Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
6. Venezia suddita di Bisanzio (A) Documenti relativi alla storia di Venezia, 11, 41 (960). (B) Documenti relativi alla storia di Venezia, II, 49 (971).
Annidato nell'estremo nord dell'Adriatico, un antico lembo di terra bizantina
non aveva ancora dimenticato la sua appartenenza all'impero. Venezia,
nel corso del secolo X, è ancora una realtà di medio calibro, una potenza
puramente regionale, adriatica. Tuttavia, grazie all'alta sovranità bizantina
utilizzata come una sorte di ombrello di protezione nei confronti del
regno italico e dell'impero occidentale, essa sta gettando le basi della
sua futura, straordinaria fortuna come centro del commercio di scambio
tra occidente e oriente. I dogi Candiano, che reggevano Venezia in questo
scorcio di secolo, sia pure aperti verso l'occidente, non trascurarono
i rapporti, sempre vitali per Venezia, con Bisanzio. I due placiti ducali
qui riportati dimostrano come, in una fase di rinnovata vitalità bizantina,
Venezia fosse costretta ad allinearsi alle direttive della lontana capitale.
Così Romano II può imporre ai dogi (960) di bloccare il fruttuoso commercio
di schiavi ai quali i Veneziani si dedicavano e, ancora più duramente
(con “terribili minacce”), Giovanni Zimisce può ordinare di sospendere
il traffico commerciale di armi e legname (necessario per costruire le
navi) con i Saraceni (971), contro i quali i Bizantini in quegli anni
erano di nuovo impegnati in vittoriose campagne militari, in Asia Minore
e nel Mediterraneo.
(A) In nome del signore Dio e
salvatore nostro Gesù Cristo. Regnante il signore Romano, gloriosissimo
imperatore, anno quattordicesimo del suo impero, mese di giugno, terza
indizione, Rialto, nella corte del palazzo. Poiché nei tempi passati nella
nostra provincia i nostri catturavano gli schiavi, e per questo peccato
a noi venivano molte tribolazioni, il signore Orso, buon duca, insieme
con suo figlio Giovanni scacciò questa malvagità e stabilì che nessuno
di noi vendesse schiavi [1].
Ma per la cattiveria del maligno e invidioso nemico questa costituzione
è stata violata e trasgredita. Allora, un giorno, essendo residenti nel
palazzo con noi, Pietro duca di Venezia con l'aiuto di Dio e figlio del
fu duca Pietro Candiano [2],
Bono egregio patriarca [3],
e i venerabili vescovi e primati nostri, stabiliamo che questa ottima
costituzione, che era stata promulgata dai nostri predecessori, non sia
mai violata, ma sempre osservata fermamente e inviolabilmente. […]
Tutti insieme stabiliamo che nessun [veneziano], di maggiore o minore
condizione, compri schiavi per venderli […].
Ugualmente stabiliamo che nessun capitano delle nostre navi trasporti
sulla sua imbarcazione schiavi né da Venezia, né dall'Istria, né dalla
Dalmazia, né da nessun altro luogo per nessun motivo, né trasporti un
mercante [di schiavi] o un ebreo.
E ugualmente stabiliamo che nessun veneziano dia il suo denaro ad un greco
per comprare schiavi, e che nessun veneziano osi trasportare schiavi oltre
Pola, né nella terra dei Greci, né in nessun luogo [osi] donarli, a meno
che non debba redimersi dalla prigionia, o per un motivo tale che ne venga,
[in caso contrario], danno alla patria, oppure per conto del palazzo.
Similmente stabiliamo che nessun veneziano presuma di ricavare un guadagno
da un greco o da uno della terra di Benevento, o da un abitante di altri
luoghi, per gli schiavi da trasportare lì da altri posti. Documenti relativi alla storia di Venezia, 11, 41 (960).
[1] Sono i duchi Orso Particiaco
(864-881) e suo figlio Giovanni (881-887). La costituzione era stata emanata
nell'876 circa.
[2] Pietro III Candiano era figlio
del duca Pietro II (942-959).
[3] Di Grado. (B) In nome di Dio e nostro salvatore
Gesù Cristo. Regnante il signore Giovanni, grande imperatore, anno secondo
del suo impero, mese di luglio, quattordicesima indizione. Rialto. Essendo
stati diretti a noi, nel corso di questa indizione, messi imperiali da
parte di Giovanni, Basilio e Costantino, santissimi imperatori, per compiere
un'inchiesta sul legname e sulle armi che le nostre navi portavano nelle
terre dei Saraceni, e avendo essi proferito terribili minacce tramite
le parole del gloriosissimo imperatore [1],
e cioè che, se fosse stato prestato aiuto ai barbari con tale legname
a danno dell'impero e del popolo cristiano, egli avrebbe fatto bruciare
le navi con gli uomini e tutto ciò che avrebbe trovato su di esse; [per
questo motivo] allora, un giorno, essendo residente [nel palazzo] il signore
Pietro, eccellentissimo duca e nostro signore, insieme con Vitale, santissimo
patriarca [2] e suo
figlio, Marino, reverendissimo vescovo della chiesa di Olivolo [3],
e gli altri vescovi della provincia, ed essendo in sua presenza la maggior
parte del popolo, maggiori, mediocri e minori, [i Veneziani] si consultarono
sul modo con cui placare l'ira dell'imperatore e astenersi da questa cattiva
consuetudine. E poiché sappiamo con assoluta certezza che è un grande
peccato prestare aiuto alla gente pagana, che in questo modo può superare
o nuocere i cristiani, allora tutti insieme per ispirazione della misericordia
divina stabiliamo, confermiamo e promettiamo con il vincolo di questa
promessa, insieme con i nostri eredi, a voi, signore Pietro, eminentissimo
duca, nostro signore, e ai vostri successori, che d'ora in poi nessuno
porterà armi nelle terre dei Saraceni per venderle o donarle, o legname
per costruire navi che possono essere di danno al popolo cristiano, né
corazza, né scudi, né spade, né lance, né altre armi con le quali quelli
possono colpire i cristiani; e nessuno porterà altre armi se non quelle
con le quali difendersi dai nemici, e [pure] quelle in alcun modo le venderanno
o doneranno ai barbari. […] Documenti relativi alla storia di Venezia, II, 49 (971).
[1] Giovanni Zimisce.
[2] Di Grado.
[3] Oggi S. Pietro di Castello.
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