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Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


IV
I Regni normanni
Sicilia e Inghilterra

3. Roberto il Guiscaldo e il Papato
(A) Bruno Di Segni, Vita di Leone IX, p. 98.
(B) Goffredo Malaterra, Le imprese di Ruggero conte di Calabria e Sicilia, RIS2 5/1, I, 14.
(C) Guglielmo Apulo, Gesta di Roberto il Guiscardo, II, vv. 364-415.
(D) Giuramento di Roberto il Guiscardo (1059).

Nella fase critica rappresentata dagli anni Cinquanta dell'XI secolo, dominata dalla scomparsa di alcuni potenti personaggi meridionali e dal conseguente rimescolamento di molte posizioni, l'iniziativa di papa Leone IX nel Mezzogiorno si inserì come fattore ulteriore di squilibrio. Il papato, che aveva avuto nel 1051 la dedizione di Benevento (ossia del nucleo residuo dell'antico principato scampato alle conquiste normanne), interviene militarmente alla testa di milizie composite (A), ma è sconfitto nel 1053 a Civitate dal Guiscardo (B). Da lì inizierà però un complesso periodo di trattative che sfocerà sei anni più tardi nei giuramento di Melfi (C, D), con il quale il papa (Niccolo II) concederà a titolo di signore feudale le terre conquistate – e quelle siciliane ancora da conquistare – al normanno Roberto il Guiscardo. con il titolo di duca. Il predominio di quest'ultimo sugli altri capi normanni era stato consolidato dalla scomparsa del fratello Umfredo; così il Guiscardo aveva potuto cumulare alla Calabria da lui personalmente conquistata con le armi la Puglia, già controllata dal fratello.


(A) Mentre il beato Leone stava a Roma, reggendo pacificamente la sede apostolica, giungevano molti dalla Puglia con gli occhi strappati, il naso tagliato, i piedi e le mani mozzati, dolendosi miserevolmente della crudeltà dei Normanni. E avvenne perciò che quell'uomo mitissimo, pieno di misericordia e di pietà, commosso dall'immensa afflizione dei meschini, tentasse di umiliare la superbia di quella gente. Raccolto un esercito piccolo, ma [costituito] di forti combattenti, muove contro i Normanni a combattere, certo con molto amor di Dio, ma forse con minore sapienza […].

Bruno Di Segni, Vita di Leone IX, p. 98.


(B) Non ancora stanchi di tradimenti i Pugliesi tramite messaggeri segreti invitano Leone papa nono a venire in Puglia con un esercito, asserendo che la Puglia gli apparteneva di diritto e che ai tempi dei suoi predecessori era stata spettanza della Chiesa romana. Essi gli avrebbero dato aiuto: i Normanni erano imbelli, privi di forza, scarsi di numero. Quello, come accade, benché fosse prudentissimo, preso dall'ambizione, ricevuto dall'Imperatore un esercito di Tedeschi in suo aiuto, entra in Puglia confidando nel sostegno dei Longobardi. Allora il conte Unfredo, reputando degno di sé piuttosto finire la vita con onore, che esserne privato con onta, mosso l'esercito avanza audacemente contro i nemici, e attaccata battaglia a ranghi schierati, poiché fin dal primo scontro cominciò a comportarsi fortemente, secondo il suo solito, i Longobardi, sbigottiti, cercarono scampo nella fuga, lasciando i Tedeschi a combatter da soli. E quelli che lottavano forte non avendo altro riparo che le armi, quando i Normanni ebbero la meglio caddero quasi tutti. Il Papa, cercando un riparo alla sua vita, si recò fuggiasco in una città della Capitanata chiamata Civitate, cui gli inseguitori nemici posero l'assedio in armi; portano valli, allestiscono macchine per prender la città, con le minacce terrorizzano gli abitanti perché consegnino il Papa. Quelli, con la perfidia consueta, senza chiedere alcuna garanzia a difesa del pontefice, badando solo a salvare sé stessi, lo cacciano fuori dalle porte. Ma i nemici, accogliendolo per reverenza della santa Sede romana, con gran devozione si prosternano ai suoi piedi, chiedendogli perdono e benedizione. Anzi, con tutta umiltà lo accompagnano servizievoli fino al luogo in cui l'esercito aveva posto campo e tende. Il Papa, accogliendo con animo grato la loro legittima benevolenza, impartì il perdono delle offese e la benedizione, e concesse a loro ed ai loro credi, come feudo ereditario di S. Pietro, tutta la terra che avevano invaso e quella che ancora avrebbero potuto conquistare in direzione della Calabria e della Sicilia, nell'anno 1053.

Goffredo Malaterra, Le imprese di Ruggero conte di Calabria e Sicilia, RIS2 5/1, I, 14.


(C) A quel punto l'apulo principe Unfredo, caduto ammalato, invita il fratello a venir tosto da lui. Si affretta Roberto; piange angustiato quando vede il fratello languente; ma gran conforto dà al malato l'arrivo del fratello e poiché è giunto gli chiede di essere, alla sua morte, rettore delle sue terre e tutore del figlio bambino, cui l'età vieta di esser rettore. Sollecito acconsente il fratello e promette di fare tutto quanto egli dice. Muore Unfredo, non riuscendo a ridare le membra inferme a salute, e tutta la Puglia in lacrime piange la dipartita di un padre. […] Fu sepolto accanto ai fratelli ricordati nel monastero di Venosa [1]. Compiute scrupolosamente le esequie, Roberto torna fra i Calabri; subito pone l'assedio alla città di Cariati per intimorire con la sua conquista le altre città. Ma intanto apprende l'arrivo di Nicolò papa secondo; all'assedio è lasciata la maggior parte dei guerrieri; pochi lo accompagnano. Melfi lo accoglie, ed ivi con grande onore fu ricevuto il papa. Questi veniva in quelle terre per trattare negozi ecclesiastici, giacché nella regione sacerdoti, leviti, ogni chierico si sposava pubblicamente. Celebrandovi il concilio col concorso di cento presuli convocati all'assisa sinodale, il papa esorta sacerdoti e ministri dell'altare a rivestire l'armi della pudicizia; li chiama, e vuole che siano sposi della chiesa, perché un sacerdote non può essere legalmente seguace della lussuria; e così eliminò completamente le mogli dei preti in quelle terre, minacciando di colpire di anatema i trasgressori.
Finito il sinodo, Nicolò papa, per preghiera di molti, donò a Roberto l'onore ducale; solo a lui fra tutti i conti fu data l'autorità del ducato e giurando divenne fedele del papa, per cui gli fu concessa tutta la terra calabra e la pugliese e la signoria sui suoi compatrioti in Italia [2]. Torna il papa a Roma; il duca con gran seguito equestre torna ad assediare Cariati, dov'era rimasta fedele la gran parte dei guerrieri che vi aveva lasciato; la gente di Cariati, turbata dal ritorno del duca, incapace di resistere, gli si consegnò con la città. Nelle terre di Calabria prima questa gente lo chiama duca, duca lo saluta. Da qui passa ad altri luoghi; allora Rossano potente, Cosenza forte nell'armi, allora la ricca Gerace si sottomisero, e a lui divenne soggetta la Calabria tutta.

Guglielmo Apulo, Gesta di Roberto il Guiscardo, II, vv. 364-415.

[1] Umfredo morì nel 1057. A Venosa Drogone, un altro fratello, aveva fatto costruire una chiesa dedicata alla Santa Trinità, che divenne la chiesa familiare degli Altavilla.
[2] Siamo nell'agosto del 1059. Non è esatto però che al Guiscardo fosse data la signoria su tutti i Normanni: nello stesso anno infatti il papa confermò a Riccardo di Aversa la dignità di principe di Capua (che questi si era conquistata con le armi), mettendolo quindi sullo stesso piano del Guiscardo.


(D) Io, Roberto, per grazia di Dio e di san Pietro duca di Puglia, di Calabria, e, con l'aiuto di entrambi, futuro duca di Sicilia, da questo momento in avanti sarò fedele alla santa Chiesa romana, alla Sede apostolica e a te, mio signore, papa Nicolò; non parteciperò a trame o fatti per cui tu debba perdere vita o membra od essere catturato di mala cattura. Non rivelerò volontariamente in tuo danno nessuna notizia che tu mi abbia confidato vietandomi di rivelarla. Con tutte le forze e ovunque presterò aiuto alla santa Sede romana, perché mantenga e recuperi i diritti di san Pietro ed i suoi possedimenti, contro qualunque persona. E ti aiuterò a tenere sicuramente ed onorevolmente il papato romano. Non cercherò di invadere o conquistare la terra di san Pietro né i principati e neppure mi azzarderò a darvi il sacco, senza certa licenza tua e dei tuoi successori che si succederanno ad onore di san Pietro, tranne quella che tu o i tuoi successori mi concederete. Con dritta fede curerò che ogni anno la santa Sede riceva i redditi della terra di san Pietro che tengo e terrò per accordo. Porrò in tua potestà tutte le chiese che si trovano nel mio dominio insieme ai loro possessi, e ne sarò difensore nella fedeltà alla santa Chiesa, e non giurerò fedeltà ad alcuno se non riservando la fedeltà per la santa Chiesa romana. E se tu o i tuoi successori lascerete questa vita prima di me, aiuterò a fare eleggere e consacrare il papa ad onore di san Pietro secondo le indicazioni che riceverò dai migliori cardinali, chierici romani e laici. Tutto quel che è scritto qui sopra l'osserverò con dritta fede a te e alla santa Chiesa romana e manterrò questa fedeltà anche ai tuoi successori ordinati ad onore di san Pietro che mi concederanno l'investiture a te concessami [1].

Giuramento di Roberto il Guiscardo (1059).

[1] Agosto 1059.

 

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