Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
2. I milites, il fisco, la guerra (A) Giovanni Villani, Nuova Cronica,
VI, 32. (B) Statuti di Bologna, 1,
3 (1288). (C) Statuti di Parma, 1,
p. 2 (1255). (D) Galvano Fiamma, Cronaca maggiore,
p. 764. (E) Statuti della società
delle armi del Popolo di Bologna, FSI 3, 2 (1230). (F) Statuti di Vicenza, pp.
125 e 140 (1264). (G) Statuti di Padova,
1, 34 (1274). All'interno del comune, la funzione militare dell'aristocrazia le assicurò
per buona parte del Duecento il mantenimento di un ruolo politico e
sociale rilevante, nonostante l'ascesa del Popolo. Qui si forniscono
esempi di questa situazione relativi a due aree precise, l'Emilia ed
il Veneto. Gli statuti ci mostrano come i milites fossero a
lungo privilegiati dal punto di vista fiscale, almeno quelli che da
generazioni servivano a cavallo nell'esercito comunale; essi erano esentati
da una serie di dazi e imposizioni varie, ad esempio a Bologna nel 1250
(A) o a Parma nel 1255 (B);
in quest'ultima città il loro privilegio si univa a quello dei
cittadini, anch'essi favoriti rispetto agli abitanti del contado soggetti
alla colta. il dazio che gravava sui focolari. Lo stesso privilegio
era presente a Verona, per gruppi definiti «nobili» (gentiles)
; inoltre sempre a Verona sono favoriti, rispetto ad altri cavalieri
(«nuovi», popolari), i «cavalieri abituali»,
perché ad essi non si richiede un patrimonio minimo per ricoprire
le cariche pubbliche (E).
Accanto ai milites veri e propri – quelli che da generazioni
servono a cavallo per la città, membri consolidati dell'aristocrazia
cittadina – appaiono dunque altri gruppi, definiti in modo più
impreciso, in genere con un giro di parole del tipo: «quelli che
tengono un cavallo da guerra per il Comune», o simili. Sono nuovi
cavalieri di origine popolare, espressione dell'ascesa anche militare
del Popolo; anch'essi hanno diritto, sia pure in misura minore, ad una
sede di esenzioni. Ciò lo si vede bene nel caso di Vicenza, dove
il cavaliere comunale abitante nel contado è definito come un personaggio
di un certo patrimonio, che tiene un cavallo per la guerra e si destreggia
tra il fisco cittadino e quello del villaggio in cui risiede (F).
L'elemento patrimoniale ritorna a Padova, ma in un doppio senso: in quel
comune controllato dal Popolo i duecento cavalieri eletti dalla Comunanza
(l'organo di controllo popolare della città) devono avere sia un
patrimonio minimo che uno massimo: si vogliono cioè emarginare
i magnati i più ricchi e potenti personaggi della città
(G). L'emarginazione dei magnati ha
il suo culmine nelle leggi antimagnatizie, di cui qui si dà un
bell'esempio bolognese (C). (A) 8. Stabiliamo
che chiunque sia immune da imposizioni pubbliche a causa della [sua]
nobiltà cavalleresca, rimanga immune da esse anche per l'avvenire,
se anche divenisse povero. Quanto a quelli che si difendono [dalle imposizioni
pubbliche] solo per il servizio a cavallo, debbono tenere per tutto
l'anno un cavallo del prezzo di trenta lire bolognesi; se faranno ciò,
contribuiranno alle imposizioni pubbliche come gli altri vicini [1].
E gli inquisitori fiscali siano tenuti a indagare su tutti quelli che
si difendono sulla base del solo servizio a cavallo e che devono tenere
cavalli, e se avranno trovato qualcuno che non lo ha avuto e tenuto
così come deve al tempo della guerra contro i Vignolesi, lo condanni
a pagare il doppio di quanto avrebbe dovuto pagare a titolo di colletta
se non si fosse difeso sulla base del servizio a cavallo [2],
salvo nel caso che, se avrà voluto vendere il cavallo, sia lecito
per lui venderlo e sia obbligato a comprarne un altro del medesimo prezzo,
entro due mesi dopo che lo avrà venduto. Nessuno che recentemente,
cioè da quando questo statuto fu fatto, tenne un cavallo di venti
lire bolognesi o di qualunque valore per il comune, debba per questo
avere immunità dalle contribuzioni pubbliche [3].
Ma se qualcuno per tutta la sua vita, e così i suoi antenati,
è stato considerato cavaliere e ha esercitato il servizio a cavallo
per l'onore del suo comune, a lui non sia imposto alcun onore, se non
come agli altri cavalieri [4]. Statuti di Bologna, VI, 8 (1250). [1] La costruzione del periodo è
strana (ci si aspetterebbe che all'obbligo di tenere un cavallo seguisse
una qualche esenzione), ma dovrebbe sottintendere che questi «semplici»
cavalieri, sottoposti come tutti i vicini alle faciones, avevano però
l'esenzione dalle contribuzioni straordinarie (collectae) cfr.
nota 2.
[2] Correggendo in milicia il malicia
presente nel testo originale, risulta appunto che sulla base del servizio
questi cavalieri erano esenti dalle collette, che avevano carattere
straordinario (cfr. nota 1).
[3] L'obbligo militare, ulteriormente
allargatosi in tempi più recenti, aveva portato ad un abbassamento
del valore della cavalcatura richiesta.
[4] I cavalieri di cui si parla qui sono gli
stessi definiti «nobili» nel primo periodo del capitolo.
(B) Capitolo [che stabilisce]
che il podestà e il massaro siano tenuti a imporre la colta e
altri dazi e a raccoglierli per l'episcopato di Parma, in misura uguale
fra gli uomini e i luoghi dell'episcopato, secondo la volontà
del concilio fatto e radunato al suono della campana, fatta salva l'usanza
del cavalieri, che è [della misura] di diciotto [lire] parmensi
per paio di buoi e di otto per zappa in tutte [le terre della giurisdizione
dei cavalieri], eccetto i signori di Vallisniera e di Vairo e quelli
che avranno tenuto cavalli per la guerra del comune di Parma. E i consoli
del cavalieri siano tenuti da soli o tramite altri, e il podestà
di Parma sia [pure] tenuto a dare loro forza per raccogliere la predetta
bovateria [.], eccetto a quelli che saranno venuti alla città
e avranno prestato un giuramento di tenere un cavallo o un giumento
al quale siano spuntati [almeno] quattro denti e che sia adatto alla
guerra, con un usbergo, una pancera e un giubbetto [.]. E il podestà
sia tentato a non raccogliere colta o altra dazia o prestanza in città
o nei borghi in alcun caso senza decisione di tutto i1 consiglio o della
sua maggior parte, radunato al suono della campana. Statuti di Parma, 1, pp. 68-69 (1255).
(C) 16. Volendo
e desiderando che i lupi rapaci e gli agnelli mansueti camminino alla
pari, stabilirono, ordinarono e decisero che tutti i singoli [uomini]
della città di Bologna e del distretto, i cui nomi sono stati
scritti qui sotto, debbano, entro un mese dal giorno della pubblicazione
di questo ordinamento, dare, fare e prestare buona e idonea garanzia
giurata [1]
al signor podestà del comune di Bologna di mille lire bolognesi
e oltre, secondo la volontà del podestà da ricevere e
scrivere tramite speciali notai del signor podestà e da approvare
secondo il solito dagli ufficiali della curia. Essi [dovranno] obbedire
allo stesso modo a tutti i mandati e ordini del signor podestà
del comune di Bologna e della sua famiglia, del signor capitano e della
sua famiglia, presentandosi personalmente davanti ai predetti signori
– a qualunque di loro – quante volte essi stessi o un altro di loro
saranno stati richiesti [di farlo] per qualunque causa; e non [dovranno]
tenere o permettere che [sia tenuto] nelle loro case, abitazioni, curie
e cortili o chiese […] qualcuno del banditi dal comune di Bologna
per un delitto, o qualcuno del banditi ribelli e disobbedienti della
parte dei Lambertazzi [2],
o qualche assassino o persona infame, e non [dovranno] offendere o fare
offendere qualcuno nelle persone o cose. E la garanzia di chiunque dei
sottoscritti sia ritenuta [valida] tanto per lui stesso quanto per quelli
della sua casa, tanto ecclesiastici che laici, e cioè padri,
figli o fratelli e nipoti tanto legittimi che naturali. Statuti di Bologna, V, 16 (1288). [1] Securitas
[2] È il nome della pars (parte, partito)
ghibellina di Bologna, derivante da quello della più importante famiglia ghibellina.
I Lambertazzi furono cacciati definitivamente da Bologna nel 1280.
(D) 190. Abbiano
esenzione e immunità dai dazi sui focolari e da tutti gli oneri
del contadini solo quelli che tennero ininterrottamente cavalli e armi
cavalleresche (ma non possano richiedere l'esenzione per un ronzino
o un puledro dai trenta mesi in giù); ma anche gli uomini nobili
[1] abbiano
ugualmente predetta esenzione e immunità, pure se per povertà
non avranno tenuto cavalli ed armi cavalleresche. Ugualmente, se qualche
cittadino di questa città sarà andato ad abitare in un
villaggio, non sia sottoposto alla dazia o alla colta dal comune del
suo villaggio, sebbene ci sia stato ed abbia vissuto in detto villaggio
ininterrottamente per quattro anni; se però avrà abitato
nel detto villaggio ininterrottamente per cinque anni, d'ora in avanti
sia considerato un abitante del medesimo villaggio. Statuti di Verona, 1, 190 (1228). [1] Gentiles homines, probabilmente
membri dell'aristocrazia feudale del contado.
(E) 266. Ordiniamo
che tutti quelli della città e del suo distretto che avranno
tenuto e avuto cavalli e armi cavalleresche per tre parti dell'anno
e possiederanno beni per un valore di mille lire di denari veronesi
– e inoltre [1]
quelli che erano cavalieri abituali, loro e i loro antenati, e che avranno
tenuto cavalli e armi cavalleresche, sebbene non abbiano beni del valore
di mille lire di denari veronesi – siano posti e scritti in una matricola
e siano eletti agli uffici del comune di Verona, in base all'ordine
con il quale saranno stati scritti. […] E ciò che è
detto del cavallo, si intenda di un cavallo che valga effettivamente
venticinque lire di denari veronesi. Statuti di Verona, 1, 266 (1228). [1] In realtà il testo
dice «exceptis illis, qui erunt consueti milites», ma il
senso è precisamente quello dato in traduzione: «eccetto»
infatti vuol dire che per i consueti milites non vale il limite minimo del
patrimonio di mille lire per accedere agli uffici pubblici.
(F) E chi vuole essere cavaliere
in un villaggio deve pagare la colletta al comune di Vicenza sulla base
di un patrimonio di almeno cinquecento lire, e in tempo di guerra, che
Dio lo allontani, deve tenere un cavallo e pagare al comune della sua
terra [sempre] sulla base di cinquecento lire, per i seguenti motivi:
incendi, malefatte, salario del podestà e fare una casa nella
città di Vicenza, altrimenti rimanga con il comune della sua
terra facendo tutte le prestazioni con il comune della sua terra, come
gli altri del suo comune.
Nessuna persona debba fare o tenere per il comune di Vicenza più
di una cavallata [1],
sebbene a lui pervengano diverse eredità; e questo statuto valga
nel passato e nel futuro, e se quello al quale perverrà l'eredità
per qualsiasi diritto è [già] cavaliere per la sua proprietà
terriera, non sia tenuto a mantenere un cavallo per una sua eredità,
che spetti a lui o a sua moglie. Lo stesso valga anche per i fanti,
e a nessuno sia imposto più di un cavallo. Statuti di Vicenza, pp. 125 e 140 (1264). [1] In latino militia.
(G) 34. Siano
eletti duecento buoni cavalieri della comunanza delta città di
Padova o dei suburbi, cinquanta per quartiere, che possiedano un patrimonio
di mille lire almeno, ovvero che siano cavalieri per il comune di Padova
e non [possiedano] più di dieci mila lire e debbano avere ciascuno
dei buoni destrieri dai tre anni in su e del ronzini; e i destrieri
valgano almeno sessanta lire e [i cavalieri] abbiano tutti l'armatura
della comunanza e destrieri corazzati e armi cavalleresche e siano obbligati
a presentarsi ogni due mesi con cavalli ed armi davanti al podestà
di Padova […]. E siano tenuti a correre dal signor podestà
ogni volta che saranno stati richiesti dal suono della campana o dalla
voce del banditore. E debbano avere dal comune per remunerazione di
questo lavoro venti soldi di denari veneti grossi per ciascuno. Statuti di Padova, 1, 34 (1274).
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