Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
1. Il Podestà forestiero e le società delle armi (A) Giovanni Villani,
Nuova Cronica, VI, 32. (B) Statuti di Bologna,
1, 3 (1288). (C) Statuti di Parma,
1, p. 2 (1255). (D) Galvano Fiamma,
Cronaca maggiore, p.764. (E) Statuti
della società delle armi del Popolo di Bologna, FSI 3, 2 (1230). È attorno al secondo decennio del XIII secolo che nella maggior
parte delle città dell'Italia centro-settentrionale si affermò
l'istituto del podestà e presto si consolidò come permanente.
Alla rottura dell'omogeneità del governo consolare si cercò
di ovviare con l'introduzione di un forte potere esecutivo, che riuscisse
a tradurre le indicazioni delle forze dominanti del comune, espresse nei
consigli, in un'azione politica al di sopra degli interessi delle parti
in conflitto. Ben presto per questo compito si fece ricorso a podestà
forestieri, che venivano scelti in un ambito regionale e, in relazione
all'orientamento del gruppo dominante nei consigli, seguendo un criterio
di pertinenza politica, tenuto conto cioè dei collegamenti esistenti
tra le fazioni delle diverse città (A).
Spesso i podestà si spostavano chiamati da una città all'altra,
passando da un incarico all'altro, divenendo in qualche modo dei professionisti
della politica. Si spostavano con un seguito di collaboratori, specialisti
del diritto, uomini d'arme. Il loro operato era sottoposto a un rigido
controllo da parte degli organi consiliari del comune, che si concretava
in un sindacato al termine del mandato (B).
I compiti del podestà, i termini dei suoi poteri, le modalità
del suo insediamento restano fissati negli statuti cittadini che testimoniano
della doppia preoccupazione di garantire il rispetto delle prerogative
della funzione del podestà, come pure di garantire la città
dal rischio di ogni abuso da parte di questi (C).
Nel complesso, si assiste al tentativo di razionalizzare la distribuzione
di compiti e funzioni attraverso il professionalizzarsi degli uffici.
Ma, come si è accennato, il ricorso al podestà forestiero
è fa spia di tin tentativo di sanare un contrasto all'interno del
gruppo dirigente. In questi anni, la vita politica del comune si va difatti
complicando con il sorgere di nuovi gruppi che si affermano in forza del
loro potere economico e si vanno organizzando in societates.
Ordinate per lo più su base territoriale – anche se spesso si intersecano
con le organizzazioni di mestiere – esse si sviluppano in senso militare
per tutelare con le armi i propri aderenti e i loro interessi (D,
E). (A) Negli anni di Cristo MCCVII i Fiorentini
ebbero di prima signoria forestiera, che infino allora s'era retta la
città sotto signoria de' consoli cittadini, de' maggiori e migliori
della città con consiglio del senato, cioè di cento buoni
uomini; e quelli consoli al modo di Roma tutto guidavano, e governavano
la città, e rendeano ragione, e facevano giustizia: e durava il
loro officio uno anno. E erano quattro consoli mentre che la città
fu a quartieri, per ciascuna porta uno; e poi furono VI quando la città
si partì a sesti. Ma gli antichi nostri non facean menzione de'
nomi di tutti, ma dell'uno di loro di maggiore stato e fama, dicendo:
al tempo di cotale consolo e de' suoi compagni. Ma poi cresciuta la città
e di genti e di vizii, e faceansi più malifici, sì s'accordaro
per meglio del Comune, acciò che i cittadini non avessono sì
fatto incarico di signoria, né per prieghi, né per tema,
o per diservigio, o per altra cagione non mancasse la giustizia, sì
ordinaro di chiamare uno gentile uomo d'altra città che fosse loro
podestà per uno anno, e rendesse le ragioni civili con suoi collaterali
e giudici, e facesse l'esecuzione delle condannagioni e giustizie corporali.
E 'l primo che fu podestà in Firenze fu nel detto anno Gualfredotto
da Milano, e abitò al vescovado, imperciò che ancora non
ave' in Firenze palazzo di Comune. E però non rimase la signoria
de' consoli, ritegnendo a loro l'aministragione d'ogn'altra cosa del Comune.
E per la detta signoria si resse le cittade infino al tempo che si fece
il primo popolo, in Firenze, come innanzi faremo menzione; e allora si
creò l'officio degli anziani. Giovanni Villani, Nuova Cronica, VI, 32. (B) 3. È stabilito che quando
un podestà debba venire a reggere il governo della città
di Bologna, dieci giorni prima del suo insediamento al potere debba venire
con tutta la sua famiglia, con i giudici, i militi, i notai e venti berrovieri
[1]. E in quell'occasione
significhi al rettore della città di Bologna in quale giorno si
insedierà in città; e quando sia entrato in città
si rechi alla chiesa del Beato Pietro e poi venga nella piazza del comune
di Bologna: e prima che lui stesso o qualcun altro della sua famiglia
scenda da cavallo lo stesso signore podestà sia tenuto a giurare
di reggere la città di Bologna con buona fede e secondo la forma
del suo giuramento. E i giudici e i suoi soldati e ugualmente il notaio
debbano giurare di ottemperare al foro officii secondo il dettato del
loro giuramento e di osservare gli statuti e le riformazioni del comune
e del popolo bolognese, e di giurare sugli statuti chiusi
[2],
non aggiungendo né inserendo alcuna parola a modifica, inganno
o in altro modo. E sia tenuto a essere ospitato con tutto il suo seguito
nel palazzo del comune di Bologna e non altrove per i suddetti dieci giorni
e per tutto il tempo del suo mandato e, per dieci giorni terminato il
mandato, per il sindacato del suo operato e di quello del suo seguito. Statuti di Bologna, 1, 3 (1288). [1] Uomini armati.
[2] Giurando cioè di rispettarli integralmente.
(C) In nome di Dio, amen. Io, che sono
rettore della città di Parma, giuro che, in buona fede, senza inganni,
messo da parte ogni odio, amore, timore o compenso indebito, renderò
giustizia in tutte le cose a tutte le persone del distretto di Parma,
sia chierici che laici, di persona o attraverso un mio funzionario, secondo
legge e giustizia, conformemente ai buoni costumi e consuetudini e agli
statuti della città di Parma. Mi occuperò di tutte le controversie
portate di fronte a me e insorte fra le predette persone.
Non risolverò in maniera fraudolenta, anche la più piccola
delle suddette controversie, allorché mi siano presentate; una
volta ricevute, il podestà è tenuto ad aprire il dibattito
giudiziario entro dieci giorni e quindi a definirlo due mesi, senza tener
conto dei giorni di festa. Statuti di Parma, 1, p. 2 (1255).
(D) Nell'anno di Cristo 1209, eminente
a Roma Innocenzo III, sul seggio di Milano Uberto secondo di Pirovano,
sotto l'impero di Ottone quarto, venne fatto podestà Alberto di
Fontana, piacentino. In questo tempo venne costituita tra i popolari e
tra coloro della credenza [1]
per la custodia del carroccio una certa società che venne detta
società dei forti, il cui capo e capitano fu Enrico di Monza, e
giurarono di morire sul campo piuttosto che darsi a una turpe fuga o abbandonare
il carroccio. E così in città vi furono due società,
una tra i nobili cavalieri, che venne detta società dei gagliardi,
l'altra tra i popolari a piedi che viene detta società dei forti.
E ciascuna era contraria all'altra. Galvano Fiamma, Cronaca maggiore, p. 764. [1] Credenza di Sant'Ambrogio associazione del
popolo minuto che riuniva le arti minori.
(E) 2. Io che entro o sono stato ammesso
in questa società [1]
prometto a voi ministrali che accogliete in nome della società
di diligere di tutto cuore ciascuno della società e di consigliare
ciascuno con buona fede e di non essere in alcun luogo in cui alcuno dei
miei socii sia tratto a morte né soffra alcun pericolo del corpo
né alcun altro; e se lo verrò a sapere lo comunicherò
il più rapidamente che potrò ai ministrali della società
e con buona fede mi impegnerò affinché non succeda. E se
qualcuno della predetta società avrà inimicizia con qualche
mio consanguineo o amico, tranne che con i genitori, i fratelli e i consanguinei,
darò il mio avviso in modo equanime, con buona fede e senza inganno,
secondo ciò che mi sembrerà meglio, non sceglierò
un partito, ma mi impegnerò con buona fede affinché siano
ricondotti alla pace e alla concordia. E ai ministrali o ad altri che
domandino consiglio, secondo ciò che mi sembrerà meglio,
darò il mio avviso con buona fede e senza frode, allontanato ogni
odio, amore, timore, offerta di denaro o preghiere, interesse o danno
particolare mio o di altri.
[…] E se mi chiameranno alle armi, mi offrirò e con i miei
soci andrò secondo la volontà dei ministrali in esercito
o a cavallo dove sia necessario andare per il [bene] comune della mia
città [.]. E se sarò eletto qui di stringitore o ad altro
compito per la società, non rifiuterò ma lo farò
con buona fede. E se nell'esercito sarò addetto al gonfalone, starò
con gli altri miei soci, né da qui mi muoverò senza permesso
dei di stringitori o di altri che siano superiori a quell'ufficio. E se
qualcuno dei miei soci sarà colpito da infermità o subirà
incendio o dalla povertà, che Dio lo impedisca, e se i ministrali
mi chiederanno qualche cosa per sostenerlo, io darò entro i termini
che mi sono stati dati. E se i ministrali mi imporranno la credenza, la
terrò e non lo renderò noto a nessuno senza ordine e volontà
loro. E osserverò tutte queste cose dalla passata natività
del Signore per la durata di dieci anni. Statuti della società delle armi del Popolo di Bologna, FSI 3, 2 (1230). [1] La società dei Balzani.
|