Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
4. La quarta crociata (A) Patto fra il doge Enrico
Dandolo, Bonifacio marchese di Monferrato, Baldovino conte di Fiandra
e Ludovico conte di Blois (1204). (B) Baldovino di Fiandra, Lettera
a Innocenzo III, (1204).
Simbolo chiaro del tramonto dell'era delle crociate, la quarta spedizione
in oriente (1202-1204), voluta da Innocenzo III, non arrivò mai
in Terrasanta: i capi crociati dovettero infatti pagare il passaggio
oltremare ai Veneziani e, trovandosi nell'impossibilità di saldare
in altro modo il debito, finirono per attaccare Zara, città dalmata
ribelle a Venezia, e poi per mischiarsi nelle lotte interne di Bisanzio.
Abbattuta la dinastia degli Angeli e saccheggiata l'antica capitale
imperiale, toccò a Baldovino di Fiandra salire sul trono di un
nuovo stato, l'impero latino d'oriente dopo che nel marzo del 1204 un
accurato patto tra i crociati aveva stabilito – con grande vantaggio
dei Veneziani abilmente guidati dal doge Enrico Dandolo – le modalità
della spartizione dell'impero bizantino (A).
La lettera che lo stesso Baldovino inviò a papa Innocenzo per
informarlo degli eventi (B), nel maggio
dei 1204, appare intrisa di un profondo imbarazzo per il fatto che i
crociati hanno attaccato, anziché i musulmani degli altri cristiani
e dopo l'inevitabile accusa di empietà ai Greci conclude promettendo
una crociata in oriente che, in realtà, non ci fu mai. (A) Noi Enrico Dandolo, per
grazia di Dio duca di Venezia, Dalmazia e Croazia, per parte nostra,
con voi, illustrissimi e chiarissimi principi, Bonifacio marchese del
Monferrato e Baldovino conte di Fiandra e di Hainaut, Ludovico conte
di Blois e Clermont e Ugo di Saint Pol, per la vostra parte, abbiamo
stabilito di osservare il seguente ordine, dopo aver legato con giuramento
l'una e l'altra parte, affinché tra noi possa esserci unità
e ferma concordia e per evitare ogni motivo di scandalo, con l'aiuto
di Colui che è la nostra pace:
Prima di tutto, dopo aver invocato il nome di Cristo, dobbiamo espugnare
con le armi la città; e se con l'aiuto della potenza divina saremo
entrati nella città, dobbiamo rimanere e andare sotto il comando
di quelli che sono stati eletti a capo dell'esercito, e seguirli, secondo
quanto sarà stato ordinato.
Tutto il bottino che sarà trovato in città, da chiunque
deve essere preso e messo in comune nel luogo che sarà stabilito.
Di questo bottino a noi e a tutti i Veneziani spetteranno tre parti,
per quella somma che l'ex-imperatore Alessio doveva pagare a noi e a
voi. La quarta parte la terrete voi. […]
Inoltre noi e tutti gli uomini di Venezia dobbiamo avere in modo totalmente
libero e senza alcuna contestazione per tutto l'impero ogni onorificenza
e possesso che siamo stati soliti avere, tanto in campo spirituale quanto
in quello temporale, e ogni interesse e consuetudine scritti o non scritti.
Devono inoltre essere eletti sei uomini dalla parte nostra e sei dalla
nostra che, sotto giuramento debbano scegliere quella persona dell'esercito
che credano essere in grado di governare meglio [1]
la terra e l'impero in onore di Dio e della santa chiesa romana e dell'impero.
E se saranno concordi su uno, dobbiamo avere come imperatore quello
che essi avranno eletto concordemente [2].
[…]
Inoltre si deve sapere che i chierici, che furono di quella parte dalla
quale non sarà stato eletto l'imperatore, avranno il potere di
reggere la chiesa di Santa Sofia e di eleggere il patriarca in onore
di Dio, della santa chiesa romana e dell'impero. I chierici di entrambe
le parti devono reggere quelle chiese che spettano alla loro parte;
si deve provvedere ai chierici e alle chiese con i possessi della chiese
[stesse], tanto e nella misura in cui possano vivere ed essere sostentati
in maniera onorevole. Gli altri possessi delle chiese devono essere
divisi e ripartiti secondo l'ordine prescritto.
Inoltre dobbiamo giurare tanto dalla parte nostra, quanto dalla vostra,
che dall'ultimo giorno di questo mese di marzo dobbiamo rimanere per
un intero anno, per aiutare l'impero e l'imperatore, in onore di Dio
e della santa chiesa romana e dell'impero. Da quel momento in poi, tutti
quelli che rimarranno nell'impero devono legarsi con giuramento all'imperatore
secondo una buona e ragionevole consuetudine. […]
Si deve sapere anche questo, che dalla nostra e dalla vostra parte devono
essere eletti dodici uomini o più per parte che, sotto giuramento,
devono distribuire fra gli uomini i feudi e le onorificenze ed assegnare
i servizi che i medesimi uomini devono fare all'imperatore e all'impero
secondo ciò che a quelli apparirà buono e conveniente.
Il feudo che sarà assegnato a ciascuno, questi lo dovrà
possedere in maniera totalmente libera ed ereditaria (per via sia maschile
che femminile), e avere piena potestà di farne ciò che
sarà di sua volontà, fatto salvo tuttavia il diritto e
il servizio dell'imperatore e dell'impero. […]
Fu anche stabilito che nessuno uomo di nessuna nazione, che avrà
guerra comune con noi o i nostri successori o con il popolo di Venezia,
sia accolto nell'impero, finché quella guerra non sarà
finita. […]
Si deve anche sapere che voi, predetto signor duca, non dovrete prestare
giuramento all'imperatore, che sarà eletto all'impero, di compiere
alcun servizio per qualunque cosa, feudo o onorificenza che a voi sarà
assegnato; tuttavia quelli, o quello, che avrete stabilito al vostro
posto su quelle cose che a voi saranno state assegnate, dovranno essere
tenuti sotto giuramento a compiere ogni servizio all'imperatore e all'impero,
secondo le regole sopra stabilite.
Redatto nell'anno dei Signore millesimo duecentesimo quarto, mese di
marzo, indizione settima. Patto fra il doge Enrico Dandolo, Bonifacio marchese di Monferrato,
Baldovino conte di Fiandra e Ludovico conte di Blois (1204). [1] Qui il testo utilizza più
verbi di seguito, ma tutti con il medesimo significato di «governare,
reggere».
[2] Sono previste poi altre clausole in
caso di decisione non concorde (a sorte se c'è parità,
oppure a maggioranza). (B) Il 12 aprile, cioè
la seconda festa dopo la Passione dei Signore, soffiando bora di nuovo
ci accostiamo alle mura con le scale delle navi, sulle quali scale con
molta fatica dei nostri erano state applicate delle torrette, mentre
i Greci opponevano molta resistenza.
Ma non appena sentirono da vicino le spade dei nostri, la sorte della
battaglia non durò a lungo incerta. Due navi, legate insieme
fianco a fianco, recate dai nostri vescovi di Soissons e di Troyes e
denominate Paradiso e Pellegrina per prime con le
loro scale toccarono le scale delle toni, e con felice auspicio recarono
i pellegrini che combattevano per il Paradiso a contatto con i nemici
per primi guadagnano le mura i vessilli dei due prelati, e ai ministri
dei divini segreti viene concessa dal cielo la prima vittoria. Mentre
i nostri seguivano in massa, per ordine di Dio si piegò la moltitudine
infinita di fronte a pochissimi e poiché i Greci abbandonarono
i propugnacoli, i nostri audacemente aprirono le porle ai cavalieri.
Quando l'imperatore, che se ne stava armato nelle sue tende non lontano
dalle mura, ne vide l'ingresso, subito abbandonò le tende e si
dette alla fuga; i nostri sono occupati nelle uccisioni; la popolosa
città viene presa; coloro che sfuggono alle nostre spade vengono
accolti nel palazzi imperiali, e dopo aver fatto grande strage dei Greci
i nostri si riuniscono assieme, e quando ormai il giorno volgeva al
tramonto depongono stanchi le armi, decisi ad occuparsi il giorno seguente
dell'assalto ai palazzi [imperiali].
L'imperatore riunisce i suoi e li esorta alla battaglia del giorno seguente,
affermando che ora ha i nostri in suo potere poiché sono rinchiusi
nello spazio delle mura; ma nottetempo volge le spalle in fuga di nascosto,
dandosi per vinto. Quando scopre questo, la massa della popolazione
greca, sbalordita, si accorda per la sostituzione dell'imperatore, e
mentre a mattino fatto procedono alla nomina di un certo Costantino
[1], i nostri
fanti, senza aspettare la decisione dei comandanti, saltano in armi,
i Greci si inno alla fuga, vengono abbandonati i fortissimi palazzi
e in un attimo viene conquistata l'intera città. Viene saccheggiata
una quantità innumerevole di cavalli, d'oro e d'argento, di tessuti
di seta e di vesti preziose, di gemme e di tutto ciò che dagli
uomini è annoverato fra le ricchezze si trova una abbondanza
tanto inestimabile, che sembrava che l'intera Latinità non possedesse
tanto. Essi che ci avevano rifiutato tanto poco, tutto per divino giudizio
lasciano in nostra mano, di modo che possiamo affermare tranquillamente
che nessuna storia mai raccontata circa i casi di guerra e meraviglie
più grandi di queste, perché manifestamente si veda adempiuta
in noi la profezia che dice: uno di voi perseguiterà cento
altri [2]
perché, se ripartiamo la vittoria fra i singoli, ciascuno dei
nostri non meno di cento mise alle strette e vinse.
Ma ora invano non usurpiamoci la vittoria, poiché la destra
del Signore si è salvata da sé, e il braccio del suo valore
si è rivelato in noi [3].
Dal Signore tuttavia ciò è stato fatto e sopra ogni meraviglia
ciò è mirabile ai nostri occhi [4].
Dopo aver dunque ordinato con diligenza ciò che la situazione
richiedeva di sistemare, unanimemente e devotamente procediamo alla
elezione dell'imperatore e dopo aver escluso ogni ambizione, con sei
baroni veneziani e venerabili uomini i nostri vescovi di Soissons, di
Halberstadt di Troyes, il signore di Betlemme, che dalle terre di oltremare
per autorità apostolica ci era stato inviato come legato, il
vescovo eletto di Acri e l'abate di Lucedio, costituiamo elettori del
nostro imperatore sotto protezione del Signore. Essi dopo aver prima
elevata una preghiera, come si doveva, nella domenica Misericordia Domini,
unanimemente e solennemente elessero la nostra persona, il che era lontano
dai nostri meriti, mentre il clero e il popolo acclamavano recitando
le lodi del Signore; e la domenica seguente, nella quale si canta il
Iubilate secondo il comando dell'apostolo Pietro di rendere
onore al re e di obbedirgli come a persona superiore [5]
e annunziando il Vangelo che nessuno ci toglierà la nostra
Gioia [6],
con grande onore e gran tripudio, mentre i Greci applaudivano secondo
il loro costume, dopo averci incoronati gloriosamente ad onore di Dio
e della Santa Chiesa romana e a sostegno della Terra i padri cari a
Dio e agli uomini, i già ricordati pontefici ci elevarono ai
fastigi dell'impero fra gli applausi e le pie lacrime di tutti.
Erano presenti gli abitanti di Terra Santa, ecclesiastici e militari,
che più di tutti mostravano inestimabile e grata letizia e affermavano
che con maggior gratitudine mostravano il loro ossequio a Dio, che se
la città santa [7]
fosse stata restituita ai culti cristiani, poiché a perpetua
confusione dei nemici della croce, della santa romana Chiesa e della
terra di Gerusalemme, la città imperiale si era consacrata, essa
che tanto a lungo si oppose con forza come avversaria e contrastò
all'una e all'altra.
Essa [8] è
quella che, con sozzo rito pagano dopo aver bevuto alternativamente
il sangue uno dell'altro a segno di fraterna alleanza, più volte
osò stabilire dei ferali patti di amicizia assieme agli infedeli
e a lungo li ha allattati con la sua fecondissima mammella e li sollevò
alla superbia dei mondo, fornendo loro armi, navi e viveri. Quello che
per converso ha compiuto ai danni dei pellegrini [9]
più che le parole valgono a mostrarlo gli esempi in ogni popolo
latino. Essa è quella che, in odio al vertice apostolico, a mala
pena poteva sentir proferire il nome dei principe degli apostoli, e
non gli concedeva neppure una chiesa fra i Greci a lui che dal Signore
stesso ricevette la primazia su tutte le chiese. Essa è quella
che sapeva onorare Cristo solo con le pitture, e fra i riti nefandi
che si era inventata a spregio delle autorità delle Scritture
presumeva perfino di rovinare il lavacro salutare [dei battesimo] facendolo
ripetere. Essa è quella che non si degnava di conferire a tutti
i latini il nome di uomini, ma di cani, spargere il sangue dei quale
ascrivevano quasi a merito, né alcuna soddisfazione penitenziale
impartivano i laici monaci, presso i quali, senza alcuna considerazione
per i sacerdoti, consisteva tutta l'autorità di legare e di sciogliere.
Questi e siffatti deliramenti, che la ristrettezza della lettera non
permette di illustrare ampiamente, essendo arrivate al colmo le loro
iniquità, che provocavano a nausea il Signore stesso, la divina
giustizia con il nostro aiuto ha percorso con degna vendetta ed espulsi
gli uomini che odiavano Dio e amavano se stessi, diede a noi una terra
abbondante di ogni ricchezza, di frumento, di vino e d'olio, carica
di prodotti, bella per i boschi, le acque e i pascoli, ampissima per
stabilirvisi, e simile alla quale ha il mondo per temperatezza di clima.
Ma le nostre aspirazioni non si limitano a questi risultati, né
permetteranno che il vessillo regale sia tolto dalle nostre spalle,
fino a quando, dopo che questa regione sarà consolidata dal trapianto
di nostri immigrati, dobbiamo visitare le regioni oltremarine e per
concessione di Dio realizzare lo scopo del pellegrinaggio [10].
Speriamo infatti nel Signore Gesù, perché lui che intraprese
in noi una opera buona a lode e gloria del suo nome, realizzerà
la perpetua rovina dei nemici della croce, la confermerà e consoliderà. Baldovino di Fiandra, Lettera a Innocenzo III, (1204). [1] Costantino Lascaris.
[2] Jos., 23, 10 e
Lev. 26, 8.
[3] Psalm., 97, 1.
[4] Psalm. 117, 23.
[5] Pet., I, 2, 13;
I, 2, 18.
[6] Ioh., 16, 22.
[7] Gerusalemme.
[8] Costantinopoli.
[9] I crociati.
[10] Cioè riconquistare Gerusalemme
e liberare il Santo Sepolcro.
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