Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
8. La conquista di Gerusalemme (A) TUDEBODE, Storia del pellegrinaggio a Gerusalemme, p. 109. (B) RAIMONDO D'AGUILERS, Storia dei Franchi che presero Gerusalemme, p. 300. (C) IBN AL-ATHIR, Storia perfetta o somma delle storie, X, 193-195. (D) ANNA COMENA, Alexiade, PG, 131, XI, 327-328.
L'atto centrale del dramma della crociata, l'azione che in sé racchiudeva
tutte le altre, dando da sola il senso ultimo alla spedizione, fu la presa
di Gerusalemme, il 15 luglio del 1099; tra i primi ad entrare furono Tancredi
d'Altavilla e Goffredo di Lorena. L'evento, carico di grande emozione
religiosa – si veda la processione intorno alle mura della città (A)
–, si trasformò in breve in un orrendo massacro di musulmani ed ebrei.
Dopodiché, giunti i crociati alle soglie del Santo Sepolcro, gli eventi
assunsero di nuovo le sembianze del pellegrinaggio (B).
Il dolore e il lutto dei musulmani alla vista dei profughi sono ricordati
dal solito Ibn-al-Athìr, che accanto alle stragi menziona pure il grande
bottino che i cristiani ricavarono dalla Moschea della Roccia, il luogo
sacro musulmano. Asciutto, e quasi distante distante rispetto alle proporzioni
dell'evento, appare invece il resoconto di Anna comnena: il suo è il punto
di vista di un osservatore esterno anche se interessato.
(A) [In vista di Gerusalemme]
i vescovi e i preti consigliarono che si facesse una processione intorno
alla città. E vescovi e preti dunque, a piedi nudi, vestiti
dei paramenti sacri e portando in mano delle croci, vennero dalla
chiesa di Santa Maria sul Monte Sion alla chiesa di Santo Stefano
Protomartire) cantando e pregando che il Signore Gesù Cristo liberasse
la Sua Santa Città e il Suo Sepolcro dai pagani e li mettesse nelle
mani dei cristiani che si sforzavano di fare il Suo santo servizio.
I chierici erano dunque parati per la cerimonia; presso di loro stavano
i cavalieri e i sergenti armati.
Quando i cristiani giunsero alla chiesa di Santo Stefano e, com'è uso
nelle nostre processioni, vi fecero sosta, i Saraceni da sopra le mura
misero a berciare sconciamente, a suonare strumenti a fiato e insomma
a fare tutto il baccano che potevano. Poi, davanti a tutti i cristiani,
battevano con un bastone la santissima croce per mezzo della quale il
Cristo ha redento l'umano genere con l'effusione del Suo sangue; e inoltre,
per addolorare maggiormente i cristiani, tentavano di spezzarla sbattendola
contro le mura e gridando: “Frangi, agip salip”, che nella lingua significa:
«Franchi, ecco la vera croce!». TUDEBODE, Storia del pellegrinaggio a Gerusalemme, p. 109.
(B)
Alcuni giovani accesero delle frecce e le lanciarono tutte infuocate
contro i materassi che rinforzavano i ridotti costruiti dai Saraceni
di fronte alla torre in legno che avevano elevato [i crociati]. Questi
materassi erano riempiti di cotone. Allorché prese, il fuoco mise
in fuga quelli che presidiavano questa opera [di difesa]. Allora il
duca [1] e quelli che erano con lui piegarono prontamente
la graticciata che ricopriva la parte anteriore della torre in legno
dalla sommità fino alla sua metà e, avendone fatto un ponte, si slanciarono
con intrepida audacia per entrare in Gerusalemme. Tra i primi entrarono
Tancredi [d'Altavilla] e il duca di Lorena, che in quel giorno versò
una quantità incredibile di sangue. Dietro di loro tutti gli altri
salivano le mura, e i saraceni erano mai sopraffatti. Ma, udite meraviglia!,
per quanto la città fosse a quel punto quasi tutta nelle mani dei
Franchi, tuttavia coloro che stavano dalla parte [dove si era schierato]
il conte [2] continuavano a resistere.
Appena però i nostri ebbero occupato le mura e le torri della città,
allora avresti potuto vedere cose orribili: alcuni, ed era per loro
una fortuna, avevano la testa troncata; altri cadevano dalle mura
crivellati di frecce; moltissimi altri infine bruciavano tra le fiamme.
Per le strade e le piazze si vedevano mucchi di teste; mani e piedi
tagliati; uomini e cavalli correvano tra i cadaveri. Ma abbiamo ancora
detto poco: veniamo al Tempio di Salomone, nel quale i Saraceni erano
soliti celebrare le loro solennità religiose. Che cosa vi era avvenuto?
Se diciamo il vero, non saremo creduti: basti dire che nel Tempio
e nel portico di Salomone si cavalcava col sangue all'altezza delle
ginocchia e del morso dei cavalli. E fu per giusto giudizio divino
che a ricevere il loro sangue fosse proprio quel luogo stesso che
tanto a lungo aveva sopportato le loro bestemmie contro Dio.
Essendo la città piena di cadaveri e di sangue, molti fuggirono alla
torre di David e chiesero sicurtà al conte Raimondo al quale consegnarono
la fortezza.
Ma, presa la città, valeva davvero la pena di vedere la devozione
dei pellegrini dinanzi al Sepolcro del Signore, e in che modo gioivano
esultando e cantando a Dio un cantico nuovo. E il loro cuore offriva
a Dio vincitore e trionfante lodi inesprimibili a parole.
Il giorno straordinario, la nuova e perpetua letizia, lo sforzo fatto
nella fatica e nella devozione esigevano nuove parole e nuovi canti.
Questo giorno celebre nei secoli a venire cambiò, lo affermo, ogni
nostro dolore e sofferenza in gioia e in esaltazione; questo giorno,
lo affermo, segnò la fine dei pagani, il rafforzamento della cristianità,
il rinnovamento della fede nostra. […] In questo giorno il signor
Ademaro, vescovo di Le Puy [3], fu visto in città:
e molti giurarono di averlo visto salire per primo sulle mura e incitare
i compagni e il popolo tutto. […] In quel giorno cantammo l'uffizio
della Resurrezione, perché appunto in quel giorno Colui che per Sua
virtù resuscitò dai morti aveva per Sua grazia resuscitalo anche noi. RAIMONDO D'AGUILERS, Storia dei Franchi che presero Gerusalemme, p. 300.
[1] Goffredo di Buglione, duca di Lorena.
[2] Raimondo di Tolosa.
[3] Si trattava del legato pontificio, morto l'anno prima ad Antiochia.
(C)
Gerusalemme apparteneva a Tag ad-dawla Tutùsh [1],
che l'aveva concessa in feudo all'emiro Suqmàn ibn Artùq il Turcomanno.
Ma, quando i Franchi vinsero i Turchi sotto Antiochia e ne fecero
strage, questi si indebolirono e dispersero e allora gli Egiziani,
vista la debolezza dei Turchi, marciarono su Gerusalemme sotto il
comando di al-Afdal ibn Badr al-Giamali [2], e la
assediarono. Erano nella città Suqmàn e Ilghazi figli di Artùq, il
loro cugino Sunig e il loro nipote Yaquti. L'Egiziano montò contro
Gerusalemme più di quaranta macchine d'assedio, che demolirono vari
punti delle mura; gli abitami si difesero, e la lotta e l'assedio
durarono più di quaranta giorni. Alla fine, gli Egiziani si insignorirono
della città per capitolazione nello sha’bàn del 489 [3].
Al-Afdal trattò generosamente Suqmàn, Ilghazi e i loro compagni, fece
loro larghi donativi e li lasciò andare; ed essi si recarono a Damasco
e poi passarono l’Eufrate. Suqmàn si fermò a ad Edessa, mentre Ilghazi
se ne andò nell'Iràq. Gli Egiziani misero come luogotenente in Gerusalemme
un certo Iftikhàr ar-dawla, che vi restò fino al momento di cui parliamo.
Contro Gerusalemme mossero dunque i Franchi dopo il loro vano assedio
di Acri, e giunti che furono la cinsero d'assedio per oltre quaranta
giorni. Montarono contro di essa due torri, l'una delle quali dalla
parte di Sion, e i Musulmani la bruciarono uccidendo tutti quelli
che c'erano dentro; ma l'avevano appena finita di bruciare che arrivò
un messo in cerca d'aiuto, con la notizia che la città era stata presa
dall'altra parte: la presero infatti dalla parte di settentrione,
il mattino del venerdì ventidue sha'bàn [4]. La popolazione
fu passata a fil di spada, e i Franchi stettero per una settimana
nella terra menando strage dei musulmani. Uno stuolo di questi si
chiuse a difesa nell'Oratorio di Davide, dove si asserragliarono e
combatterono per più giorni; i Franchi concessero loro la vita salva,
ed essi si arresero, e, avendo i Franchi tenuto fede ai patti, uscirono
di notte verso Ascalona, e lì si stanziarono. Nel Masgid al-Aqsa invece
i Franchi ammazzarono più di settantamila persone, tra cui una gran
folla di imàm e dottori musulmani, devoti e asceti, di quelli
che avevano lasciato il loro paese per venire a vivere in pio ritiro
in quel Luogo Santo. Dalla Roccia [5] predarono più
di quaranta candelabri d'argento, ognuno del peso di tremilaseicento
dramme, e un gran lampadario d'argento del peso di quaranta libbre
siriane; e dei candelabri più piccoli centocinquanta d'argento e più
di venti d'oro, con altre innumerevoli prede.
I profughi di Risia arrivarono a Baghdad nel mese di ramadàn, col
cadi Abu Sa'd al-Hàrawi, e tennero nella Cancelleria califfale un
discorso che fece piangere gli occhi e addolorò i cuori. Il venerdì
vennero nella Moschea cattedrale, e chiesero aiuto, piansero e fecero
piangere, narrando quel che i musulmani avevano sofferto in quella
Città santa: uomini uccisi, donne e bambini prigionieri, averi predati.
Per i gravi disagi sofferti, arrivarono a rompere il digiuno. IBN AL-ATHIR, Storia perfetta o somma delle storie, X, 193-195.
[1] Dei Turchi Selgiuchidi di Siria.
[2] Visir dei Fatimidi di Egitto.
[3] Agosto 1096. In realtà Gerusalemme fu presa dagli
Egiziani due anni più tardi, nel 1098.
[4] II 15 luglio 1099, anno 492 dell'Egira.
[5] Si tratta della Moschea di Ornar,
che sorge sulla roccia da dove Maometto ascese al cielo, per cui è detta
anche Moschea della Roccia.
(D)
Durante l'avanzata, [i cristiani] presero molte delle fortezze costiere;
trascurarono le più munite, che richiedevano un lungo assedio, perché
avevano fretta di giungere a Gerusalemme. Circondarono le sue mura,
la assediarono con frequenti assalti, e dopo un mese la espugnarono,
massacrando molti dei Saraceni e degli Ebrei che in essa abitavano.
Dopo che tutti si sottomisero a loro, e nessuno faceva opposizione,
deferirono tutto il potere a Goffredo, proclamandolo re [1]. ANNA COMENA, Alexiade, PG, 131, XI, 327-328.
[1] Ciò non è esatto: Goffredo fu nominato advocatus
del Santo Sepolcro. Solo alla sua morte, un anno dopo la presa di Gerusalemme,
i crociati ebbero un re nella persona di Baldovino di Edessa, fratello
di Goffredo, che si impadronì del potere con la forza.
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