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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XV
Aristocrazia e popolo nelle città italiane

3. Il caso di Firenze/ 1 «Guelfi e Ghibellini»
(A) Dino Compagni, Cronica, I, 2.
(B) Giovanni Villani, Nuova Cronica, VI, 38.
(C) Cronica Fiorentina, pp. 117-11.

Per buona parte della prima metà del XIII secolo, la vita comunale è monopolizzata dalle tensioni tra i gruppi di antica tradizione di governo consolare e quelli emergenti economicamente o socialmente, di estrazione cittadina o di immigrazione anche nobiliare del contado. Schieramenti antagonisti i cui modi di aggregazione sfuggono a ogni semplificazione oppositiva. Nel nome spesso essi si richiamano ai partiti guelfi e ghibellini. È evidente come l'assunzione di queste etichette sia molto spesso distante rispetto ai contenuti ideologici che si è soliti attribuir loro.
Nel caso di Firenze il racconto dell'episodio assunto a occasione della grande divisione della città tra guelfi e ghibellini ritorna nella testimonianza della cronachistica cittadina: come precedente della divisione tra i guelfi Bianchi e Neri, non può esimersi dal farvi riferimento Dino Compagni, popolare di parte guelfa, attivo protagonista della vita politica della sua città che centra la Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi sulle vicende fiorentine dal 1280 al 1312; e neppure Giovanni Villani, socio della compagnia dei Peruzzi e più volte detentore di incarichi pubblici, autore di una Cronica dove su un impianto narrativo tutto sommato tradizionale si avverte il peso di una precisa coscienza storiografica e un'attenzione all'aspetto documentario, debitore in buona parte alla sua formazione tecnica.


(A) Piangano adunque i suoi cittadini sopra loro e sopra i loro figliuoli; i quali, per loro superbia e per loro malizia e per gara d'uffici, ànno così nobile città disfatta, e vituperate le leggi, e barattati gli onori in picciol tempo, i quali i loro antichi con molta fatica e con lunghissimo tempo ànno acquistato, e aspettino la giustizia di Dio, la quale per molti segni [1] promette loro male siccome a colpevoli, i quali erano liberi da non poter essere soggiogati [2].
Dopo molti antichi mali per le discordie de'suoi cittadini ricevuti, una ne fu generata nella detta città, la quale divise tutti i suoi cittadini in tal modo, che le due parti s'appellorono nimiche per due nuovi nomi, cio è Guelfi e Ghibellini. E di ciò fu cagione in Firenze, che uno nobile giovane cittadino, chiamato Buondalmonte de' Buondalmonti, avea promesso tôrre per sua donna una figliuola di messer Oderigo Giantruffetti. Passando dipoi un giorno da casa i Donati, una gentile donna chiamata madonna Aldruda, donna di messer Forteguerra Donati, che avea due figliuole molto belle, stando a' balconi del suo palagio, lo vide passare, e chiamollo, e mostrogli una delle dette figliuole, e dissegli: «Chi ài tu tolla per moglie? io ti serbavo questa ». La quale guardando molto li piacque, e rispose: «Non posso altro oramai ». A cui madonna Aldruda disse: «Sì, puoi, ché la pena pagherò io per te». A cui Bondalmonte rispose: «E io la voglio». E tolsela per moglie, lasciando quella avea tolta e giurata. Onde messer Oderigo, dolendosene co' parenti e amici suoi, deliberarono di vendicarsi, e di batterlo e farli vergogna. Il che sentendo gli Uberti, nobilissima famiglia e potenti, e suoi parenti, dissono voleano fusse morto: ché così fia grande l'odio della morte come delle ferite; cosa fatta capo à. E ordinorono ucciderlo i1 dì menasse la donna; e così feciono. Onde di tal morte i cittadini se ne divisono, e trassersi insieme i parentadi e l'amistà d'ambendue le parti, per modo che la detta divisione mal non finì: onde nacquero molti scandoli e omicidi e battaglie cittadinesche. Ma perché non è mia intenzione scrivere le cose antiche, perché alcuna volta il vero non si ritruova, lascerò stare; ma ho fatto questo principio per aprire la via a intendere, donde procedette in Firenze le maledette parti de' Guelfi e Ghibellini: e ritorneremo alle cose furono ne'nostri tempi.

Dino Compagni, Cronica, I, 2.

[1] E cioè la vittoriosa discesa in Italia di Arrigo VII.
[2] L'accusa è ai guelfi neri colpevoli di avere ceduto al papa la libertà di Firenze.


(B) Negli anni di Cristo MCCXV, essendo podestà di Firenze messere Gherardo Orlandi, avendo uno messer Bondelmonte de' Bondelmonti nobile cittadino di Firenze promesse a torre per moglie una donzella di casa gli Amidei, onorevoli e nobili cittadini; e poi cavalcando per la città il detto messer Bondelmonte, ch'era molto leggiadro e bello cavaliere, una donna di casa i Donati il chiamò, biasimandolo della donna ch'egli avea promessa, come non era bella né sofficiente a lui, e dicendo: «Io avea guardata [1] questa mia figliuola »; la quale gli mostrò e era bellissima; incontanente per subsidio diaboli [2]preso di lei, la promise e isposò a moglie. Per la qual cosa i parenti della prima e donna promessa raunati insieme, e dogliendosi di ciò che messer Bondelmonte aveva loro fatto di vergogna, si presono il maladetto isdegno onde la città di Firenze fu guasta e partita; che di più causati de' nobili si congiurarono insieme di fare vergogna al detto messer Bondelmonte per vendetta di quella ingiuria. E stando tra loro a consiglio in che modo il dovessero offendere, o di batterlo o di fedirlo, il Mosca de' Lamberti disse la mala parola «Cosa fatta capo ha», cioè che fosse morto: e così fu fatto; che la mattina di Pasqua di Risurresso [3] si raunarono in casi gli Amidei da Santo Stefano, e vegnendo d'Oltrarno il detto messere Bondelmonte vestito nobilmente di nuovo di roba tutta bianca, e in su uno palafreno bianco, gitignendo a piè del ponte Vecchio dal lato di qua, apunto a piè del pilastro ov'era la 'nsegna di Mars '[4], il detto Messer Bondelmonte fue atterrato dal cavallo per lo Schiatta degli Uberti, e per lo Mosca Lamberti e Lambertuccio degli Amidei assalito e fedito, e per 0derigo Fifanti gli furono segate le vene e tratto a fine; e ebbevi co' loro uno de' conti da Gangalandi. Per la qual cosa la città corse ad arme e romore. E questa morte di messere Bondelmonte fu la cagione e cominciamento delle maladette parti guelfa e ghibellina in Firenze, con tutto che dinanzi assal erano le sette tra' nobili cittadini e le dette parti, per cagione delle brighe e questioni dalla Chiesa allo'mperio; ma per la morte del detto messere Bondelmonte tutti i legnaggi de' nobili e altri cittadini di Firenze se ne partiro, e chi tenne co' Bondelmonti che presono la parte guelfa e furonne capo, e chi cogli Uberti che furono capo de Ghibellini: onde alla nostra città seguì molto di male e ruina, come innanzi farà menzione, e mai non si crede ch' abbia fine, se Idio nol termina. E bene mostra che 'l nemico dell'umana generazione per le peccata de' Fiorentini avesse podere nell'idolo di Mars, che i Fiorentini pagani anticamente adoravano, ché a piè della sua figura si commise sì fatto micidio, onde tanto male è seguito alla città di Firenze. I maladetti nomi di parte guelfa e ghibellina si dice che si criarono prima in Alamagna, per cagione che due grandi baroni di là aveano guerra insieme, e aveano ciascuno uno forte castello l'uno incontro all'altro, che l'uno avea nome Guelfo e l'altro Ghibellino, e durò tanto la guerra, che tutti gli Alamanni se ne partiro, e l'uno tenea l'una parte, e l'altro l'altra; e eziando infino in corte di Roma ne venne la questione, e tutta la corte ne prese parte, e l'una parte si chiamava quella di Guelfo, e l'altra quella di Ghibellino: e così rimasero in Italia i detti nomi.

Giovanni Villani, Nuova Cronica, VI, 38.

[1] Riservata.
[2] Per intervento del diavolo.
[3] Il 19 aprile.
[4] Marte.


(C) Item MCCXV anni, esendo podestate messer Currado Orlandi, nella terra di Campi, appresso a Florenzia vj miglia, si fece cavaliere messer Mazzingo Tegrimi de' Mazinghi., ed invitòvi tutta la buona gente di Firenze. Ed essendo li cavalieri a tavola, uno giucolare [1] di corte venne e levò uno tagliere fornito [2] dinanzi a messer Uberto delli 'Nfangati, il qual era in compagnia di messer Bondelmonte di Bondelmonti; donde fortemente si cruccioe. E messer Oddo Arrighi de' Fifanti, uomo valoroso, villanamente riprese messer Uberto predetto, onde messer Uberto lo smentio per la gola [3], e messer Oddo Arrighi li gettò nel viso uno tagliere fornito di carne: onde tutta la corte ne fue travagliata. Quando fuorono levate le tavole, messer Bondelmonte diede d'uno coltello a messer Oddo Arrighi per lo braccio, e villanamente il fedio. Tornai ogni uomo consiglio di suoi amici e parenti, infra li quali fuorono Conti da Gangalandi, Uberti, Lamberti e Amidi; e per loro fue consigliato che di queste fosse pace, e messer Bondelmonte togliesse per moglie la figliuola di messer Lamberluccio di Capo di Ponte, delli Amidei, la quale era figliuola della serore di messer Oddo Arrighi. Fatto il trattato e la concordia, e l'altro giorno appresso si dovea fare il matrimonio: e madonna Gualdrada, moglie di messer Forese di Donati, sacretamente mandò per messer Bondelmonte e disse: «Cavaliere vitiperato, c'hai tolto moglie per paura degli Uberti e di Fifanti: lascia quella c'hai presa e prendi questa, e sarai sempre inorato cavaliere». Tantosto elli ebbe asentito a questa opera fare, sanza alcuno consiglio. Quando venne l'altro, giorno al mattino per tempo, giovedì dei X di febraio, e la gente dall'una parte e d'altra fue raunata, venne messer Bondelmonte e passò per Port[a] Sancte Marie, e andò a giurare la donna di Donati, e quella delli Amidei lasciò stare, sotto questo vituperio che inteso avete. Vedendo messer Odd'Arighi questa cosa, fu molto cruccioso; e fece uno consiglio nella chiesa di Santa Maria sopra Porta con tutti li suoi amici e parenti, e quivi fortemente si lamentò della vergogna che li era stato fatto per messer Bondelmonte: sì che fue consigliato per certi uomini ch'a lui fosse dato d'uno bastone, e altri dissero ch'elli fosse fedito nella faccia: infra li quali rispose messer Mosca di Lamberti e disse: «Se tu il batti o fiedi, pensa prima di fare la fossa dove tue ricoveri; ma dàlli tale che si paia, ché cosa fatta ca[po] ha». Avenne che fra loro fue diliberato che la vendetta fosse fatta in quello loco dove la gente era raunata a fare il giuramento del matrimonio. Sì che la mattina della pasqua di Risoressio, appiè di marzo, in capo del Ponte Vecchio, messer Bondelmonte cavalcando a palafreno in gibba di sendado [4] e in mantello con una ghirlanda in testa, messer Ischialta delli Uberti li corse adosso e dielli d'una mazza in sulla testa e miselo a terra del cavallo, e tantosto messer Odd'Arighi con un coltello li segò le vene, e lasciarlo morto. E questa posta [5] fue fatta in casa gli Amidei. Allora lo romore fue grande; e fue messo in una bara, e la moglie istava nella bara e tenea il capo in grembo fortemente piangendo; e per tutta Firenze in questo modo il portarono. In quello giorno si cominciò la struzione di Firenze, che imprimamente si levò nuovo vocabile [6], cioè Parte guelfa e Parte ghibellina. Poi dissero i guelfi: «Appellianci Parte di Chiesa » e' ghibellini s'appellarono Parte d'Imperio, avegnadio ch'é ghibellini fossero publici paterini. Per loro fu trovato lo'nquisitore della resia. Onde per tutti i Cristiani è sparta questa malattia. E iij c. m. d'uomini e più ne sono morti, ché l'uno piglia l'una parte e l'altro l'altra.

Cronica Fiorentina, pp. 117-119.

[1] Giullare.
[2] Piatto di vivande.
[3] Formula che implicava la sfida a duello.
[4] Giubba di zendado.
[5] Agguato.
[6] Denominazione.

 

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