Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. Filippo Augusto
(A) Filippo Augusto, Ordinanza
detta Testamento, cc. 1-13, 17-19 (1190). (B) Guglielmo il Bretone, Gesta
di Filippo Augusto, pp. 233-235.
Il coinvolgimento di Filippo II nel corso della terza crociata fu breve
(1190-1191). Con la mente sempre rivolta agli affari interni del suo
regno, prima della partenza impartì disposizioni da seguire in
sua assenza che chiariscono quali fossero le sue preoccupazioni e gli
indirizzi di governo. Nell'ordinanza detta Testamento, fissando gerarchie
di responsabilità al cui vertice resta comunque il suo sindacato,
Filippo ridisegna l'organizzazione delle funzioni esercitate dai suoi
rappresentanti. È evidente l'intenzione centralizzatrice e la tensione
a ribadire i presupposti della liceità di un intervento contro
la nobiltà feudale. Una cura particolare viene riservata ai meccanismi
dell'amministrazione della giustizia e della riscossione delle rendite
e alla conservazione e destinazione del tesoro regio, anche in caso
di un suo eventuale decesso.
Il sovrano rivendica anche il ruolo di difensore dei diritti della
chiesa. Questa stessa motivazione sarà spesso invocata a sostegno
dell'intervento contro quei signori colpevoli di usurpare diritti
di chiese e monasteri e, sostanzialmente, di turbare l'ordine sovrano,
come nel caso del conte di Alvernia narrato da Guglielmo il Bretone
nelle Gesta di Filippo Augusto. (A) In nome della santa ed
individua Trinità, Amen. Filippo per grazia di Dio re dei Francesi
[1]. È dovere
del re provvedere al benessere dei sudditi in tutti i modi e anteporre
al suo interesse privato quello pubblico. Poiché desideriamo
intensamente con tutte le forze di compiere il nostro voto di recarci
in terra santa, per consiglio dell'Altissimo, abbiamo deciso di ordinare
come in nostra assenza dovranno essere affrontate le questioni del regno
e di dare le disposizioni testamentarie se qualcosa di conforme alla
sorte umana ci dovesse accadere durante il viaggio.
1. Innanzitutto, noi ordiniamo che i nostri balivi, attraverso i singoli
prevosti, nella nostra giurisdizione, nominino quattro uomini prudenti
leali e di buona fede senza l'assenso dei quali o di almeno due di loro
nessun affare venga trattato, salvo che a Parigi per cui deleghiamo
sei uomini onesti e leali […][2].
2. E abbiamo deciso che nelle nostre terre che sono indicate con nomi
propri, i nostri balivi fissino nei loro baliati per ogni mese un giorno
che si chiamerà il giorno dell'Assise. In quel giorno tutti coloro
che avranno un reclamo da fare, otterranno dal balivo ciò che
giustamente spetta loro senza indugi e noi stessi ciò che giustamente
ci spetta e le violazioni dei doveri pubblici verso di noi saranno verbalizzate.
3. Inoltre vogliamo e comandiamo che la carissima madre nostra la regina
Adele, d'accordo con il nostro carissimo e fedele zio Guglielmo arcivescovo
di Reims, stabilisca ogni quattro mesi un giorno in cui a Parigi essi
ascolteranno i reclami degli uomini del nostro regno e in cui daranno
loro un verdetto secondo l'onore di Dio e l'interesse del regno.
4. Comandiamo poi che in quel giorno davanti a loro siano presenti i
balivi di ogni nostra città che terranno le assise affinché
alla loro presenza essi espongano i problemi della nostra terra.
5. Se uno dei nostri balivi commetterà un reato che non sia né
assassinio né furto né omicidio né tradimento e
se il fatto sarà noto all'arcivescovo, alla regina e agli altri
presenti, comandiamo loro di ascoltare le prevaricazioni dei nostri
balivi perché i due ci riferiscano per lettera ogni anno e anche
tre volte l'anno quale balivo abbia compiuto il reato, che cosa abbia
fatto, che cosa abbia ricevuto, da chi abbia ricevuto denaro o doni
o servizi, per quale causa i nostri uomini abbiano perso i loro diritti
e noi i nostri.
6. Allo stesso modo i nostri balivi ci diano informazioni dei prevosti.
7. Ma la regina e l'arcivescovo non potranno rimuovere dai loro baliati
i nostri balivi purché non siano colpevoli di assassinio, di
furto, di omicidio e di tradimento. E così i balivi non potranno
rimuovere i prevosti tranne che in questi casi indicati. Noi stessi,
invece, con l'aiuto di Dio, puniremo la colpa, dopo che le persone suddette
ce ne avranno dato una veritiera informazione, con un tale castigo che
gli altri potranno rimanere spaventati non senza ragione.
8. Allo stesso modo la regina e l'arcivescovo ci ragguaglino tre volte
all'anno sulle condizioni e sui problemi del nostro regno.
9. Se succederà che una sede episcopale o una qualche altra abbazia
regale resti vacante, vogliamo che i canonici della chiesa o i monaci
del monastero vacante si rechino dalla regina e dall'arcivescovo come
se si presentassero a noi e chiedano a loro di poter procedere liberamente
all'elezione e vogliamo che ciò sia concesso loro senza opposizione.
10. Ma noi ammoniamo sia i canonici che i monaci a scegliersi un pastore
tale che piaccia a Dio e sia utile al regno.
11. La regina e l'arcivescovo tengano nelle loro mani i diritti regali,
finché l'eletto non venga consacrato o benedetto e allora gli
rendano i diritti legali senza opposizione.
12. Inoltre comandiamo che se qualche prebenda o beneficio ecclesiastico
resterà vacante, quando i diritti regali siano in nostra mano,
la regina e l'arcivescovo nel modo migliore e più giusto possibile
lo conferiscano a uomini onesti e colti, sentito il parere di frate
Bernardo a meno che si tratti di nostre donazioni concesse a qualcuno
con una nostra lettera autentica.
13. Proibiamo anche a tutti i prelati della chiesa e ai nostri uomini
di imporre taglie o tolte finché saremo al servizio di Dio. Se
Dio farà di noi la sua volontà, e ci accadrà di
morire, proibiamo assolutamente a tutti gli uomini delle nostre terre,
sia chierici che laici, di imporre taglie fin quando nostro figlio,
che Dio si degni di conservare sano e incolume al suo servizio, avrà
raggiunto con la grazia dello Spirito Santo l'età per reggere
il regno.
17. Inoltre comandiamo che tutte le nostre rendite, canoni e entrate
vengano portate a Parigi in tre tempi: la prima volta, alla festa di
S. Remigio, la seconda, nel giorno della Purificazione della Beata Vergine,
la terza, il giorno dell'Ascensione e che siano consegnati ai cittadini
nostri sudditi e al maresciallo Pietro Clemente. Se succederà
che qualcuno di loro muoia Guglielmo de Garlande gli darà un
successore.
18. All'atto della consegna dei nostri averi sarà presente il
nostro chierico Adamo, ne prenderà nota e ognuno abbia la chiave
di uno degli scrigni in cui verranno riposti i nostri averi nel Tempio
e che il Tempio ne abbia una. Di questi nostri averi ce ne verrà
mandata quella parte che noi chiederemo per lettera.
19. Se ci succederà di morire durante il viaggio che affrontiamo,
comandiamo che la regina, l'arcivescovo, il vescovo di Parigi, gli
abati di S. Vittore e di Citeaux e il frate Bernardo dividano il nostro
tesoro in due parti: della prima parte destinino una metà, secondo
il loro parere, a riparare quelle chiese che sono state distrutte
dalle nostre guerre cosicché vi si possa celebrare il servizio divino;
parte donino a quelli che siano stati danneggiati dalle nostre imposte
straordinarie, a quelli che essi vorranno e a quelli che riterranno
averne maggior bisogno per la salvezza dell'anima nostra, di nostro
padre il re Ludovico e dei nostri predecessori. Per quanto riguarda
l'altra metà, comandiamo ai custodi dei nostri averi e a tutti i cittadini
di Parigi di conservarla per nostro figlio finché non raggiunga l'età
in cui, per volere di Dio e per sua capacità, possa governare il regno. Filippo Augusto, Ordinanza detta Testamento, cc. 1-13, 17-19 (1190)
[1] Il testo originale è
perduto. È riportato da Rigord nelle Gesta di Filippo Augusto.
[2] Vengono riportate soltanto le iniziali dei nomi. (B) Nell'anno 1210 dall'incarnazione del Signore, Guido conte di Alvernia infliggeva a molti torti e diverse lamentele a proposito della sua intolleranza vennero riferite alle orecchie del magnanimo re Filippo; e questi, redarguito dal re
attraverso delle lettere e rimproverato dai suoi messi non desisté dagli atti malvagi, ma per di più, volgendosi contro la chiesa di Dio, distrusse con la violenza un monastero regio e catturò il vescovo di Claremont. Saputolo il re, che rivendicava a sé quasi per un'innata
consuetudine che mai restassero impunite le ingiurie fatte alle chiese, raccolto un esercito, inviò il maggior numero possibile di cavalieri in Alvernia e presero subito Rion, città ricchissima con tutto il circondario. Quindi procedendo, assediarono Tourneil, castello
munitissimo e secondo l'opinione di tutti assolutamente inespugnabile. Fu attaccata battaglia tra i difensori del castello e i cavalieri del re, vennero catturati il figlio e nipoti del conte Guido e molti altri furono catturati e uccisi. Alla fine fu preso il castello e
trovati libri e arredi delle chiese e dei monasteri. Lì venne espulso dalla sua contea. Poi il re donò tutta quella terra al signore Guidone de Donapetra e dopo di lui a suo figlio Archembaldo in perpetuo. Guglielmo il Bretone, Gesta di Filippo Augusto, pp. 233-235.
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