Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
5. Due città marinare, Pisa e Genova
(C) Caffaro, Annali genovesi,
FSI 11, anni 1099-1100. (D) Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, FSI 77,
128 (1143).
Abbastanza netta è l'evoluzione verso forme comunali delle città
legate al commercio marittimo. Lasciando da parte Venezia – dove uno
stato autonomo cittadino esisteva già da secoli , diversa, eppure
assimilabile all'evoluzione delle città dell'interno è
quella di Pisa e Genova. A Pisa alla base dell'autonomia c'è
la solidarietà tra i cittadini fondata sull'osservanza delle
“consuetudini del mare”, che Enrico IV promette di rispettare (1081),
nel medesimo tempo in cui riconosce ai Pisani la possibilità
di eleggere una sorta di consiglio straordinario di dodici cittadini,
che prefigura evidentemente future magistrature comunali stabili; ampie
sono le concessioni, politiche ed economiche, fatte in quest'occasione
ai cittadini dall'imperatore (A).
D'altra parte l'arcivescovo di Pisa – quel Daimberto che sarà
il legato della prima crociata – non rinuncia alla sua autorità,
come si vede dal giudizio pacificatorio fra le fazioni cittadine da
lui pronunciato nel 1088-92 (B), con
il quale stabilisce l'altezza massima delle torri [ma cfr. anche (A),
quelle case-fortezze dalle quali i membri dell'aristocrazia cittadina
combattevano le loro guerre private.
A Genova, ancora più nettamente che a Pisa, il comune nasce verso la fine
dell'XI secolo dalle stesse strutture associative del commercio per mare (C).
La “compagna”, questo è il nome della struttura portante del comune
genovese, veniva rinnovata periodicamente, ogni tre o quattro anni (appunto
come una società commerciale). La città appare tutta orientata verso il
commercio con il Levante. Dalla metà circa del XII secolo la struttura
comunale si assesta; i consoli pronunciano un giuramento al momento
dell'entrata in carica (D) che va a costituire il
nucleo originario degli statuti comunali (il Breve). (A) Nel nome della
santa e individua Trinità. Enrico per divina clemenza re. Sia
noto a tutti i fedeli nostri e di Cristo, tanto presenti che futuri,
che abbiamo concesso, su consiglio dei nostri principi, ai nostri fedeli
cittadini di Pisa quanto essi richiedevano.
Abbiamo dunque acconsentito e stabiliamo con fermezza che nessun uomo
senza il loro comune consenso metta le mani su case, le spartisca o
sequestri all'interno della città o noi borghi se [i cittadini]
avranno possessi fuori della città; [stabiliamo] che non daremo
mai ordine di distruggere le mura della stessa città, né
di assediare, né di incendiare la città. Non applicheremo
il banno se non noi modo previsto dalla legge, né faremo arrestare
nessuno della città o dei borghi se non nel caso in cui abbia
ostacolato l'applicazione della legge e non possegga allodi in città
o fuori di essa. Non bloccheremo la partenza delle persone pronte a
salpare per mare se non a ragion veduta in seguito a denuncia relativa
a ciò, e se accuseremo qualcuna di queste persone le permetteremo
di difendersi col giuramento per poter evitare la giustizia. Non procederemo
all’arresto della moglie di chi è in viaggio per mare.
Non revocheremo il possesso tenuto in beneficio per nostra concessione
se non nei casi previsti dalla legge. Le consuetudini del mare [1]
che hanno i Pisani saranno da noi osservate come è loro abitudine
osservarle; colui contro il quale sarà sporta denuncia per motivi
di possesso fondiario non sarà obbligato a difendersi col duello
giudiziario se avrà presentato un garante o se avrà giurato
sulla legittimità dei suoi possessi.
Non renderemo giustizia agli uomini di altre città, castelli,
villaggi o signorie contro i Pisani, se prima gli abitanti dei soprascritti
luoghi o i loro signori che avessero commesso ingiustizia non rendono
giustizia ai Pisani stessi. Non riscuoteremo il fodro dei castelli del
comitato di Pisa se non nel modo in uso al tempo del marchese Ugo, né
riscuoteremo il fodro dagli uomini che abitano nei villaggi del loro
comitato. Non riscuoteremo altre ulteriori imposizioni se non quelle
che risulteranno essere state in vigore al tempo del detto Ugo, secondo
quando avranno giurato tre uomini scelti tra i migliori per ogni villaggio,
obbligati a giurare nel caso in cui non lo volessero fare.
Non permetteremo che nessun gastaldo o altro nostro inviato sia imposto
ai Pisani nella presidenza del placito in città o nel comitato.
Non impediremo che le vergini e le vedove [prendano] un marito da un
altro comitato, nel comitato di Pisa non riscuoteremo contro voglia
il prezzo [del matrimonio], né contro voglia faremo maritare
nessuna. […] Non faremo albergaria [2]
sulla proprietà di qualcuno senza la volontà di colui
del quale è la proprietà.
Nella suddetta città o nei suoi dintorni fino a mezzo miglio di distanza
non prenderemo né faremo lavorare le terre che erano pascoli o paludi
situate davanti ai beni dei Pisani o delle chiese e trasformate in pascoli
comuni, o comunque utilizzate come pascoli,
manca una fotocopia!
[1]
[2]
(B) …
(C) Al
tempo della spedizione navale di Cesarea, poco prima, nella città dei
Genovesi fu fatta una compagna di tre anni e sei consoli, i cui nomi sono
questi: Amico Brusco, Mauro di Platealonga, Guido di Rustico di Rizzo,
Pagano di Volta, Ansaldo di Brasile, Bonusmato di Medolico, che tutti furono
consoli del comune e dei placiti per i pre-detti tre anni. Passato un anno e
mezzo ventisei galee e sei navi, partendo da Genova, alle calende di agosto
si diressero a Gerusalemme. [… ] Alle successive calende di gennaio, fu
fatta una compagna di quattro anni e di quattro consoli […] e furono
consoli del comune e dei placiti per i predetti quattro anni Guglielmo
Embriaco, Guido di Rustico di Rizzo, Ido di Carmadino e Guido Spinola, al
tempo dei quali quaranta galee genovesi si diressero a Gerusalemme. […]
Finiti i predetti quattro anni fu iniziata un’altra compagna, parimenti di
quattro anni e di quattro consoli, che tennero il consolato per questi
quattro anni per il comune e per i placiti. I consoli furono questi: Mauro
de Platealonga, Iterio, Guglielmo Malabito e Otto Fornaio, al tempo dei
quali sessanta galee si diressero da Genova a Gerusalemme. Caffaro, Annali genovesi, FSI 11, anni 1099-1100. (D) Se da qualche genovese sarà
invitato o chiamato, privatamente e personalmente da qualcuno di noi
[consoli] ovvero pubblicamente da molti, a entrare nella nostra compagna,
ed entro quaranta giorni dall'invito non vi sarà entrato, non
saremo più tenuti a niente nei suoi confronti e per i prossimi
tre anni non accoglieremo né lui né le sue istanze davanti
ai nostri tribunali, eccettuato il caso che sia il comune di Genova
a promuovere contro di lui una azione: in questo caso lo ascolteremo
e ci comporteremo con tutta onestà; inoltre non lo nomineremo
né console né custode delle chiavi e non lo manderemo
in nessun luogo come ambasciatore, né lo accetteremo come avvocato
nel tribunale nel quale dobbiamo giudicare e nemmeno gli daremo alcun
ufficio nel comune; faremo giurare i consoli che verranno dopo di noi
che anch'essi si comporteranno nello stesso modo e che faranno fare
analogo giuramento ai loro successori. Raccomanderemo poi al popolo
di non trasportare per mare né lui, che non è voluto entrare
nella compagna del comune, né il suo denaro. E se qualcuno avrà
fatto ciò e ne verremo a conoscenza, faremo vendetta sui di lui,
in tutta onestà, secondo il nostro arbitrio. E se la persona
invitata nella compagna e che non ha voluto entrarvi, come già
si è detto, avrà una controversia con qualcuno della compagna
e noi lo sapremo, raccomanderemo che nessuno della compagna gli dia
consiglio ed aiuto e che si dia invece consiglio all'uomo della nostra
compagna. […]
Se da una torre sarà gettato qualcosa con uno scopo offensivo
e senza il permesso dei consoli e verremo a sapere che per quel lancio
qualcuno è rimasto ucciso, distruggeremo la torre oppure imporremo
la penalità di mille soldi al proprietario o ai proprietari di
quella torre. […]
Se un abitante della nostra città, dai quattordici anni in su,
porterà un coltello o un'arma proibita oppure una spada e una
lancia senza il nostro permesso e non in vista di uscire fuori della
città, gli imporremo una multa di venti soldi. […]
Faremo giurare quelli che hanno torri, se la cosa sembrerà opportuna
alla maggioranza del collegio dei consoli, di sbassare le dette torri
entro dieci anni a quell'altezza che la maggioranza di noi e dei consiglieri
presenti al consiglio avrà concordato. […]
Se riceveremo un uomo come residente in questa città, gli faremo giurare di
abitarla in eterno e di venire ad abitare a Genova con la moglie ed i figli
conviventi, se ne ha, e con i beni, affinché diventi un abitante perpetuo
della città. Codice Diplomatico della Repubblica di Genova, FSI 77, 128 (1143).
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