Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
1. Le premesse: la Reconquista (A) IBN AL-KHATIB, Gesta degli uomini illustri. (B) RODOLFO IL GLABRO, Storie, PL 142, II, 9. (C) RODOLFO IL GLABRO, Storie, PL. 142, IV, 72. (D) IBN BASSAM, Tesoro.
La Spagna, divisa tra la musulmana al-Andalus e gli stati
cristiani del nord (Asturia, Leon, Castiglia, Catalogna, Navarra),
è uno dei primi luoghi dove lo scontro violento tra Cristianità e
Islam assume i toni della crociata. Con Al-Mansur (“il vittorioso”),
il visir che governò di fatto al-Andalus dal 978 al 1002, si esaurì
l’ultima spinta offensiva musulmana basata sulle forze indigene iberiche
(A, B). La rinnovata vitalità cristiana,
irrobustita dalla spinta propagandistica del monastero di Cluny (C)
– promotore di quel pellegrinaggio verso Santiago di Compostela
che convogliò tanti cavalieri francesi verso la terra di Spagna –,
fronteggiò con successo gli ulteriori tentativi di riscossa musulmana
provenienti dall’Africa da parte di Almoravidi e Almohadi
(B) fino a giungere, nel 1212, al trionfo di Las Navas de Tolosa.
Con questa battaglia furono rovesciati definitivamente i rapporti
di forza nella penisola iberica a favore degli stati cristiani.
Tra XI e XII secolo, uno dei personaggi-chiave dello scontro tra cristiani
e musulmani fu Rodrigo Diaz de Bivar, detto El Cid (ca. 1043-1099), condottiero
cristiano, conquistatore di Valencia e protagonista dell’omonimo poema
(che fu composto intorno alla metà del XII secolo). Nonostante la durezza
della contrapposizione in atto tra i due schieramenti, la figura del Cid
è caratterizzata da forti tratti di sincretismo culturale e dunque appare
autenticamente ispanica: egli non può essere perciò l’eroe cristiano a
tutto tondo dell’età delle crociate, come lo sono, invece, Rolando e i
suoi compagni, i paladini di Roncisvalle [cfr. vol. I, cap. 9, 1 (A)].
(A)
Almanzor ordinò la spedizione estiva, e i suoi partirono
per Santiago. Era l’anno 387 [1]; la quarantottesima campagna.
Le navi dovettero mettersi in mare per dare man forte, ancor prima
egli stesso raggiunse, per via parallela, il Duero in Portogallo.
Con l’aiuto della flotta, usata come ponte, varcò il fiume, percorse
vasti territori con altri grandi corsi d’acqua, valicò i monti e giunse
con armi e bagagli fino all’oceano. Ivi si trovò di fronte al monastero
di Ilija, l’ultima meta di viaggio legata al nome di Giacomo. Entrarono
a Santiago martedì 2 sha’ban [2].
La popolazione aveva già abbandonato la città; non c’era più nessuno.
Almanzor ordinò il saccheggio delle provviste, la distruzione delle
case: bisognava cancellarle dalla faccia della terra, cosicché la
città, malgrado avesse costruzioni solide, subì danni irreparabili,
tali da non poter più sperare di risollevarsi. Almanzor non volle
che la tomba [del santo] venisse violata; l’unico essere umano che
incontrò nella basilica fu un eremita curvo sul sepolcro. Quando gli
domandarono perché non se ne fosse andato rispose: “per far compagnia
a Giacomo!”. Almanzor disse ai soldati di lasciarlo in pace. […]
Durante il ritorno a Cordova, Almanzor si fece accompagnare dai re e dai
principi [cristiani sottomessi]. A riceverlo c’era una folla enorme e
soltanto Dio, che la nutriva e la sosteneva, sarebbe stato capace di calcolarla.
Ai cristiani egli concesse alcune taglio della fotocopia anno e dettò la pace che essi chiedevano.
Poi li mandò da re García Sánchez II Abarca di Pamplona [3],
per fargli prestare giuramento sugli articoli dettati. IBN AL-KHATIB, Gesta degli uomini illustri. [1] Secondo il calcolo musulmano, che iniziava dal
Egira (la fuga dalla Mecca a Medina, anno 622). Corrisponde al 997,
perché si deve tenere conto del fatto che l’anno dell’Egira è più
breve di quello del nostro calendario.
[2] Il 2 agosto.
[3] Re cristiano di Navarra.
(B) I Saraceni, guidati dal loro
re Almanzor, si mossero dalle contrade dell’Africa e occuparono quasi
tutta la provincia spagnola fino ai confini meridionali della Gallia,
facendo grandi stragi di cristiani. Pur disponendo di forze inferiori,
il duca Guglielmo di Navarra [1], detto il Santo, si
scontrò ripetutamente con loro. L’inferiorità numerica dei cristiani costrinse
allora anche i monaci del paese a prendere le armi. Entrambe le parti
subirono gravi perdite, ma alla fine la vittoria arrise ai cristiani,
e i Saraceni superstiti, dopo aver lasciato molti uomini sul campo, tornarono
a rifugiarsi in Africa. In quella lunga serie di scontri morirono molti
appartenenti a confraternite cavalleresche cristiane, che avevano indossato
le armi non per seguire il desiderio della gloria, ma ubbidendo a sentimenti
di amore fraterno. RODOLFO IL GLABRO, Storie, PL 142, II, 9. [1] Guglielmo in realtà era re di Navarra (970-974)
(C) Negli stessi anni
[1] risorse in Africa la perfidia
dei Saraceni contro il popolo cristiano. Essi si misero a perseguitare
tutti quelli che potevano trovare in terra e in mare, scorticandone
vivi alcuni e massacrandone altri. Quando da lungo tempo ormai la
lotta infuriava con gravi perdite e distruzioni reciproche, le due
parti decisero di arrivare al più presto allo scontro frontale. I
Saraceni presuntuosamente riponevano la loro fiducia nella furia selvaggia
dell’enorme massa di guerrieri di cui disponevano e si consideravano
già vincitori; i nostri tuttavia, invocando il soccorso di Dio onnipotente
per intercessione di Maria sua madre, del beato principe degli apostoli
San Pietro e di tutti i santi, nonostante la loro inferiorità numerica
avevano la ferma speranza di poter vincere.
Questa fiducia veniva loro soprattutto dal voto che avevano fatto
alla vigilia della battaglia: infatti avevano promesso che qualora
la potenza della mano di Dio fosse loro venuta in soccorso ed essi
avessero avuto la meglio su quel perfido popolo, tutto il bottino
che dopo la vittoria fosse caduto nelle loro mani – oro, argento e
suppellettili preziose – essi l’avrebbero inviato a Cluny al principe
degli apostoli Pietro. Abbiamo infatti già in precedenza avuto modo
di dire come molti uomini religiosi di quella zona, che si erano fatti
monaci in quel cenobio, avessero saputo infondere in tutti i cristiani
l’amore per quel monastero.
Per dirla in breve, si attaccò battaglia, e il combattimento fu lungo
e accanito. I cristiani senza aver subito perdite apparivano ormai
vincitori. Alla fine i Saraceni, presi dal panico, quasi dimentichi
della battaglia, cercarono di trovare scampo nella fuga senza riuscirvi,
perché le loro stesse armi diventarono un intralcio: in realtà fu
la potenza di Dio che li stordì, e li immobilizzò sul campo di battaglia.
Tutta la schiera dei cristiani, intanto, resa invincibile dall’aiuto
di Dio, si gettò su di loro facendone un tale massacro che ben pochi,
dell’enorme esercito che essi erano, si poterono salvare. A quanto
si dice, anche il loro capo Motget – il cui nome è una forma storpiata
di Mosè – morì in quello scontro [2].
Memori del voto fatto a Dio, dal bottino raccolto ricavarono un’enorme
quantità di talenti d’argento. Infatti i Saraceni quando vanno in
battaglia usano ornarsi di una grande varietà di piastre d’argento
e d’oro e in quella circostanza quella abitudine tornò a vantaggio
della devozione dei nostri. Essi si affrettarono ad inviare il ricavato
del bottino, come avevano promesso, al monastero di Cluny. Con una
parte di esso il venerabile abate Odilone [3],
fece costruire
uno splendido ciborio sopra l’altare di San Pietro, e ciò che rimaneva
– con un atto di generosità che rimase famoso – fu distribuito come
si conveniva agli indigenti fino all’ultima moneta.
E per allora i turbolenti Saraceni, subita questa sconfitta, se ne stettero
tranquilli. RODOLFO IL GLABRO, Storie, PL. 142, IV, 72. [1] Siamo sempre nei primi decenni dell’XI secolo.
[2] La battaglia ebbe luogo intorno al 1035. Motget era il
signore saraceno delle isole baleari
[3] 994-1048. Personaggio di straordinarie capacità, Odilone
influenzò la politica di numerosi sovrani europei.
(D) L’empio Rodrigo riuscì ad appagare il suo perverso desiderio.
L’anno 488 [1] entrò in Valencia ricorrendo alla frode come soleva.
Il qadi [2] si era umiliato davanti a lui e lo aveva riconosciuto
come suo sovrano ottenendo così un trattato Ma questo trattato non durò
a lungo; Ibn Gahhaf rimase pochi giorni in compagnia di Rodrigo, che
si infastidiva della sua presenza e voleva sbarazzarsi di lui. A quanto
si dice gli servì di pretesto un grande tesoro che era appartenuto al
principe IBN Di’n Nun. Sino da quando era entrato in Valencia, Rodrigo
aveva interrogato al riguardo i qadi egli aveva fatto giurare
davanti a molta gente di entrambi le religioni, che egli non possedeva
tale tesoro. Il qadi aveva giurato, secondo la sua fede, nel
modo più solenne, ignaro delle calamità e dei dolori che gli riservava
il futuro. Rodrigo, in presenza di cristiani e musulmani, aveva stipulato
con lui un patto, poi firmato dagli uomini più ragguardevoli delle due
religioni, secondo il quale Rodrigo, se scopriva che il tesoro era in
possesso del qadi, aveva il diritto di togliergli la sua protezione
e metterlo a morte. Poco tempo dopo, Rodrigo scoprì che il tesoro era
presso il qadi, o almeno così asserì, perché forse si trattò
di un semplice pretesto. Ad ogni modo gli portò via gli averi, fece
torturare il qadi e
i figli, inducendo alla disperazione il disgraziato. Poi ordinò che
fosse bruciato vivo. Un testimone oculare mi raccontò che in una apposita
fossa interrarono il quai fino alle ascelle e che, quando gli
fu acceso tutto intorno il fuoco, egli stesso avvicinava al suo corpo
i tizzoni ardenti, per abbreviare il supplizio e affrettare la morte.
Voglia Allah registrare tale atto nella pagina delle buone azioni qadi,
e ritenerlo sufficiente a cancellare i peccati da lui commessi; così
pure, possa risparmiare a noi nelle vita futura castighi tormentosi
e aiutarci a fare quaggiù cose meritevoli di approvazione!
Il tiranno (sia maledetto da Allah!) voleva far bruciare anche la moglie
e i figli del qadi, ma uno dei suoi gli pregò di risparmiare
loro la vita e, superata qualche difficoltà, riuscì a distoglierlo da
tale progetto.
La perdita di Valencia colpì come una folgore tutti gli abitanti della
penisola, e riempì tutte le classi sociali di dolore e di vergogna.
Il potere del tiranno continuò ad aumentare, diventando un fardello
pesante per le province alte e basse, suscitando timore in nobili e
plebei. Qualcuno mi ha detto di averlo udito esclamare, in un momento
di smodata brama e cupidigia: –Questa penisola andò perduta sotto un
Rodrigo [3], ma sarà liberata da un altro Rodrigo!–; la frase
sgomentò tutti e fece loro temere che fosse vicino il peggio.
Ciò nonostante, quell’uomo, il terrore della sua epoca, fu per la sua
sete di gloria, per la fermezza del carattere, per il valore eroico, un
miracolo di Allah. Pochi anni dopo, morì a Valencia di morte naturale.
La vittoria seguiva sempre la bandiera di Rodrigo (lo maledica Allah!);
trionfò dei barbari [4] più d’una volta combatté contro
i suoi stessi capi, come García detto per scherno Boccastorta, il conte
di Barcellona, il figlio di Ramiro re d’Aragona; sbaragliò i loro eserciti
e con un piccolo gruppo di suoi guerrieri sterminò molti soldati nemici.
Dicono che in sua presenza si studiavano libri, si leggevano i fatti e
le gesta degli antichi poeti dell’Arabia e che per uno di tali eroi egli
una volta si entusiasmò ed espresse la più grande ammirazione. IBN BASSAM, Tesoro. [1] Dell’Egira: è il 1095
[2] Ibn Gahhaf, giudice e governatore di Valencia che, ribellatosi
agli Almoradivi, aveva chiesto aiuto al Cid.
[3] Il re visigoto Roderico, sconfitto
e ucciso dagli invasori musulmani nel 711 [cfr. vol. I, cap. 8, 11].
[4] Navarresi e Baschi.
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