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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


III
Bisanzio
L'Impero greco medievale

10. L'Età dei Comneni
(A) Niceta Coniate, Storia, pp. 272-273.
(B) Alessio I Comneno, Crisobolla (1082).

Attorniato da Normanni, Peceneghi e Turchi, l'impero bizantino effettuò nel corso dell'XI-XII secolo uno sforzo disperato per sopravvivere. Crollato il dominio asiatico e quello italiano, di nuovo indeboliti nei Balcani, i Bizantini trovarono nella nuova dinastia dei Comneni gli interpreti giusti per questo estremo tentativo. Esso si accompagnò ad una profonda militarizzazione dell'impero, ed il brano di Nicola Coniate (relativo all'età di Manuele I Comneno, 1144-1180) mostra in effetti quanto fosse privilegiato il mestiere del soldato. Ma l'azione dei Comneni – persa definitivamente quell'Asia Minore che era stata la vera base della forza di Bisanzio nei secoli precedenti – dovette limitarsi al recupero dei territori costieri. I Comneni furono duramente intralciati anche dal crescente interessamento occidentale per le questioni medio-orientali, che sfociò nelle crociate [cfr. cap. 5]. Bisanzio perse inoltre il dominio dei mari, che passò alle città italiane, a Venezia in primo luogo, che con la Bolla d'Oro (1082) concessa da Alessio I Comneno rovesciava definitivamente il suo antico rapporto di sudditanza con Bisanzio. Ora era l'antica capitale a doversi aprire al predominio commerciale dei Veneziani, che, in quanto “nazione più favorita”, potevano commerciare senza pagare dazi: in condizione di vantaggio, quindi, rispetto agli stessi sudditi dell'impero. Grandi privilegi, che rappresentavano però anche la premessa di odi e contrasti futuri: nel 1171, ad esempio, Manuele I Comneno sequestrò i beni dei Veneziani, arrestando tutti coloro che si trovavano sul territorio dell'impero. È la strada che porterà alla IV crociata [cfr. cap. 12,4].


(A) Presso i Romani e credo anche presso i barbari, vige l'uso che i soldati ricevano una paga, che siano spesso passati in rivista per verificare se il loro equipaggiamento sia in ordine e se essi curino bene i cavalli e che le reclute siano passate in rivista prima dell'iscrizione nei cataloghi militari per controllare che abbiano un corpo robusto, siano in grado di tirare con l'arco e siano esercitati nel lancio dell'asta. L'imperatore trattenne la paga nella cassa statale come in una cisterna e appagò la sete degli eserciti con le contribuzioni dei parici [1]. Egli abusò così di una disposizione creata dagli imperatori precedenti e raramente applicata a quei soldati che si erano battuti col nemico.
Non notò che con ciò aveva reso l'esercito più fiacco e condotto fiumi di oro in ventri oziosi e peggiorata la situazione delle province romane. I buoni soldati non mostravano nel pericolo più alcuna ambizione: ciò che li aveva stimolati a impegnare la loro capacità di combattimento non era più, infatti, come prima, una particolare distinzione, giacchè pioveva tutto dal cielo senza fatica. Gli abitanti delle province, che prima avevano obblighi verso la cassa dello stato, soffrivano indicibilmente sotto l'insaziabilità dei soldati. Ad essi furono non solo rubati danaro e beni ma anche strappata l'ultima tunica e a volte furono trascinati via dal cerchio dei loro cari. Per questo chiunque avesse voglia si arruolava. Molti dicevano addio ai loro agi che procuravano loro solo in modo faticoso e meschino ciò di cui avevano bisogno; altri assestavano un calcio alla striglia dei cavalli; questi si lavava l'argilla della mattonaia dalle mani e quello si puliva la fuliggine della fucina e si presentavano agli arruolatori.
Quando portavano in dono un cavallo persiano o sborsavano un paio di monete d'oro, venivano inquadrati tra i soldati senza esame e subito dotati di scritti imperiali che assegnavano loro freschi prati e fertili campi e Romani tributari dovevano servire come schiavi e succedeva che un Romano esperto nella guerra a volte doveva pagare le sue tasse a un semibarbaro, che non aveva ancora sentito niente circa un ordine di battaglia e in confronto a lui il Romano sembrava essere un vero Achille perché egli aveva tuttavia due braccia sane mentre quel “guerriero” in seguito a un difetto non poteva distendere nessuna delle sue due mani. II destino delle province corrispondeva all'indisciplina dell'esercito: le une furono saccheggiate davanti ai nostri occhi dai nemici e annesse al loro regno, le altre furono distrutte e devastate come terra nemica dalla nostra propria gente.

Niceta Coniate, Storia, pp. 272-273.

[1] Contadini insediati su terre militari.


(B) Nessuno ignora le cose [che compirono] i Veneziani, in che modo, dopo aver costruito innumerevoli navi, vennero ad Epiolamnio, che noi chiamiamo Durazzo; e in che modo le [loro] navi, combattendo innumerevoli nemici, ci prestarono aiuto […]. In remunerazione di questi servizi ben volle il mio impero, con il testo della presente crisobolla, concedere loro ogni anno, al tempo del pagamento dei funzionari, un solenne contributo di venti libbre [d'oro], da distribuirsi tra le loro chiese di Venezia secondo la loro volontà. Inoltre [il mio impero] onorò anche il loro nobile doge della venerabilissima dignità di protosebasto con tutto il suo onorario. E non assegnò l'onore [solo] alla sua stessa persona, ma [stabilì] che fosse ininterotto e perpetuo e che fosse trasmesso per successione a quelli che saranno dogi dopo di lui in città. Onorò anche il loro patriarca [del titolo] di hypértimos (cioè superonorevole), con un onorario di venti libbre [d'oro]. E trasmise questo onore per successione a quelli che in seguito saranno patriarchi, affinché anche questo sia ininterrotto e perpetuo, e non soltanto nella sua persona.
Stabilì inoltre il mio impero che la santissima chiesa del santo apostolo ed evangelista Marco, che è in Venezia, riceva ogni anno tre solidi da tutti gli Amalfitani – che sono sotto la potestà del loro patriziato – che possiedano empori nella grande città [1] e in tutta la Romània. Per questo dona loro anche gli empori, che sono nella zona dell'Embolon (dov'è il portico di Perama), con i loro edifici a più piani, che abbiano del tutto sia il diritto di entrata che di uscita, dalla Porta Ebraica fino a quella di Vigla, sia quelli che sono abitati che quelli che non sono abitati, nella quale [zona] i Veneziani rimangono insieme ai Greci [per tenervi i loro] empori; e [dona] tre scali marittimi, che si trovano in questa zona. Dona anche un forno a S. Cindino, presso il lato della chiesa, che appartiene alla casa di Pietro, e ha una rendita di venti bisanti.
Ugualmente dà anche la chiesa del santo apostolo Andrea, a Durazzo, con le pensioni imperiali lì esistenti […]. Concede inoltre ad essi [il mio impero] anche la facoltà di commerciare in tutte le parti della Romània ogni tipo di merce, e in particolare nella grande Laodicea, ad Antiochia, Durazzo, Corinto, Tebe, Atene, Tessalonica, Adrianopoli, Eraclea e nella stessa Megalopoli [2], e [più] semplicemente in tutte le parti che sono sotto la potestà della nostra pia mansuetudine, senza che debbano fornire assolutamente, per qualsivoglia loro negozio o commercio alcun tributo […] di quelli che si pagano per i commerci.
In tutti i luoghi adibiti al commercio è dato loro il permesso dal mio impero di essere superiori a qualunque requisizione. Sfuggano in verità allo stesso eparco […] e a tutti i funzionari dello stesso tipo, e nessuno di quelli che sono messi nei diversi luoghi per trattare gli affari dei principi e degli altri presuma di trascurare alcuna delle cose che sono stabilite qui in loro favore. Di tutte le merci e le cose infatti, che chiunque possa enumerare, è concessa ad essi la facoltà di commercio, ed avranno il potere di fare ogni tipo di acquisto, rimanendo al di sopra di qualunque contribuzione.

Alessio I Comneno, Crisobolla (1082).

[1] Costantinopoli.
[2] Ancora Costantinopoli. L'elenco delle città è stato qui fortemente abbreviato rispetto all'originale.

 

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