Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
7. Antiochia: il martirio e il miracolo (A) TUDEBODE, Storia del pellegrinaggio a Gerusalemme, pp. 51-52. (B) IBN AL-ATHIR, Storia perfetta o somma delle storie ,188-1901. (C) ANNA COMNENA, Alexiade, PG 131, XI, 326-327. (D) RAIMONDO D'AGUILERS, Storia dei franchi che presero Gerusalemme, p. 257.
Uno degli episodi più significativi (e a posteriori fortemente ideologizzato)
della crociata dei principi – iniziatasi nell'estate del 1096 – è
legato ad Antiochia. Le vicende militari si snodano contrappuntate
da episodi significativi. Si inizia con il martirio di un cavaliere
cristiano (A) durante l'assedio
crociato (ottobre '97-giugno '98), per proseguire con la strenua difesa
dei cristiani stessi, guidati da Boemondo d'Antiochia e Raimondo di
Tolosa, a loro volta assediati dentro la città ad opera delle truppe
dell'emiro di Mossul.
La resistenza crociata è esaltata nella sua carica religiosa dalla miracolosa
ìnvenzione della “sacra lancia” (ossia la lancia che avrebbe trafitto
il costato di Gesù) ad opera di Pierre Barthélemy. Il ritrovamento spronò
i cristiani ad effettuare una sortita, destinata a spezzare l'assedio
e a dare loro una vittoria insperata (28 giugno 1098). L'episodio è presentato
qui in tre versioni: musulmana (B),
bizantina (C), crociata ( D).
(A) Un altro giorno i Turchi
portarono sulle mura della città un nostro nobile cavaliere, di nome
Rinaldo Porchetus, che da lungo tempo tenevano in dura prigionia,
e gli dissero che parlasse con i pellegrini cristiani per convincerli
a riscattarlo mediante una forte somma di danaro altrimenti gli sarebbe
stata tagliata la testa. Ma questi, appena, fu in piedi sulle mura,
cominciò a gridare ai nostri principi: «Signori, per quanto mi riguarda,
è come se fossi già morto: e vi prego come fratelli di non offrire
per me alcun riscatto. Ma siate certi, per la fede in Cristo e nel
Santo Sepolcro, che Dio è e sarà sempre con voi. Avete ucciso tutti
i più egregi e audaci in questa città, cioè dodici emiri e millecinquecento
nobili, e non è rimasto nessuno capace di misurarsi con voi e di difendere
la città». Allora i Turchi chiesero al dragomanno [1]
che cosa dicesse Rinaldo, ed egli rispose: «Niente di buono sul vostro
conto». Allora l'emiro Yaghi-Siyan gli ordinò subito di scendere dalle
mura e gli domandò per mezzo del dragomanno: «Rinaldo, vuoi vivere
e godere tranquillamente con noi?». Rispose Rinaldo: «Come potrei
vivere tranquillamente con voi senza commettere peccato?». «Rinnega
il Dio che adori e nel quale credi – rispose l'emiro – e credi in
Maometto e negli altri nostri dei [2]. Se farai ciò,
ti daremo tutto quel che vorrai: oro, argento, cavalli, mule o ogni
altro ornamento, e mogli e ricchezze; e ti arricchiremo col più grande
onore». E Rinaldo: «Datemi un po' di tempo, per pensarci sopra», cosa
che l'emiro concesse volentieri.
Allora Rinaldo si pose in preghiera, a mani giunte volto ad oriente,
implorando umilmente Iddio che lo aiutasse e si degnasse di accogliere
l'anima sua nel seno di Abramo. L’emiro, scortolo, chiamò il dragomanno
e gli chiese: «Che cosa sta facendo Rinaldo?», e questi rispose: «Non
rinnegherà per nulla il suo Dio; al contrario, rifiuta le tue offerte
e i tuoi Dei». Udendo ciò l'emiro andò su tutte le furie e ordinò
che [Rinaldo] fosse immediatamente decapitato: e i Turchi lo decapitarono
con grande gioia. Allora gli angeli, accogliendo a gara la sua anima,
la portarono fra cori e danze al cospetto di Dio, per amore del Quale
egli aveva sofferto il martirio.
L’emiro fu grandemente irato per non essere riuscito a convertire
Rinaldo ai suoi Dei. Comandò che gli fossero portati subito dinanzi
tutti i pellegrini che erano in città con le mani legate dietro la
schiena: giunti che furono, li fece spogliare nudi e poi
legare tutti insieme. Indi fece ammucchiare intorno a loro della legna
insieme con paglia e fieno, e – da quel nemico di Dio che era – fece
appiccare il fuoco al rogo. E i cristiani, anzi diciamo i soldati
di Cristo, gridavano alto: e le loro voci risonavano verso il cielo,
fino a quel Dio per l'amore del Quale le loro carni e le loro ossa
ardevano. TUDEBODE, Storia del pellegrinaggio a Gerusalemme, pp. 51-52. [1] Una sorta di interprete.
[2] In realtà l'Islam non era (e non o) affatto politeista:
l'accenno agli dèi è dunque un errore, che dimostra il baratro di incomprensione
che divideva i due mondi, il cristiano e il musulmano.
(B) Quando Qawàm ad-dawla Kerbuqà
[1] sentì dei Franchi, e che si erano impadroniti
di Antiochia, riunì le truppe e venne in Siria, accampandosi a Marg
Dabiq; e con lui si riunirono le truppe di Siria, Turchi e Arabi,
eccetto quelli di Aleppo. Si unirono dunque a lui Duqàq ibn Tutùsh,
l'atabek Tughtikìn, Gianàh ad-dawla signore di Hims, Arslàn Tash signore
di Singiàr, Sulaimàn ibn Anlùq e altri emiri minori. Quando i Franchi
udirono ciò, ne furono costernati e temettero per lo stato di debolezza
e di scarse vettovaglie in cui si trovavano. I musulmani avanzarono
e vennero a fronteggiarli sotto Antiochia; ma Kerbuqà si comportò
male con i Musulmani che erano con lui, li indispose e trattò superbamente,
pensandoci che sarebbero rimasti con lui in tali condizioni. Ciò li
sdegnò, e fece loro concepire l'intimo disegno di tradirlo al momento
della battaglia, e di abbandonarlo quando si fosse venuti all'urto
decisivo. I Franchi restarono in Antiochia per dodici giorni dopo
averla conquistata senza avere di che mangiare, i grandi si nutrivano
delle loro cavalcature, e i poveri delle carogne e di foglie d'altero.
Ciò visto, mandarono a chiedere a Kerbuqà di poter uscire, salvi dalla
terra, ma egli non lo concesse, e disse: «Non uscirete che con le
armi». Tra i re che erano con loro c'era Baldovino, Saint-Gilles,
Goffredo, il Conte [futuro] signore di Edessa [2]
e Boemondo signore di Antiochia, capo di loro tutti; c'era anche un
frate di grande autorità tra loro, furbo matricolato, il quale dichiarò
loro che il Messia aveva una lancia sepolta nel Qusyàn, un grande
edificio di Antiochia [3], «e se la trovate vincete,
e se no, avrete morte certa». Precedentemente, costui aveva sepolta
una lancia in un dato luogo, e cancellatane ogni traccia; e ordinò
loro digiuno e penitenza per tre giorni, e al quarto giorno li fece
entrare tutti in quel posto, con i loro gregari e gli operai, che
scavarono dappertutto e trovarono la lancia come quegli aveva annunciato.
Al che il frate proclamò: «Esultate per la sicura vittoria». Così
al quinto giorno uscirono dalla porta della città, divisi in gruppi
di cinque o sei e simili. I Musulmani dissero a Kerbuqà: «Devi metterti
sulla porta, e uccidere ognuno che esce: è facile spacciarli, ora
che sono dispersi». Ma quegli rispose: «No, aspettale che siano tutti
usciti, e allora li uccideremo», e non permise di coglierli d'uri
subito assalto, e quando dei Musulmani uccisero un gruppo di quelli
che uscivano andò lui di persona a proibirlo e impedirli. Usciti che
furono tutti i Franchi senza che, in Antiochia ne restasse più nessuno,
appiccarono una gran battaglia, e i Musulmani si volsero senz’altro
in fuga per colpa di Kerbuqà, prima per lo spregio e disdegno con
cui li aveva trattati, e poi per averli impediti dell'uccidere i Franchi.
La loro rotta fu piena, senza che alcuno avesse dato un sol colpo
di spada o di lancia, o tratto d'arco. Gli ultimi a fuggire furono
Suqmàn ibn Artùq e Gianàh ad-dawla, che erano entrambi appostati all'agguato,
e Kerbuqà scappò via con loro. Il che visto, i Franchi credettero
a un'insidia, non essendoci stato ancora combattimento da cui fuggire,
e temettero di inseguirli. Solo un corpo di combattenti della guerra
santa tenne fermo, e si batté per acquistare merito presso Dio e cercare
il martirio. I Franchi ne uccisero a migliaia, e predarono i viveri
e averi, arredi e cavalcature ed armi che erano nel campo, uscendone
così ristorati e rinforzati. IBN AL-ATHIR, Storia perfetta o somma delle storie ,188-1901.
[1] Emiro turco di Mossul.
[2] Si tratta del futuro re Baldovino II.
[3] S. Pietro di Antiochia.
(C) I Latini travagliati dalla
fame e dal lungo assedio, si recarono dal è stata tagliata una riga dalla
fotocopia to a Elenopoli,
e gli chiesero consiglio. Egli rispose loro: “Dopo aver promesso di
conservarvi casti finché non aveste preso Gerusalemme, avete violato,
io penso, la promessa. Perciò Dio ora non vi aiuta come prima. Bisogna
che voi vi rivolgiate al Signore; dovete, in cilicio e aspersi di
cenere, piangere a calde lacrime sulle vostre colpe, mostrare il vostro
pentimento pregando tutta la notte. Allora anch'io mi darò cura di
propiziare-la divinità in vostro favore”. Seguirono le esortazioni
del vescovo, e questi, dopo alcuni giorni, mosso da una voce divina,
andò a chiamare i più insigni fra i capi, e ordinò loro di scavare
a destra dell'altare: là avrebbero trovato il santo chiodo. Essi seguirono
l'ordine, non trovarono niente, e tornarono da lui scoraggiati, a
riferire l’insuccesso della ricerca. Egli innalzò preghiere più fervide,
e li incitò rinnovare la ricerca con maggiore diligenza. Essi di nuovo
obbedirono, trovarono ciò che cercavano, e di corsa lo portarono a
Pietro, pieni di gioia e di riverente timore. […]
[I Latini], uscendo da una porta che nessuno sospettava, si lanciarono
contro i Turchi. Allora un tale a nome Flandra chiese agli altri di
concedergli questa sola cosa: che con altri tre uomini potesse uscire
a cavallo, primo fra tutti. La sua richiesta fu accolta e, quando
le opposte schiere si fronteggiarono, pronte alla mischia, lui scese
da cavallo e si prosternò per tre volte al suolo, pregando e invocando
aiuto i Dio. Allora tutti gridarono «Dio è con noi!», e a briglie
sciolte si mossero contro lo stesso Kurpaga [1] che
si trovava su un poggio, colpirono con le lance gli avversari e li
gettarono a terra. I Turchi, allertati dall'improvviso assalto, si
diedero alla fuga, in tutto, soccorrendo la divina potenza i Cristiani,
e nella fretta di fuggire la più parte dei barbari annegarono, travolti
dalle vorticose correnti del fiume [2], facendo i
corpi degli affogati un ponte per coloro che sopravvenivano. Dopo
avere inseguito a lungo i fuggiaschi, tornarono al trinceramento turco,
e là trovarono i bagagli dei barbari; avrebbero voluto portare via
subito tutto il bottino, invece era così copioso che a stento in trenta
giorni riuscirono a trasportarlo ad Antiochia. Là si trattennero per
un po', onde concedersi una tregua dai patimenti della guerra, e intanto,
prendendosi cura della città, cercavano chi la presidiasse. C’era
Boemondo, che l'aveva richiesta per sé ancor prima che fosse espugnata.
Pertanto i capi dei Galli cedettero a lui tutto il potere su Antiochia
e partirono alle volte di Gerusalemme. ANNA COMNENA, Alexiade, PG 131, XI, 326-327. [1] Si tratta sempre di Kerbuqà, emiro di Mossul.
[2] L'Oronte.
(D) Per quanto avessimo scavato dal
mattino fino a sera [1], al cadere del vespro qualcuno
cominciò a disperare di trovar la lancia. Il conte [2]
se n'era intanto andato per il turno di guardia alla cittadella; ma
al posto suo e di altri che a furia di scavare non ne potevano più,
avevano chiamato uomini freschi affinché continuassero l'opera. Il giovane
che ci aveva detto della lancia [3], vedendo che eravamo
stanchi, si spogliò e a piedi scalzi, con la sola camicia indosso, discese
nella fossa e ci scongiurò di pregare Iddio che ci concedesse la Sua
lancia per il conforto e la vittoria del Suo popolo. Allora, in grazia
della di lui devozione, Dio concesse di mostrarci la Sua lancia. E io
che ho scritto queste cose, appena la punta apparve dalla fossa, subito
la baciai. Non posso descrivere quanta gioia ed esultanza riempì allora
la città. La lancia fu trovata il diciotto luglio.
Due notti dopo, il beato Andrea apparve al giovane per mezzo del quale
la lancia ci era stata data, e gli disse: «Ecco che dio ha donato al
conte ciò che non aveva mai voluto dare a nessuno, e lo ha costituito
gonfaloniere di codesto esercito poiché egli ha perseverato nell'amore
verso di Lui» [4]. RAIMONDO D'AGUILERS, Storia dei franchi che presero Gerusalemme, p. 257.
[1] Nella chiesa di S. Pietro, come abbiamo già visto [B, nota 3].
[2] Raimondo di Tolosa.
[3] Pierre Barthélemy, contadino provenzale, le cui
visioni guidarono i crociati nella loro ricerca.
[4] L'opera ha un chiaro intento apolegetico in favore
del conte di Tolosa, che era in lotta con gli altri principi per la
supremazia tra i crociati.
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