Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
11. I figli di Guglielmo I: Enrico e la crisi dinastica (A) Guglielmo di
Malmesbury, Gesta dei re d'Inghilterra, V, RS 90/2, 390, 41 1-413. (B) Cronaca
delle gesta dei conti di Angiò, pp. 68-69.
Il 2 agosto 1100 moriva Guglielmo Rufo ed il 5 il fratello minore Enrico
riceveva la corona regia, bruciando sul tempo le possibili rivendicazioni
del fratello primogenito Roberto. Enrico, che nel rivendicare il trono
si valeva del titolo di porfirogenito o Aetheling (a differenza dei fratelli
era nato quando i genitori avevano il titolo regio) si dimostrò un sovrano
abile sul cui carattere disponiamo di un gustoso ritratto (A)
profilato da Guglielmo di Malmesbury nei già citati Gesta regum Anglorum.
Buon politico e capace amministratore, nelle questioni ecclesiastiche
Enrico arrivò ad un compromesso con l'arcivescovo Ansclmo [cfr. paragrafo
10], dal punto di vista territoriale riuscì ad annettere la Normandia
[cfr. paragrafo 9] , mentre dal punto di vista amministrativo continuò
le riforme paterne istituendo, tra l'altro, l'ufficio dello Scacchiere
(Exchequer), un settore della curia regia così chiamato in quanto espletava
il suo compito di controllare l'ingresso dei redditi dovuti al re servendosi
di gettoni da collocare su caselle. Ma la sorte di una continua discendenza,
che in Francia favoriva la dinastia capetingia, non fu riservata ai re
normanni di Inghilterra. L'unico figlio maschio legittimo del re moriva
nel 1120 e nel 1127 Enrico fece giurare nobili e clero che alla sua morte
avrebbero riconosciuto la figlia Matilde, vedova dell'imperatore Enrico
V. Dopo il giuramento la venticinquenne Matilde venne fatta sposare al
quattordicenne Goffredo, crede della contea francese d'Angiò: un matrimonio
sul quale logicamente si soffermano, oltre agli storici inglesi, quelli
angioini, come l'appare nella Chronica de gestis consulum Andegavensium
e nella Historia Gaufridi ducis Normannorum et comitis Andegavorum, dalle
quali riportiamo i brani B e C.
Matilde non fu mai veramente regina perché alla morte di Enrico (1135)
fu il cugino Stefano di Blois ad impadronirsi del regno: dal suo matrimonio
era però nato Enrico, che nel 1154 – alla morte di Stefano –
avrebbe portato la nuova dinastia normanno-angioina sul trono di Inghilterra
[cfr. capitolo 11]. (A) Enrico, il figlio più giovane
del grande Guglielmo, nacque in Inghilterra tre anni dopo che suo parevi
era giunto. Da piccolo tutti furono d'accordo che dovesse ricevere un'ottima
educazione perché, tra i figli, era l'unico nato quando il padre era già
re, e quindi sembrava che il regno dovesse spettargli di diritto. Compì
così il suo tirocinio con la lettura ed il commento di libri, e succhiò
tanto avidamente il nettare della cultura che in seguito né le guerre
né gli impegni poterono sradicarla dal suo animo. Anche se pubblicamente
non leggeva molto, e non cantava che a voce sommessa, la sua istruzione,
per quanto discontinua, gli fu davvero strumento essenziale per l'arte
di regnare, secondo il famoso detto di Platone: “Beato lo stato,
se i Filosofi regnassero o i re fossero filosofi!” [1].
Grazie alle sue conoscenze non superficiali di filosofia, a poco a poco
apprese infatti a trattare con maggiore mitezza i sudditi e a non permettere
che si impiegassero i soldati se non in caso di assoluta necessità. Intanto,
nella speranza di regnare, puntellava la sua fanciullezza con la cultura,
ed anche davanti a suo padre era solito ripetere il proverbio: “Re
illetterato, asino coronato”. Dicono che al padre non fosse sfuggito
l'impegno di volontà messo dal bambino per rafforzare il proprio alacre
discernimento; anzi, un giorno in cui Enrico piangeva perché era stato
picchiato da uno dei fratelli, il padre lo avrebbe consolato con queste
parole: “Non piangere figlio, perché tu pure sarai re”.
Era capace nel curare i propri interessi, perseverante nel difenderli.
Fin quando poteva onorevolmente impedire la guerra la impediva, ma quando
decideva di non poter tollerare oltre, diveniva implacabile nel vendicarsi
delle offese, difendendosi dai pericoli con lo scudo del valore. Era ugualmente
tenace nell'odio come nell'amicizia, ed il suo contegno nel primo caso
si adeguava all'eccesso dell'ira, nel secondo si conformava alla magnanimità
regia: schiacciava i nemici fino distruggerli ed innalzava amici e clienti
fino a renderli oggetto di invidia. Del resto la filosofia pone come primo
e più grande compito del buon principe quello di indulgere a chi è sottomesso
e di sbaragliare chi è superbo [2].
Inflessibile nel rigore della giustizia, contentava gli abitanti delle
province con la pace ed i signori con un trattamento onorevole. Faceva
ricercare con la massima diligenza i ladri ed i falsari e quando li trovava
li puniva, non trascurando neppure fatti di lieve entità. Poiché era venuto
a sapere che i venditori non accettavano le monete rotte, anche se di
buon argento, diede ordine che tutte le monete venissero rotte o intaccate.
Prese dei provvedimenti contro le misure false dei mercanti e assunse
la lunghezza del proprio braccio come unità di misura valida per tutta
l'Inghilterra. Per i suoi vassalli, ovunque avessero manieri, stabilì
con un editto quanto dovessero ricevere gratuitamente dai contadini e
quanto invece dovessero comprare, ed a che prezzo: i trasgressori furono
colpiti con gravi multe o con la pena di morte. All'inizio del suo regno,
per bollare i colpevoli con un terribile esempio, si mostrava proclive
a punire con le mutilazioni, in un secondo tempo indulse però maggiormente
a pene pecuniarie. Per la sua prudenza, come è naturale, veniva rispettato
dai signori ed amato dagli abitanti delle province. […]
Per statura si ergeva sui più bassi ma veniva superato dai più alti. Aveva
i capelli neri, radi intorno alla fronte, gli occhi sereni, il petto ampio,
la corporatura abbondante. Sapeva scherzare secondo le circostanze, ed
il peso dei suoi impegni non lo rendeva meno piacevole quando si trovava
in compagnia. Poiché non aveva grande fama di combattente ripeteva il
detto di Scipione l'Africano: “Mia madre mi ha partorito imperatore,
non guerriero”. Dato che per sapienza non era secondo a nessuno
dei re moderni, e direi anche che fosse il primo fra tutti quelli che
in Inghilterra lo avevano preceduto nel regno, preferiva combattere con
l'avvedutezza piuttosto che con la spada: quando era possibile vinceva
senza spargimento di sangue ed altrimenti lo riduceva al minimo. Per tutta
la vita fu dedito alle lascivie amorose benché, come abbiamo saputo da
persone bene informate, non si abbandonasse agli amplessi per voluttà
sfrenata ma piuttosto per desiderio di procreare, non assentendo a dilettarsi
con altre donne se non quando sapeva che potesse risultarne un concepimento
[3]. Si comportava in tal modo
come signore di sé stesso, senza assoggettarsi alla libidine come uno
schiavo. Si serviva del cibo con noncuranza, più per placare la fame che
per soddisfare la gola con cibi ricercati. Non indulse mai al bere più
di quanto gli servisse a dissetarsi. Non tollerava gli eccessi né in quelli
della sua cerchia né negli altri. Aveva il sonno pesante, spesso interrotto
dal russare. Parlava bene, più per dono di natura che per abilità acquisita,
senza precipitazione ed a proposito. Per diffondere la devozione verso
Dio fece costruire monasteri in Inghilterra ed in Normandia. […]
Restituì le investiture delle chiese a Dio ed a san Pietro solo dopo molte
controversie con l'arcivescovo Anselmo [4]
piegandosi infine a consentire a seguito della poco gloriosa vittoria
riportata sul fratello [5]. Guglielmo di Malmesbury, Gesta dei re d'Inghilterra, V, RS 90/2,
390, 41 1-413. [1] Platone, Repubblica, V, 18. Enrico
venne soprannominato Beauclere per la sua cultura.
[2] Cfr. Virgilio, Eneide, Vl, 853.
[3] Si hanno notizie di almeno 11
figli illegittimi di Enrico I, il più importante dei quali è Roberto,
conte di Gloucester, principale sostenitore della causa della sorellastra
Matilde durante la crisi dinastica.
[4] Il dissenso sulla questione delle
investiture venne composto con il compromesso di Bec, del 1107.
[5] Con la battaglia di Tinchebray
[cfr. paragrafo 9 (C)]. (B) Enrico, re di Inghilterra,
ebbe un figlio di nome Guglielmo. Questi prese in moglie la figlia di
Folco d'Angiò [1]
– che portò in dote la contea di Caen – e quindi ricevette
la Normandia dal re di Francia Luigi,avendogli reso atto di omaggio. All'età
di 17 anni morì in mare con molti altri nobili mentre tornava in Inghilterra:
i loro corpi non furono mai recuperati [2].
Nell'anno 1100 dell'Incarnazione del Signore, Folco ebbe da sua moglie
[3], figlia del conte
Elia, un figlio di nome Goffredo che crebbe, divenne un valorosissimo
cavaliere, e sposò Matilde, la figlia del re d'Inghilterra, che era stata
moglie dell'imperatore tedesco Enrico V. Cronaca delle gesta dei conti di Angiò, pp. 68-69. [1] Matilde, figlia di Folco V. II
re di Inghilterra voleva imparentarsi con gli Angioini di Francia, signori
dell'Angiò e del Maine, per ampliare le proprie basi territoriali francesi.
[2] Si tratta del famoso naufragio
della Nave Bianca avvenuto nel 1120.
[3] Folco V aveva sposato Aremburgis,
figlia ed erede del conte del Maine. (C) Nuovamente il re mandò messi
a Folco d'Angiò perché si recasse a Caen, nell'ottava di Pasqua, per celebrare
degnamente le nozze del figlio. Il re uscì da Rouen, ed insieme con il
figlio di Folco [1]
e con la propria figlia imperatrice (era stata infatti moglie dell'imperatore)
giunse a Caen nel giorno stabilito. Da diverse parti convennero, per celebrare
il sacramento del matrimonio, arcivescovi, vescovi, abbati ed ecclesiastici
di ogni grado. La figlia del re venne dunque data in sposa al figlio del
conte di Angiò ed i vescovi indagarono sul reciproco consenso. Il valore
e la validità del matrimonio consistono infatti interamente nel consenso
ed è il consenso che fa le nozze. L'uno e l'altra assentirono e scambievolmente
si promisero fedeltà. Venne allora celebrata la messa solenne e venne
celebrata la benedizione nuziale. Gioì il clero, esultò il popolo, e per
mezzo del banditore fu dato l'ordine che nessuno, abitante del luogo o
straniero, benestante o povero, nobile o plebeo, cavaliere o contadino,
si astenesse dal partecipare alla regale letizia: chi non avesse preso
parte ai festeggiamenti nuziali si sarebbe infatti reso colpevole di lesa
maestà. Le nozze furono dunque affollatissime e tutti, uomini e donne,
furono ristorati con vari generi di vivande. I festeggiamenti nuziali
si protrassero ininterrottamente per tre settimane ed alla fine nessun
cavaliere se ne andò via senza un dono del re. Il re diede il bacio della
pace alla figlia ed al genero e si dedicò ad altre incombenze, mentre
il conte d'Angiò si recò invece ad Angers con il figlio e la moglie del
figlio. Mentre erano ancora lontani tutta la città accorse, si diede fiato
alle trombe, le pareti delle chiese vennero ricoperte di drappi e cortine,
tutto il clero con i paramenti bianchi, le cappe, i ceri, i libri e le
croci venne loro devotamente incontro, cantando inni e lodi. Il nuovo
signore e la nuova signora furono dunque accolti con il più grande tripudio
del clero e del popolo. Impiegarono poi nel bene i loro giorni e nobilitarono
l'isola di Gran Bretagna e le terre di là del mare con la successione
di una magnifica stirpe.
Nel quarto anno di matrimonio Goffredo ebbe il figlio primogenito, Enrico
[2]; nel quinto anno
ebbe Goffredo; nel sesto ebbe Guglielmo.[…] Nello stesso anno, il
1137 dell'Incarnazione del Signore, dopo 35 anni e 4 mesi di regno, a
72 anni di età [3],
il re Enrico d'Inghilterra morì presso Rouen, nella località detta Lens.
I Normanni seppellirono le sue viscere e gli Inglesi il resto del corpo.
Alla morte di re Enrico fu innalzato al regno e fu coronato Stefano conte
di Mortain, fratello del conte Tebaldo e nipote del defunto re [4].
Nel secondo anno dopo la morte del re Enrico vi fu una terribile siccità
da marzo a settembre. In quell'anno la regina Matilde passò in Inghilterra
[5]. A sua volta
il conte Goffredo radunò grandi schiere di fanti e cavalieri, e con l'aiuto
di tutti i baroni, specialmente di Guglielmo duca d'Aquitania [6],
passò in Normandia. Con l'eccezione della fortezza di Gisort, data al
re Luigi di Francia per garantirsene la neutralità, Goffredo conquistò
interamente la Normandia e ne divenne duca. Giovanni di Marmoutier, Storia di Goffredo, duca di Normandia e conte
d'Angiò, pp. 180-181, 214. [1] Goffredo il Bello, nato nel 1113
da Folco V d'Angiò e da Aremburgis del Maine.
[2] Il futuro re di Inghilterra, Enrico
Il, nato nel 1133, dopo che Matilde e Goffredo, separatisi poco dopo le
nozze, si erano riconciliati per volontà di Enrico I.
[3] Enrico I morì il 1° dicembre
1135, a settantasette inni (era nato nel 1068). Aveva iniziato a regnare
nell'agosto 1100.
[4] Stefano – coronato re nel
dicembre 1135 – era nato da una sorella di Enrico I, Adela, e dal
conte Stefano I di Blois. Era un figlio cadetto, ed era stato dotato dallo
zio di vari territori tra i quali la contea di Mortain in Normandia. Il
fratello Tebaldo era invece l'erede della contea di Blois.
[5] Matilde passò in Inghilterra nel
1139; nel 1141 sembrava che la sua spedizione avesse successo, ma ben
presto perse le posizioni acquistate finché, nel 1148, dovette ripiegare
in Normandia, che nel frattempo era stata invece conquistata da Goffredo
il Bello.
[6] L'ultimo duca di Aquitania Guglielmo
X (1126-1137) – la cui figlia Eleonora, nel 1152, sarebbe andata
sposa al primogenito di Goffredo e Matilde Enrico – era già morto
all'epoca dei fatti qui narrati.
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