli, e per te al tuo vicario
il signore Giovanni XII, pontefice supremo e papa universale, tutto
ciò che a partire dai vostri predecessori avete avuto in vostro
potere e di cui avete disposto fino ad oggi [1],
vale a dire: La città di Roma con il suo ducato e la zona adiacente
alla città, tutti i suoi villaggi e i suoi territori montani
e costieri, il suo litorale e i suoi porti. Nella regione della Tuscia
romana le città, i castelli, i borghi fortificati e i villaggi
di cui seguono i nomi: Porto, Civitavecchia, Cervetri, Bieda, Barbazano,
Sutri, Nepi, il castello di Gallese, Orte, Bomarzo, Amelia, Todi, Perugia
con le sue tre isole, la grande, la piccola e quella di Polvese, Narni
ed Otricoli con tutte le loro pertinenze. Inoltre l’Esarcato di
Ravenna integralmente, con le città, popolazioni, luoghi, castelli,
che il signor Pipino di pia memoria, ed il signor Carlo, imperatori
eccellentissimi, ed invero nostri predecessori, già allora con
atto di donazione conferirono al beato Pietro apostolo ed ai vostri
predecessori, vale a dire la città di Ravenna e l’Emilia,
Bobbio, Cesena, Forlimpopoli, Forlì, Faenza, Imola, Bologna,
Ferrara, Comacchio, Adria, Gavello con i loro territori e le loro isole
per terra e per mare. Contemporaneamente la Pentapoli [2],
vale a dire Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Osimo, Umana,
Vallombrosa, Jesi, Fossombrone, Montefeltro, Urbino, Balba, Cagli, Lucioli,
Gubbio, con tutte le loro pertinenze. Il territorio di Sabina tutto
intero, come fu concesso al beato apostolo Pietro dal nostro predecessore,
il signor imperatore Carlo, in un privilegio di donazione. Nella Tuscia
longobarda: Città di Castello, Orvieto, Bagnorea, Ferento, Viterbo,
Orchia, Marta, Toscanella, Sovana, Piombino, Roselle, con tutte le loro
dipendenze in sobborghi, villaggi, riviere marittime e borghi fortificati.
E ancora l’isola di Corsica, da Luni a Sarzana, a Berceto, Parma,
Reggio, Mantova, Monselice, la provincia di Venezia e l’Istria,
tutto il ducato di Spoleto, quello di Benevento, con la chiesa di Santa
Cristina posta a quattro miglia da Pavia sul Po [3].
In Campania: Sora, Arce (vicino Napoli), Aquino, Arpino, Capua. I patrimoni
che sono in vostro potere e sotto il vostro dominio, come quelli di
Benevento, di Napoli, della alta e bassa Calabria, la città di
Napoli col territorio, i castelli e le isole che ne dipendono, così
come il patrimonio di Sicilia, se Dio vuole che venga nelle nostre mani
[4]. Inoltre
Gaeta e Fonti con le loro pertinenze. In più offriamo a te, beato
apostolo Pietro, al tuo vicario il papa Giovanni ed ai suoi successori,
per il bene della nostra anima e di quelle dei nostri figli e dei nostri
parenti, alcune città e borghi del nostro regno con le loro zone
di pesca, vale a dire Rieti, Aterno, Furcone, Norcia, Valva, Marsica
e la città di Teramo con le sue pertinenze [5].
Di tutte le province e città, di tutti i borghi, castelli, villaggi
e territori e anche di tutti i patrimoni che sono stati elencati, per
il bene della nostra anima, e di quelle dei nostri figli e parenti,
per la salvezza di tutto il popolo dei Franchi voglia Dio che lo ha
preservato in passato preservarlo anche nell’avvenire noi confermiamo
il possesso alla tua chiesa o beato apostolo Pietro, e per te al tuo
vicario, il nostro padre spirituale signore Giovanni, pontefice supremo
e papa universale, e così ai suoi successori fino alla fine dei
tempi, in modo che tutto ciò lo detengano di diritto, sotto la
loro autorità di principi e sotto il loro dominio. Parimenti
con il presente patto noi confermiamo le donazioni che il signore re
Pipino di pia memoria ed in seguito il signore Carlo, eccellentissimo
imperatore, hanno spontaneamente offerto al santo Pietro, così
come il censo e le altre prestazioni di Toscana e del ducato di Spoleto
che erano versate al palazzo del re dei Longobardi; conformemente ai
privilegi sopra menzionati, all’accordo intercorso tra il signore
imperatore Carlo ed il papa Adriano di santa memoria, e anche secondo
i termini del documento pontificio, le prestazioni ed i censi dovranno
essere pagati alla chiesa di San Pietro, salvo il nostro dominio sui
due ducati e la loro sottomissione al nostro potere e a quello di nostro
figlio. Come abbiamo detto altrove, confermiamo con questo patto che
tutti i luoghi citati vi apparterranno, e che il vostro potere non sarà
sminuito né da noi né dai nostri successori; noi ci interdiciamo
ogni lite o intrigo che possa sottrarvi alcunché: né cercheremo
noi di farlo né consentiremo che altri cerchino; al contrario
promettiamo solennemente di essere, per quanto è in nostro potere,
i difensori di tutto ciò che appartiene alla chiesa del Santo
Pietro e dei papi che occupano il suo sacratissimo seggio, affinché
possano usare, godere e disporre indisturbati di ciò che si trova
sotto il loro dominio [6].
Salva in ogni cosa l’autorità nostra [7]
e del nostro figlio e dei nostri successori, secondo quanto è
contenuto nel patto, nella costituzione e conferma di promessa di papa
Eugenio [8] e
de’ suoi successori, e cioè che il clero tutto e la nobiltà
dell’universo popolo romano, per provvedere alle sue molteplici
necessità ed all’intento di ridurre i rigori irragionevoli
de’ pontefici ne’ riguardi del popolo loro soggetto, si
obblighi con giuramento a che la elezione futura de’ pontefici,
si faccia secondo i canoni e con rettitudine; per quanto ognuno possa
intendere, e che nessuno acconsenta alla consacrazione del pontefice
prima che egli faccia, alla presenza di nostri inviati o del nostro
figlio ovvero di tutti quanti, a soddisfazione e per la conservazione
futura di ogni cosa, una promessa tale e quale risulta abbia fatto spontaneamente
Leone [9] signore
e venerando padre spirituale nostro. Inoltre abbiamo previsto d’inserire
in questa, altre disposizioni minori: e cioè che all’elezione
del pontefice nessuno libero o servo presuma intervenire allo scopo
di portar qualche impedimento a quei Romani che per costituzione l’antica
consuetudine dei santi padri ha ammesso a questa elezione; e se qualcuno
avrà osato intervenire contro questa nostra disposizione, sia
inviato in esilio. Inoltre proibiamo che alcuno dei nostri inviati osi
avanzar motivo per impedir a chicchessia di partecipare alla detta elezione.
Infatti anche questo piacque di stabilire in ogni modo, che chi sia
stato accolto sotto la particolare difesa del Signore Apostolico ovvero
della nostra, goda della difesa legittimamente impetrata; e se qualcuno
presumerà compiere violenza contro uno di quelli che hanno meritato
tale protezione, sappia che incorrer in pericolo per la propria vita.
E confermiamo anche quella disposizione per cui [i Romani] debbono serbar
la debita obbedienza in ogni cosa al Signore Apostolico ed ai loro duchi
e giudici per amministrar la giustizia. Infatti giudicammo necessario
includere in questa costituzione, che sian sempre stabiliti degli inviati
e del Signore Apostolico e nostri, che annualmente siano in grado di
riferire a noi, o a nostro figlio, in che modo i singoli duchi e giudici
amministrino la giustizia al popolo, in che modo osservino questa costituzione
imperiale; e stabiliamo che questi inviati, di tutte le agitazioni che
si constatino per la negligenza dei duchi o dei giudici, dapprima dian
notizia al Signore Apostolico e questi scelga uno de’ due; o ad
opera dei medesimi inviati si provveda a rimediare ai detti inconvenienti;
ovvero, sulla base della relazione che ci farà il nostro inviato,
si rimedierà a mezzo di nostri missi, mandati da noi. Ed affinché
ciò sia tenuto fermo da tutti i fedeli della santa Chiesa di
Dio e dai nostri, abbiamo corroborato, col segno della nostra mano e
con le sottoscrizioni dei nostri nobili ottimati, questo patto e vi
abbiamo fatto apporre la bolla imperiale. Firma del Signor Ottone serenissimo
imperatore e dei suoi vescovi, abbati e conti. Nell’anno dell’incarnazione
del Signore 962, indizione quinta, giorno 13° del mese di febbraio,
27° anno di regno dell’invitto imperatore Ottone.
Ottone I, Diplomi, DRG 1/2, n. 235 (962).
[1] Le deliberazioni dell’Ottonianum
risalgono ad un testo lentamente formatosi passando da un privilegio
all’altro, a partire da quello di Ludovico il Pio dell’817
(Ludovicianum) le cui prime clausole riproposte fedelmente nei paragrafi
1-6 di questo patto confermavano le donazioni carolinge degli anni 754-787
[cfr. capitolo 7, 7 (B)].
[2] Come l’Esarcato, di
cui al paragrafo precedente, anche la Pentapoli nel 962 faceva in realtà
parte del regno italico.
[3] Questa clausola, la più
sorprendente, fa forse riferimento ad un progetto di Carlo Magno (anteriore
alla fine del regno longobardo) su una mai avvenuta spartizione dell’Italia
lungo la trasversale Luni-Monselice.
[4] I paragrafi 8 e 9 riprendono
nuovamente il Ludovicianum, con l’aggiunta di Napoli. Il paragrafo
9 fa riferimento a patrimoni, cioè a territori di cui il papa
è signore fondiario.
[5] La donazione del paragrafo
11 costituisce interamente una novità ottoniana.
[6] I paragrafi 12-14 nuovamente
riproducono il Ludovicianum. Termina qui la prima parte del documento,
che contiene una serie di concessioni assolutamente utopistiche, comprendenti
circa due terzi dell’Italia.
[7] Inizia la seconda parte,
che tratta dell’elezione del papa e dell’amministrazione
dei territori pontifici e mostra come, anche nei territori effettivamente
di pertinenza del papato, l’imperatore non rinunciasse all’esercizio
della sovranità suprema.
[8] Questo riferimento ad un
patto di papa Eugenio II (824-827), ci porta assai vicino alla Constitutio
romana emanata da Lotario in occasione dell’elezione di Eugenio
[cfr. capitolo 10, 4].
[9] Probabilmente il successore
di Giovanni XII, Leone VIII (963-965). Alcuni studiosi, basandosi su
questo riferimento a papa Leone, avevano ipotizzato che tutta la seconda
parte del testo costituisse una interpolazione posteriore rispetto alla
prima parte. Questa ipotesi radicale è ora abbandonata.
(C) Mentre tutti restavano
seduti in un profondissimo silenzio, così il santo imperatore
imprese a dire: “Quanto sarebbe bello che papa Giovanni intervenisse
ad un concilio così illustre e così santo! [1]
Ma, visto che si è allontanato da un’adunanza tanto importante,
consultiamo voi, o santi padri, che dividete con lui la vita e gli interessi”.
[…] Allora si levò il cardinale prete Pietro, ed attestò
di aver veduto che quegli aveva celebrato la messa senza comunicarsi.
Giovanni, vescovo di Narni, ed il cardinale diacono Giovanni dichiararono
di averlo veduto ordinare un diacono, in una stalla di cavalli e non
nei tempi stabiliti. Il cardinale diacono Benedetto, con altri condiaconi
e preti, disse che il papa, per danaro, ordinava vescovi, e che ne aveva
ordinate, uno di dieci anni nella città di Todi. Aggiunsero che
non era necessario indagare sui sacrilegi, perché vedendo ne
avremmo potuto sapere di più che udendo. In quanto agli adulterii
dissero che non avevano veduto con i propri occhi ma sapevano, in modo
certissimo, che aveva abusato della vedova di Rainerio, di Stefana,
concubina di suo padre e della vedova Anna, e della nipote di lei, riducendo
il santo palazzo un lupanare ed un postribolo. Dissero che aveva pubblicamente
esercitato la caccia; che aveva privato della vista Benedetto, suo padre
spirituale, che, di lì a poco, ne era morto; che aveva evirato
ed ucciso il cardinale suddiacono Giovanni; testimoniarono, inoltre,
che aveva appiccato incendi, che s’era armato di spada, che aveva
indossato elmo e corazza. Tutti, poi, sia chierici che laici, proclamarono
che aveva bevuto vino libando al demonio. Dissero che, giocando ai dadi,
aveva invocato l’aiuto di Giove, di Venere e di altri demoni.
Testimoniarono ancora che non aveva celebrato il mattutino e le ore
canoniche, e che non si era fortificato col segno della croce [2].
[Si decide l’invio al pontefice di una lettera, nella quale
gli si notificavano le accuse e lo si invitava a discolparsi].
Quando ebbe letto questa lettera, il papa scrisse la seguente difesa:
“Il vescovo Giovanni, servo dei servi di Dio, a tutti i vescovi.
Abbiamo sentito dire che volete un altro papa: se farete ciò
vi scomunico in nome di Dio onnipotente, in modo che non abbiate il
permesso di ordinare alcuno e di celebrare la messa”.
[La risposta viene letta nella sinodo e si decide l’invio
di una nuova missiva, affidata ai cardinali Adriano e Benedetto].
Costoro, giunti al Tevere, non lo trovarono; armato di frecce se ne
era andato per i campi e non vi era nessuno che potesse dire dove fosse.
Non riuscendo a rintracciarlo, con la lettera che era stata loro affidata
ritornarono davanti alla sinodo, che allora si riunì per la terza
volta [3]. L’imperatore
disse: “Abbiamo atteso il suo arrivo, per contestargli apertamente
ciò che ci ha fatto; ma poiché sappiamo per certo che
non verrà, ora, perché lo sappiate, denuncerò il
suo perfido contegno nei nostri confronti. Rendiamo pertanto noto a
voi arcivescovi, vescovi, presbiteri, diaconi ed all’altro clero,
nonché ai conti, ai giudici, a tutto il popolo che il detto Giovanni
papa, oppresso da Berengario ed Adalberto, ch’erano in stato di
ribellione contro di noi, ci inviò in Sassonia degli ambasciatori,
chiedendoci che per l’amore di Dio scendessimo in Italia e liberassimo
la Chiesa di San Pietro e lui stesso dalle loro fauci. Quanto noi abbiamo
fatto con l’aiuto di Dio, non è necessario dirlo, come
vedete nelle presenti circostanze. Ma strappato per opera mia dalle
loro mani e reintegrato nell’onore dovutogli, si scordò
del giuramento e della fedeltà che sul corpo di san Pietro mi
aveva promesso, fece venire a Roma il detto Adalberto e lo difese contro
di me, ed al cospetto dei nostri soldati fattosi capo di guerra, vestì
corazza ed elmo; quel che su ciò la santa sinodo intende decidere,
lo dica”. A questa denunzia il clero di Roma, il restante clero
e tutto il popolo risposero: “Una ferita inaudita deve essere
cauterizzata con un cauterio senza esempi. Se con i suoi costumi corrotti
fosse di danno solo a se stesso e non a tutti, in qualche maniera dovrebbe
essere tollerato. Ma quanti per l’innanzi casti si son fatti fornicatori
per imitazione del comportamento di costui? Quanti onesti son ora disonesti
per l’esempio dell’agire di costui? Chiediamo pertanto alla
vostra grandezza imperiale che quel mostro non riscattato da alcuna
virtù sia espulso dalla santa romana chiesa, che al suo posto
venga designata un’altra persona che sia in grado coll’esempio
di una buona condotta di dirigerci e di giovarci, la quale per conto
suo viva con rettitudine e ci offra un esempio di ben vivere”.
E allora l’imperatore disse: “Ci piace quanto dite e nulla
ci è più gradito che si possa trovare una persona siffatta
da preporre a codesta santa ed universale sede”. Allora tutti
ad una sola voce dissero: “Leone, venerabile protoscriniario [4]
della santa romana chiesa, uomo stimato e degno del sommo grado del
sacerdozio; ce lo eleggiamo quale sommo ed universale papa della santa
romana chiesa; riprovato Giovanni pe’ suoi disonesti costumi quale
apostata”. Avendo tutti ripetuto questo tre volte, coll’assenso
dell’imperatore secondo la consuetudine conducono cantando le
lodi Leone nominato papa al Palazzo del Laterano e nel tempo stabilito
lo innalzano al pontificato nella chiesa di San Pietro con la santa
consacrazione, giurando che gli sarebbero stati fedeli.
Liutprando da Cremona, Gesta di Ottone, SRG, 10, 13, 15-16.
[1] All’arrivo di Ottone
a Roma, il 3 novembre 963, il papa era fuggito con Adalberto. Il 6 novembre
l’imperatore riunì in San Pietro una sinodo, cui ovviamente
il papa non era presente.
[2] Le accuse mosse a Giovanni
XII sono per lo più inverificabili e probabilmente esagerate.
Il pontefice è però ricordato con esecrazione non solo
dall’ostile Liutprando ma anche dall’anonimo biografo del
Liber Piontificalis e dal cronista Benedetto di Monte Soratte. Per la
corruzione del Papato nel X secolo, cfr. anche capitolo 12, 5.
[3] Questa terza riunione si
tenne il 4 dicembre 963.
[4] Capo dei segretari pontifici,
curava l’archivio della cancelleria papale. L’elezione di
Leone VIII, così apertamente voluta da Ottone, agevolò
paradossalmente, nel 964, una ripresa romana di Giovanni XII, che moriva
però pochi mesi dopo.
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