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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti altomedievali

a cura di Stefano Gasparri
e Fiorella Simoni
con la collaborazione di Luigi Andrea Berto

© 2000 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XIII
Il regno imperiale tedesco

7. L’orbita mediterranea
(A) Widukindo di Korvey, Gesta dei Sassoni, SRG, III, 71-73.
(B) Tietmaro di Merseburgo, Cronaca, SRG, III, 12.

La conquista del regno italico e la successiva coronazione imperiale portarono inevitabilmente Ottone I in progressivo contrasto con l’impero romano di Costantinopoli, che rivendicava per sé la unicità del titolo imperiale e non voleva perdere il controllo su quel mezzogiorno d’Italia dove Ottone I aspirava ad estendere la propria influenza. In particolare negli anni 967-969 riportiamo il racconto del più volte citato Widukindo il contrasto tra le due potenze sfociò in scontri armati, anche se alle vicende belliche si intrecciavano le trattative per un matrimonio tra il figlio di Ottone ed una principessa bizantina. La crisi connessa alla espansione ottoniana nel mezzogiorno fu comunque passeggera e si risolse quando all’intransigente Niceforo Foca successe (969) il più accomodante Giovanni Zimisce. Le nozze con una principessa bizantina allora finalmente realizzate attrassero ulteriormente il figlio e successore di Ottone I, Ottone II, verso una dimensione mediterranea, ma con esito infelice. L’intervento nel sud d’Italia, attuato contro gli arabi al duplice scopo, di far cessare le scorrerie saracene e di sottrarre il mezzogiorno ai bizantini, si risolse infatti nella sconfitta subita nel 982 da Ottone a Capo Colonne in Calabria riportiamo qui la versione romanzata dell’episodio fornitaci dal già citato Tietmaro di Merseburgo (B). L’anno seguente la prematura morte di Ottone II che meditava una rivincita contro i Saraceni apriva nell’impero una crisi profonda: l’orbita mediterranea rimaneva in tal modo preclusa alle prospettive imperiali fino all’età del Barbarossa.


(A) L’imperatore, prestando troppa fede agli ambasciatori greci, inviò parte del suo esercito e molti dignitari al luogo convenuto con i messi per ricevervi la principessa, che doveva essere scortata da suo figlio Ottone II con tutti gli onori [1]. Ma i Greci fecero ricorso alle arti avite quasi dalla notte dei tempi erano infatti signori di molti popoli, ed erano soliti vincere con l’astuzia quelli che non riuscivano a superare con la forza ed attaccarono improvvisamente i nostri che non sospettavano nulla, cogliendoli del tutto impreparati. Devastarono l’accampamento, uccisero molti uomini, e molti ne portarono prigionieri a Costantinopoli, dal loro imperatore. Quelli che riuscirono a fuggire tornarono da Ottone per riferirgli ciò che era avvenuto. Ottone fu molto colpito, e per cancellare l’onta subita inviò con una forte armata in Calabria [2] Gunther e Sigfrido, già famosi per altre imprese compiute in patria e fuori [3]. I Greci, che la precedente vittoria aveva reso presuntuosi ed incauti, caddero nelle loro mani: una sterminata moltitudine fu uccisa ed i superstiti furono rimandati alla Nuova Roma con il naso troncato. Ai Greci di Puglia e di Calabria venne imposto un tributo, quindi Gunther e Sigfrido tornarono dall’imperatore pieni di gloria per l’impresa compiuta e ricchi per il bottino sottratto ai nemici. Il popolo di Costantinopoli, quando ebbe notizia della disfatta della armata greca in Calabria, insorse contro l’imperatore e lo uccise, anche a seguito di un complotto ordito dall’imperatrice e da un capo militare che venne proclamato imperatore [4]. Il nuovo eletto mise subito in libertà i prigionieri ed inviò ad Ottone la principessa con un imponente seguito e con splendidi doni. Ottone la consegnò subito a suo figlio e si celebrarono splendide nozze che allietarono l’Italia e la Germania.

Widukindo di Korvey, Gesta dei Sassoni, SRG, III, 71-73.

[1] Le trattative che si protrassero a lungo per il matrimonio di Ottone II con una principessa bizantina, non esclusero, nei confronti della presenza greca in Italia, il perseguimento di una politica aggressiva, condotta da Ottone I con l’appoggio dei principi longobardi di Capua, Benevento e Salerno. Il racconto di Widukindo sulle trattative e gli scontri, oltre che di parte, è impreciso e nebuloso.

[2] Qui è sinonimo per il mezzogiorno d’Italia.

[3] Per liberare il suo alleato Pandolfo Testa di Ferro, preso prigioniero dai Bizantini, l’imperatore inviò un esercito capeggiato da Gunther margravio di Meissen e da Sigfrido (forse conte di Merseburgo), i quali sconfissero i Greci presso Ascoli di Puglia.

[4] Niceforo Foca fu assassinato la notte tra il 10 e l’11 dicembre 969 a seguito di un complotto ordito da Giovanni Zimisce, che fu nominato imperatore. La liberazione dei prigionieri e le nozze di Ottone con Teofano avvennero, rispettivamente, nel 970 e nel 973.


(B) In quel tempo Cesare governava l’impero romano e reggeva tutto ciò che prima era stato nelle mani di suo padre. Opponeva valida resistenza ai Saraceni che avevano invaso il suo territorio e si apprestava a metterli in fuga. Venuto a sapere che la Calabria soffriva grandi tormenti a causa delle continue incursioni dei Greci [1] e delle razzie dei Saraceni, chiamò a rinforzare l’esercito i Bavari e gli Alamanni, che sono eccellenti guerrieri. Lui stesso con il duca Ottone, figlio di suo fratello Liudolfo [2], si diresse in fretta verso Taranto che era stata presa e fortificata dai Greci: la cinse d’assedio ed in poco tempo giunse ad impadronirsene. Per vincere i Saraceni, che devastavano le sue province con grandi schiere, inviò da loro due spie, incaricate di fornirgli informazioni precise sul nemico. Riuscì a cacciarli da una città dove si erano asserragliati e ne massacrò, nelle vicinanze, un gran numero, tanto da poter sperare di averli annientati. Ma senza che avesse potuto presagirlo, i nemici si raccolsero nuovamente e piombarono all’improvviso sui nostri che vennero sbaragliati, non senza aver posto resistenza. Così ahimè morirono, il 13 di luglio, Riccardo, che portava la Santa Lancia [3], il duca Eude, zio, di mia madre, i conti Tietmaro, Becelino, Gerardo, Gontiero, Ezelino col fratello Becelino, Burcardo, Dudone, Corrado, e tanti altri il cui nome ora non ricordo: possa Dio ricordarsi di loro! Accompagnato dal nipote Ottone l’imperatore si separò dagli altri e fuggì verso il mare. Vedendo al largo una imbarcazione, di quelle che vengono chiamate “salandra”, le si avvicinò sul cavallo dell’ebreo Calonimo, ma il battello proseguì senza volerlo accogliere. Tornò ancora a riva, dove trovò l’ebreo tutto preoccupato per la sorte del suo carissimo signore. Questi vedeva avvicinarsi i nemici, e si chiedeva tristemente quale sarebbe stata la sua sorte, poi, ricordandosi che aveva un amico da cui sperava aiuto, spinse di nuovo il cavallo nell’acqua e si avvicinò ad un’altra salandra, che distanziava di poco la precedente. Su quell’imbarcazione si trovava uno dei suoi cavalieri, un certo Enrico detto in slavo Zolunta: questi lo fece salire e lo installò nell’alloggio del capitano, il quale lo aveva riconosciuto e chiedeva se non fosse l’imperatore. Dopo aver tentato di nascondere la propria identità Ottone finì per ammettere: “Si, sono l’imperatore, e a causa dei miei peccati mi trovo in questa penosa situazione. Ho perduto i migliori uomini dell’impero, e nell’angoscia del mio dolore non posso né voglio tornare, e vedere gli amici di quelli che sono morti in battaglia. Mi basta arrivare a Rossano, dove la mia sposa mi attende. Noi la prenderemo a bordo, con i tesori che lei custodisce e ci recheremo dal vostro imperatore dei Greci che è mio fratello[4], e che, come spero, sarà per me un amico nelle difficoltà in cui mi trovo”. Conquistato da queste parole il capitano della salandra aderì alla richiesta, e cercò di raggiungere il luogo indicato nel più breve tempo possibile, procedendo notte e giorno. Quando finalmente erano vicini, l’omonimo dell’imperatore fu inviato dall’imperatore e la fece venire a riva con il vescovo Teodorico di Metz, che era nel suo seguito, e con molte bestie da soma, apparentemente cariche di tesori. Come i Greci videro che l’imperatrice usciva dalla città con tanta ricchezze, posero l’ancora, e fecero salire a bordo il vescovo Teodorico con alcuni compagni. A richiesta del vescovo, l’imperatore si spogliò dei rozzi abiti che portava per rivestirne migliori, e poi, confidando nella sua abilità di nuotatore, si gettò in mare dall’alto della prua. Uno dei Greci, che gli era accanto, cercò di trattenerlo per le vesti, ma piombò al suolo, passato da parte a parte dalla spada dell’ottimo cavaliere Liuppone. L’equipaggio fuggì tutto su un lato della salandra, mentre i nostri si tuffavano verso le zattere che si erano avvicinate e raggiunsero sani e salvi l’imperatore che li attendeva sulla spiaggia. Ora che era al sicuro da ogni pericolo egli voleva onorare le promesse fatte all’equipaggio, ricompensandolo lautamente. Ma i Greci, spaventati, non si fidavano delle promesse ricevute, e presero il largo per tornare alla loro patria. Questa volta, quelli che battevano sempre tutti per astuzia, erano stati giocati da un’astuzia pari alla loro.

Tietmaro di Merseburgo, Cronaca, SRG, III, 12.

[1] Per Tietmaro l’intera Italia faceva parte dell’impero ottoniano, e quindi i Greci sono presentati come “incursori”. Inoltre anche per lui come per Widukindo [cfr. sopra, (A), n. 2], il termine Calabria designa l’intero mezzogiorno d’Italia.

[2] Su Liudolfo cfr. sopra, paragrafo 3 (A), n. 9; 3 (C), n. 3. Il figlio di Liudolfo fu duca di Svevia e Baviera (m. 982).

[3] Sulla Santa Lancia cfr. sopra, paragrafo 6 (A), n. 3.

[4] A partire dall’accordo stipulato tra Carlo Magno e Michele I l’imperatore di Bisanzio e quello dei Franchi si davano vicendevolmente il titolo di fratello.

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Ultimo aggiornamento: 01/09/05