Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
1. Il regno di Gerusalemme (A) Jean d'Ibelin, Livre,
cc. 141, 193, 195, 211, 217. (B) Filippo di Novara, Livre,
c. 72. (C) Baldovino II, Privilegio
(1125). (D) Müller, Documenti sulle
relazioni delle città toscane, p. 8.
L'organizzazione dei regno latino di Gerusalemme si basò sull'applicazione
integrale dei modello feudale, mediante la distribuzione ai vittoriosi
cavalieri crociati di terre sotto la forma, appunto, di benefici feudali.
Si creava così una rete di dipendenze piramidali che, partendo
dal re, scendeva fino a raggiungere complessivamente circa seicento
cavalieri obbligati al servizio militare.
I principali obblighi feudali – come traspaiono dalla raccolta di leggi
dei regno nota come «Assise di Gerusalemme», compilata tra
la metà del XII e il secondo terzo del XIII secolo a Cipro –
erano dunque la fedeltà al re e l'impegno militare in difesa
dei regno contro la ricorrente minaccia islamica (A,
B). Entrambi furono però ben
presto in buona parte vanificati dal rapido prepotere aristocratico.
Un'altra caratteristica del regno era data dalla presenza dei mercanti
italiani – Veneziani, Pisani, Genovesi –, che ottennero significativi
privilegi commerciali e gita giurisdizionali (C,
D). In particolare Veneziani a partire
dalle importanti concessioni ottenute nel 1123 dal patriarca di Gerusalemme
Warmundo a nome di re Baldovino – confermate dopo due anni (B)
–, che avevano al loro centro Tiro (un terzo di quella popolosa città
con il suo territorio e un quartiere di fatto extraterritoriale) iniziò
in questo periodo a costruire il suo impero coloniale in oriente. (A) Il signore dei regno di
Gerusalemme […] [1]
è il solo signore e capo della sua signoria: non la tiene da
nessun altri) signore che da Dio. E non deve alcun omaggio o servizio
o rendita a nessuno, né uomo né donna.
Avete udito in che modo e quale giuramento faccia il signore del regno
al patriarca [2]
quando riceve la corona, udite ora quale giuramento faccia ai vassalli
prima che gli prestino omaggio. Dapprima egli deve giurare sui santi
Vangeli di Dio che come cristiano […] manterrà in tutta
lealtà la santa Chiesa, le vedove e gli orfani nei loro diritti
[…] e osserverà […] i buoni usi e le buone consuetudini
e le assise ordinate e stabilite nel regno […] doni e i privilegi
concessi dagli antenati.
Quando un uomo o una donna prestano omaggio al signore dei regno, devono
stare in ginocchio davanti a lui, porre le loro mani giunte in quelle
di lui e dirgli: «Signore, divento vostro uomo ligio per il tale
feudo» e dire il feudo per cui fanno l'omaggio – «e vi prometto
di guardarlo e difenderlo contro chiunque possa vivere e morire».
E il signore deve rispondere: «Io vi ricevo nella fede di Dio
e nella mia, salvi i miei diritti». E deve baciarli sulla bocca
in segno di fede.
Se un uomo ha più di un signore, può, senza venir meno
alla sua fede, aiutare il primo signore, al quale ha prestato omaggio
prima di ogni altro, in ogni cosa e circostanza contro tutti gli altri
signori, poiché si è fatto vassallo degli altri facendo
salva la sua fedeltà; e ancora può aiutare ciascuno degli
altri, restando salvi il primo e coloro a cui ha prestato omaggio prima
che a quello che intende aiutare.
Se chi presta omaggio al re […] ha prestato prima omaggio ligio
a un uomo o a una donna che non siano vassalli del re, o a un uomo che
sia vassallo del re, deve far salva la fedeltà loro dovuta del
nuovo omaggio.
Infatti nessuno che sia vassallo di qualcuno può poi fare omaggio
ad un altro se non eccettuando il primo signore, o a meno che non abbia
il permesso di quello, senza smentire la sua fede verso il primo signore.
Chi presta l'omaggio per una cosa nel regno spettante ad uno diverso
dal re, lo deve prestare nel modo sopra indicato, ma non deve prestare
l'omaggio ligio: infatti nessuno può prestare più di un
omaggio ligio e tutti gli uomini dei vassalli del signore dei regno
devono in base all'assise prestare tale omaggio al re. E poiché
gli si deve prestare l'omaggio ligio, non si può prestarlo a
nessun altro senza offendere il re. L'uomo o la donna che fanno omaggio
a un altro sono tenuti per la fede e per l'omaggio dovuti al loro signore
a difenderlo e a salvarlo contro chiunque possa vivere o morire, e ciò
essi devono promettere [3].
Se sono i servizi dovuti dai vassalli a quello dei loro signori devono
il servizio dei loro corpo per i feudi che tengono da lui, quando egli
glielo ordina o glielo fa ordinare […] devono il servizio di andare
a cavallo e in armi al suo ordine, in qualsiasi luogo dei regno, sarà
loro ordinato, o il servizio, come devono, in caso di bisogno di armi,
se è loro ordinato come devono, e restarvi quanto il signore
vorrà, fino ad un anno: in base all'assise o all'uso dei regno
di Gerusalemme non si può accettare un ordine superiore ad un
anno. Colui che deve il servizio dei suo corpo, di cavaliere o di sergente,
deve prestare il servizio in tutto il regno, con il signore o senza
di lui, se gli è ordinato secondo le regole. E quando è
a corte, deve andare al consiglio di colui o di colei a cui il signore
lo ha dato come consigliere, salvo che non si tratti dei consiglio di
un avversario o di una causa portata contro lui stesso, poiché
nessuno deve agire in giudizio, contro di sé, né per ordine
del signore né per ordine di altri. Se il signore glielo comanda,
devono fare.
Fuori dei regno sono tenuti ad andare e a fare tre cose per il signore:
una è per il matrimonio del signore o di uno dei suoi figli,
la seconda per guardare e difendere la sua fede e il suo onore, la terza
per le necessità della signoria o per il bene comune della regione
[…]. Al re sono dovuti tutti i suddetti servizi, come si è detto
sopra. La donna che tiene un feudo con servizio di corpo, deve al signore
questo servizio, di sposarsi su ordine del signore, quando le viene
ordinato di farlo; una volta sposata, il marito deve al signore i servizi
sopra descritti. Jean d'Ibelin, Livre, cc. 141, 193, 195, 211, 217. [1] Cioè il re, rappresentato
come un signore feudale.
[2] Di Gerusalemme.
[3] È l'Assise sur la ligece,
l'«Assise sull' omaggio ligio», promulgata da re Amalrico
I (1162), con la quale si stabiliva che tutti i feudatari – sia i grandi
che i vassalli dei vassalli – dovevano prestare omaggio ligio al re;
essi acquisivano così il diritto di partecipare all'Haute
Cour feudale dei regno. (B) Quando Dio chiama a sé
qualcuno, uomo o donna, detentore di feudi, il figlio o la figlia maggiorenni
ne entrano in possesso senza avvertire il signore, poiché si
dice chiaramente che di quello che il padre o la madre morti possedevano,
il figlio o la figlia restano in possesso come il padre o la madre quando
morirono […]. Il ragazzo minore deve stare sotto la tutela dei
parente più prossimo o di un amico a cui il feudo non può
toccare, e deve avere un modo di vita conveniente al suo feudo. Se è
signore […] deve […] avere da vivere onorevolmente e fornire
le fortezze convenientemente delle rendite della signoria. Filippo di Novara, Livre, c. 72. (C) In nome della santa e indivisa
Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, amen. Questi sono i patti
che il signor Baldovino, re di Gerusalemme secondo dei Latini fece con
san Marco [1]
e con Domenico Michiel e i suoi successori e baroni, secondo il tenore
delle sue lettere e dei suoi messi, loro inviati prima che fosse fatto
prigioniero su consiglio dei patriarchi e dei vescovi e dei principe
di Antiochia come pure dei baroni delle sue parti, cioè di Gerusalemme
e di Antiochia, poi dal signor Warmundo, patriarca di Gerusalemme, e
dai vescovi del medesimo patriarcato secondo il suo ordine concessi
e confermati dai baroni sotto giuramento nella chiesa della Santa Croce
ad Acri.
In tutte le città e nel dominio dei predetto re e di tutti i
suoi baroni, i Veneziani abbiano in possesso con diritto ereditario
una chiesa, una intera ruga [2],
una piazza, un bagno come pure un forno, liberi da ogni tassa così
come i beni dei re. Nella ruga di Gerusalemme i veneziani possiedano
tanto quanto il re è solito [possedere]: e se ad Acri vorranno
costruire nel loro quartiere un forno, un mulino o un bagno, bilance
ovvero moggi e misure per vino, olio o miele, sia lecito liberamente
a chiunque voglia dei residenti colà, e senza alcuna controversia,
cuocere, macinare, fare il bagno e misurare al prezzo richiesto.
Inoltre quella parte della medesima piazza e ruga di Acri
che il primo re Baldovino I [3]
concesse al beato Marco e al signor doge Ordelaffo [4]
ai suoi successori e [la parte che dall']acquisto di Sidone [concesse]
all'evangelista Marco, a voi Domenico Michiel doge di Venezia e ai vostri
successori confermiamo attraverso il presente scritto […].
Inoltre che alcun Veneziano in tutta la terra e il dominio del re e
dei suoi baroni debba dare in alcun modo tassa alcuna, sia che vi soggiorni
sia che ne esca, ma sia libero in ogni luogo del dominio del re e dei
suoi baroni come a Venezia stessa, eccezion fatta quando salpano con
le navi recando dei pellegrini. Allora invero, secondo la consuetudine
del re, debbono versare al re stesso la terza parte. Pertanto tutti
noi dobbiamo versare a causa di debito al doge di Venezia ogni anno
trecento bisanti saraceni dal porto di Tiro da parte del re. Se invero
qualche processo o litigio un Veneziano avrà con un altro Veneziano,
esso si tenga nel tribunale dei Veneziani, o anche se qualcuno sporgerà
rimostranza o avrà litigio con un Veneziano la causa sia definita
nella medesima curia dei Veneziani Se però un Veneziano intenterà
causa ad un altro uomo non Veneziano, il processo sia risolto nel tribunale
dei re. Inoltre se un Veneziano sarà morto senza testamento,
il che noi diciamo «senza lingua», i suoi beni tornino in
potestà dei Veneziani. Inoltre se un Veneziano avrà subito
un naufragio, non subisca alcun danno dei suoi averi ma se nello stesso
naufragio sarà morto, i suoi beni siano a disposizione dei suoi
credi o dei Veneziani. Inoltre circa i cittadini di qualsiasi popolo
siano, che abitano nei propri villaggi e circa le loro case, i Veneziani
abbiano le medesime prerogative giudiziarie e gli stessi diritti consuetudinari
che il re ha sui suoi. Infine, i Veneziani abbiano e possiedano liberamente
e come re la terza parte delle due città di Tiro e di Ascalona,
con le loro pertinenze, e [la terza parte] delle case e terre che loro
spettano, dal giorno di San Pietro […] ai saraceni che [lì]
servono soltanto quelli che non sono in mano dei Franchi e che Dio per
la sua misericordia mediante il loro aiuto e la loro fatica o qualche
espediente possa dare in mano ai cristiani; così come il tu [ha
e possiede] le altre due [parti]. Però nella difesa della terra,
secondo quanto potranno sopportare convenientemente i redditi della
terza parte, essi i difensori in comune servizio del re. Baldovino II, Privilegio (1125). [1] Cioè Venezia.
[2] Via.
[3] 1100-1118.
[4] Falier. (D) Nel nome della Santa e
indivisibile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, amen.
Sia noto a tutti che io Amalrico, per grazia di Dio conte di Ascalona,
per volontà e richiesta di mio fratello e signore Baldovino re
di Gerusalemme [1], dono,
concedo e confermo a te, Villano, venerabile arcivescovo di Pisa, assieme
al consoli della città e ai Pisani, la metà dei diritti
che mi spettano, che i Pisani possano entrare, uscire, comprare e vendere
in Giaffa per terra e per mare. Dono inoltre ai Pisani una piazza in
Giaffa perché vi costruiscano case per sè e ne facciano
un mercato. Concedo agli stessi un luogo per elevarvi una chiesa, se
ciò sarà permesso dal signore e maestro della cristianità,
il patriarca [gerosolimitano]. E perché codesto mio dono, concessione,
conferma, rimanga per sempre stabile, sicuro e intatto e non venga alterato
da inganno o violenza di alcuno, convalido questa carta con il mio sigillo
e la confermo con i testimoni sottoscritti [2]. Müller, Documenti sulle relazioni delle città toscane,
p. 8. [1] Baldovino III (1143-1162).
[2] Anno 1157.
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