Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
7. Il secolo XI tra trionfi e sconfitte (A) Giorgio Cedreno, Storia universale. (B) Michele Psello, Cronografia, I, p. 19. (C) Giovanni Scilitze, Cronaca.
Con Basilio II (976-1025), l'impero greco medievale raggiunse probabilmente
il culmine della sua potenza, e non è certo un caso che quest'imperatore
si sia segnalato per la sua politica agraria antiaristocratica, paragonabile
a quella di Romano Lecapeno. Michele Psello, storico, uomo di stato e
filosofo del tempo, mette bene in evidenza l'accorta politica economica
dell'imperatore (B). L'episodio più famoso dell'impero di Basilio – che
ottenne vasti successi anche nell'Italia meridionale – fu il trionfo da
lui riportato sui Bulgari, che sotto lo zar Samuele avevano costituito
un vasto impero, con capitale ad Ocrida, annidato in antiche terre bizantine
(Macedonia, Bulgaria, Tessaglia, Epiro, Albania). Lo scontro decisivo
ebbe luogo a Prilep (1014), e si segnalò per la spietata ferocia di Basilio
(poi detto “Bulgaroctono” ), che fece accecare migliaia di prigionieri
bulgari. In seguito a questa sconfitta l'impero bulgaro si sfaldò (A).
L'apogeo bizantino si rivelò effimero. Nuovi nemici si profilavano infatti
all'orizzonte: e se i Normanni in Italia si limitarono a mutilare l'impero
di una provincia periferica [cfr. capitolo 8], molto più grave fu l'apparizione
dei Turchi Selgiuchidi, ben presto padroni di Bagdad e poi (1065) dell'Armenia.
Con la catastrofica sconfitta inflitta dal sultano Alp Arslan alle truppe
di Romano IV Diogene a Manzikert, i Turchi vedevano infatti spalancata
la strada al dominio sull'intera Asia Minore (1071). Il brano di Giovanni
Scilitze – contemporaneo ai fatti; era un ufficiale dell'esercito bizantino
– racconta (C) l'accorcio stipulato tra l'imperatore e il sultano dopo
la battaglia.
(A) L'imperatore [1]
non tralasciava di penetrare ogni anno in Bulgaria, devastando e saccheggiando
le regioni dove giungeva. Samuele, non potendo difendersi in campo aperto
né opporsi a lui con una vera e propria battaglia, trovandosi incalzato
da ogni parte e avendo perduto il primitivo vigore, pensò di fortificarsi
con fossati e bastioni, e così ostacolare le irruzioni in Bulgaria. Vide
che l'imperatore soleva sempre passare per la gola di Kimba Longu e per
il valico di Kléidi [2];
perciò decise di sbarrare quel terreno difficile e di impedirne l'accesso.
Fece erigere una palizzata molto estesa, la munì di un presidio adeguato,
e rimase in attesa. L'imperatore giunse, tentò di passare, ma incontrò
una energica resistenza: i difensori dall'alto, con armi da lancio e da
taglio, misero a mal partito i suoi soldati. Aveva già perduto la speranza
di passare, quando lo raggiunse il generale Niceforo Xifia di Filippopoli
e lo esortò a continuare negli assalti alla fortificazione; lui, disse,
andava a vedere se si poteva fare qualcosa di utile, aggirando un monte
altissimo che si eleva a sud di Kléidi e che chiamano Valasitza, e percorrendo
con le sue truppe luoghi sassosi e impervi. Così, il 29 luglio, piombò
all'improvviso dall'alto alle spalle dei Bulgari, che, colti di sorpresa
e sbigottiti, si diedero alla fuga. L'imperatore si aprì un varco nella
fortificazione e li inseguì; molti caddero, molti di più furono fatti
prigionieri; Samuele a stento riuscì a fuggire, grazie al generoso aiuto
del figlio che affrontò gli assalitori, lo fece salire a cavallo e lo
condusse nella fortezza di Prìlapon [3].
L'imperatore fece accecare i prigionieri bulgari, circa 15.000, a quanto
si dice; a ogni centinaio di essi, privati della vista, diede per guida
un loro compagno, cui era stato cavato un solo occhio, e tutti li rimandò
a Samuele. Al loro arrivo, il re, visto il numero e la loro condizione,
non resse a così atroce spettacolo, gli si offuscò lo sguardo, svenne,
cadde al suolo; con acqua e profumi gli astanti gli fecero riprendere
i sensi. Riavutosi, volle bere un po' d'acqua fredda; ma poi soggiacque
al crepacuore, e due giorni dopo morì. Giorgio Cedreno, Storia universale.
[1] Basilio II.
[2] In Macedonia.
[3] Prilep.
(B) Da allora, avendo sottratto
l'impero alla sorte superba e invidiosa, non solo si rese piana la via
del potere, ma chiuse anche le uscite delle somme di danaro versate e
costituì un tesoro imperiale di molti talenti sia non dando via nulla,
sia continuando a incrementarlo. Riempì la cassa imperiale di una somma
che andava fino a 200.000 talenti. E per il rimanente degli introiti,
chi troverebbe facilmente delle parole per enumerarli? Tutti i tesori
ammassati presso gli Iberi e gli Arabi e tutti quelli presso i Celti e
quelli che aveva la terra degli Sciti, e, per dirlo in breve, il mondo
barbaro intorno all'impero, tutto ciò avendo raccolto in un medesimo luogo
lo depose nelle casse imperiali. E anche di coloro che erano insorti contro
di lui e che in seguito erano stati sottomessi, tutta la [loro] fortuna
in danaro trasferì e conservò nella cassa imperiale. Michele Psello, Cronografia, I, p. 19.
(C) Il giorno dopo fu annunciata
al sultano anche la cattura dell'imperatore [1]
ed egli provò una grande gioia, mista a incredulità, non capacitandosi,
mentre così era, di avere alla sua mercé anche il capo di un esercito
così potente; nondimeno, considerò l'evento con moderazione, non insuperbì
per la vittoria, diminuì il successo, lo attribuì a Dio, e preferì dar
prova di bontà d'animo e modi cortesi, che non perfezionare il trionfo
secondo la sua potenza. Perciò, quando questi fu condotto davanti al sultano
Arslan, l'imperatore bizantino in modesta uniforme militare, rimase perplesso
e cercò una conferma. Ma, poi che i messi l'ebbero rassicurato e il personaggio
si gettò ai suoi piedi levando alti gemiti, subito, come in un impeto
d'ira, balzò dal trono e si erse. Secondo il costume della sua gente,
pose il piede sul collo del vinto, poi subito lo rialzò, lo abbracciò
e gli disse: “Non temere, o re, sii pieno di buone speranze per
tutto; non sarai esposto ad alcun pericolo fisico; sarai onorato come
si conviene alla tua dignità. Stolto infatti mi sembra colui che non tien
conto delle improvvise avversità e non procede con cautela”.
Ordinò che per l'imperatore fosse apprestata una tenda, e gli fossero
assegnati servi adatti; lo tenne come suo commensale e familiare; lo fece
sedere, non in disparte, ma in trono con lui, equiparandolo con perfetta
rettitudine negli onori e nella gloria. Due volte al giorno si intratteneva
con lui, conservando, confortandolo, e così continuò per otto giorni,
facendolo partecipe di discorsi e di pasti, senza mai schernirlo con la
più breve parola, senza mai rammentargli opinabili errori nella condotta
della campagna.
Un giorno il sultano domandò all'imperatore: “Tu che avresti fatto, se
mi avessi avuto nelle tue mani?” L'imperatore rispose con tutta schiettezza
e senza alcuna adulazione: “Ti avrei fatto bastonare a lungo, sappilo”.
Il sultano replicò: “lo invece non ti imiterò nella severità e nell'asprezza.
Inoltre, ho sentito dire che anche il vostro Cristo vi impone la legge
della pace e il perdono dei mali, e si oppone ai superbi, e favorisce
gli umili”.
Dopo di ciò, stipularono una tregua, presero accordi per una pace perpetua,
imponendone la cura anche ai figli; ristabilirono i diritti di ognuno
dei due Stati quali erano all'origine; instaurarono reciproci rapporti
d'amicizia: nessun Turco avrebbe più devastato l'impero bizantino; sarebbero
tornati ai rispettivi paesi tutti i prigionieri di guerra, e in particolare
i notabili bizantini; il re prometteva al sultano l'accoglienza più cordiale.
[…] Stipulati tali patti, il sultano mandò libero l'imperatore,
dopo molti abbracci e onorevoli addii, dandogli anche una scorta di suoi
familiari. Giovanni Scilitze, Cronaca.
[1] Romano IV Diogene (1068-1071).
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