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Didattica

Fonti

Antologia delle fonti bassomedievali

a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni

© 2002 – Stefano Gasparri per “Reti Medievali”


XV
Aristocrazia e popolo nelle città italiane

4. Il caso di Firenze/ 2
«Il Comune e il Popolo»
(A) Giovanni Villani, Nuova Cronica, VII, 39.
(B) Salimbene de Adam, Cronaca, p. 641.
(C) Giovanni Villani, Nuova Cronica, VIII, 13.

In un contesto dove la lotta politica veniva per buona parte concepita come capacità di imporsi sul piano militare, le già citate società delle armi del Popolo, per quanto mosse da una primaria esigenza di pacificazione e autodifesa, divennero ben presto soggetto e strumento di una tale lotta.
Il processo di affermazione del Popolo – pur se in forme non lineari e in tempi certo differenti – è quasi ovunque lo stesso: da gruppo di pressione, a organismo politico coesistente e concorrente al comune, a partito dominante nel governo della città. Con la metà del Duecento, a Firenze i popolari riescono ad imporre una nuova costituzione e a vedere rappresentati i propri interessi con l'istituzione della magistratura del capitano del popolo; è l'avvento del cosiddetto «primo Popolo» (A). Dopo dieci anni, con la sconfitta fiorentina a Montaperti a opera di una coalizione ghibellina (B), il potere del Popolo subisce una battuta d'arresto almeno fino al 1266, con la sconfitta di Manfredi, e poi con quella di Corradino (1286); da allora torna a perfezionare la sua presenza nel comune e a promuovere una riorganizzazione delle arti maggiori che prelude al secondo Popolo (C).


(A) Tornata la detta oste in Firenze [1], si ebbe infra cittadini grande ripitio, imperciò che i Ghibellini che signoreggiavano la terra gravavano il popolo d'incomportabili gravezze, libbre e imposte; e con poco frutto, ché Guelfi erano già isparti per lo contado di Firenze e teneano molte castella, e faceano guerra alla cittade, e oltre a ciò quegli della casa degli Uberti e tutti gli altri nobili ghibellini tiranneggiavano il popoli di gravi i torsioni e forze e ingiurie. Per la qual cosa i buoni uomini [2] di Firenze raunandosi insieme a romore, e feciono loro capo [3] a la chiesa di San Firenze; e poi per la forza degli Uberti non v'ardiro a stare, sì n'andarono a stare a la chiesa de' frati minori a Santa Croce, e ivi stando arniati, non s'ardivano di tornare a loro case, acciò che dagli Uberti e gli altri nobili, avendo lasciate l'arme, non fossono rotti, e da le signorie [4] condannati. Sì n'andaro armati alle case delli Anchioni da San Lorenzo, ch'erano molto forti, e qui armati durando, co loro feciono XXXVI caporali di popolo, e levarono la signoria e la podestà ch'allora era in Firenze [5], e tutti gli ufficiali rimossono. E ciò fatto, sanza contasto sì ordinarono e feciono popolo con certi nuovi ordini e staluti, e elessono capitano di popolo messer Uberto da Lucca; e fu il primo capitano di Firenze; e feciono XII anziani di popolo, due per ciascuno sesto [6], i quali guidavano il popolo e consigliavano il detto capitano, e ricogliensi nelle case della Badia sopra la porta che vae a Santa Margherita, e tornavansi alle loro case a mangiare e a dormire. E ciò fu fatto a dì XX d'ottobre, gli anni di Cristo MCCL, e in quello dì si diedono per lo detto capitano XX gonfaloni per lo popolo a certi caporali partiti per compagnie d'arme e per vicinanze, e a più popoli [7] insieme, acciò che quando bisognasse, ciascuno dovesse trarre armato al gonfalone della sua compagnia, e poi co' detti gonfaloni trarre al detto capitano del popolo. E feciono fare una campana, la quale tenea il detto capitano in su la torre del Leone; e 'l gonfalone principale del popolo, ch'avea il capitano, era dimezzata bianca e vermiglia [8]. Le 'nsegne de' detti gonfaloni erano queste: nel sesto d'Oltrarno, il primo, si era il campo, vermiglio e la scala bianca; il secondo, il campo bianco con una ferza [9] nera; il terzo, il campo azzurro iv'entro una piazza [10] bianca con nicchi vermigli; il quarto, il campo rosso con uno dragone verde. Nel sesto di San Piero Scheraggio, il primo fu il campo azzurro e uno carroccio giallo, overo a oro; il secondo, il campo giallo con uno toro nero; il terzo, il campo bianco con uno leone rampante nero; il quarto, era pezza gagliarda, cioè a liste a traverso bianche e nere: questa era di San Pulinari [11]. Nel sesto di Borgo, il primo era il campo giallo e una vipera, ovvero serpe verde; il secondo, il campo bianco e una aguglia nera; il terzo, il campo verde con uno cavallo isfrenato covertato a bianco e a croce rossa. Nel sesto di San Brancazio [12], il primo, il campo verde con uno leone naturale [13] rampante; il secondo, il campo bianco con uno leone rampante rosso; il terzo, il campo azzurro con uno leone rampante bianco. In porte del Duomo, il primo, il campo azzurro con un leone a oro; il secondo, il campo giallo con uno drago verde; il terzo, il campo bianco con uno leone rampante azzurro incoronato. Nel sesto di Porte San Piero, il primo, il campo giallo con due chiavi rosse; il secondo, a ruote acerchiate bianche e nere; il terzo, il di sotto a vai e di sopra rosso. E come ordinò il detto popolo le 'nsegne e gonfaloni in città, così fece in contado [14] a tutti i pivieri [15] il suo, ch'erano LXXXXVI; e ordinargli a leghe, acciò che l'una atasse l'altra, e venissero a città e in oste quando bisognasse. Per questo modo s'ordinò il popolo vecchio di Firenze, e per più fortezza di popolo ordinaro e cominciaro a fare il palagio il quale è di dietro a la Bdia, e in su la piazza di San Pulinari, cioè quello ch'è di pietre conce colla torre; ché prima non avea palagio di Comune in Firenze, anzi stava la signoria ora in una parte de la città e ora in altra. E come il popolo ebbe presa signoria e stato, sì ordinarono per più fortezza di popolo che tutte le torri di Firenze, che ce n'avea grande quantità alte CXX braccia, si tagliassono e tornassono alla misura di L braccia e non più, e così fu fatto; e delle pietre si murò [16] poi la città oltrarno.

Giovanni Villani, Nuova Cronica, VII, 39.

[1] Ghibellini fiorentini sconfitti a Figline il 22 settembre 1250.
[2] Del Popolo.
[3] Si riunirono.
[4] Autorità cittadine.
[5] Il podestà imperiale Ranieri di Montemurlo di Tortona.
[6] Sestiere.
[7] Parrocchie.
[8] Per metà bianca e per metà rossa.
[9] Sferza.
[10] Un quadro.
[11] San Apollinare.
[12] San Pancrazio.
[13] Fulvo.
[14] Cosa che in realtà avvenne solo in un momento successivo.
[15] Distretti delle pievi.
[16] Si cinse di mura.


(B) Nello stesso anno [1] in Toscana, Italia, i Florentini e i Lucchesi ebbero una miseranda disavventura. Infatti, confidando nella moltitudine e nel proprio valore, penetrarono nel territorio senese; e contro loro uscirono i Senesi in battaglia, sicuri dell'aiuto di messer Manfredi, allora re di Sicilia. E allora i Fiorentini e i Lucchesi furono ingannati dal tradimento dei loro. Infatti al cominciare del combattimento quelli che erano i primi e i principali tra i Fiorentini di parte dei nemici, si precipitarono, insieme con i Senesi, contro i loro e fecero selvaggia strage. Si dice che fra morti e prigionieri, in quella occasione restarono sul campo più di seimila, tra Fiorentini e Lucchesi.

Salimbene de Adam, Cronaca, p. 641.

[1] La battaglia di Montaperti ebbe luogo nel 1260.


(C) Come la novella fu in Firenze e per Toscana della sconfitta di Manfredi, i Ghibellini e i Tedeschi cominciarono ad invilire e avere paura in tutte le parti, e' Guelfi usciti di Firenze ch'erano ribelli, e tali a' confini per lo contado e in più parti, cominciarono a invigorire e a prendre cuore e ardire. E faccendos presso alla città, ordinarono dentro alla terra novità e mutazioni, per trattati co' loro amici d'entro, che s'intendeano con loro, e vennero infino ne' Servi Sancte Marie a fare consiglio, avendo speranza di loro gente che erano stati alla vittoria col re Carlo, i quali attendeano con gente de' Franceschi in loro aiuto; onde il popolo di Firenze ch'era più Guelfo che Ghibellino d'animo per lo danno ricevuto, chi di padre, chi di figliuolo, e chi di fratelli, alla sconfitta di Monte Aperti, simile cominciarono a rinvigorire, e a mormorare, e a parlare per la città, dogliendosi delle spese e incarichi [1]disordinati che riceveano dal conte Guido Novello e dagli altri che reggeano la terra. Onde quelli che reggeano la città di Firenze a parte ghibellina, sentendo nella città il detto subuglio e mormorio, e avendo paura che 'l popolo si ribellasse contro a loro per una cotale mezzanità [2], e per contentare il popolo, elessono due cavalieri frati godenti per Bologna per podestadi di Firenze, che l'uno ebbe nome messerCatalano de' Malavolti, e l'altro messer Loderigo delli Andalò, e l'uno era tenuto di parte guelfa, ciò era messer Catalano, e l'altro di parte ghibellina. E nota che' frati godenti erano chiamati cavalieri di santa Maria, e cavalieri si faceano quando prendeano quello abito, che le robe aveano bianche e uno mantello bigio, e l'arme il campo bianco e la croce vermiglia con due stelle, e doveano difendere le vedove e' pupilli, intramettersi di paci; e altri ordini, come religiosi, aveano. E il detto messer Loderigo ne fu cominciatore di quello ordine; ma poco durò, che seguiro al nome il fatto, cioè d'intendere più a godere ch'ad altro. Questi due frati per lo popolo di Firenze furono fatti venire, e misongli nel palagio del popolo d'incontro a la Badia, credendo che per l'onestà dell'abito fossono comuni, e guardassono il comune di soperchie spese; i quali tutto che l'animo di parte fossono divisi, sotto coverta di falsa ipocrisia furono in concordia più al guadagno loro proprio ch'al bene comune; e ordinarono XXXVI buoni uomini mercatanti e artefici, de' maggiori e migliori che fossono nella cittade, i quali dovessono consigliare le dette due potestadi, e provvedere alle spese del comune; e di questo novero furono de' Guelfi e de' Ghibellini, popolani e grandi non sospetti, ch'erano rimasi in Firenze alla cacciata de' Guelfi. E raunavansi i detti XXXVI a consigliare ogni dì per lo buono stato comune della città nella bottega e corte de' consoli di Calimala, ch'era a piè di casa i Cavalcanti in Mercato Nuovo, i quali feciono molti buoni ordini e stato comune della terra, intra' quali ordinarono che ciascuna delle VII arti maggiori di Firenze avessono consoli e capitudini [3], e ciascuna avesse suo gonfalone e insegna, acciò che se nella città si levasse niuno con forza d'arme, sotto i loro gonfaloni fossono a la difesa del popolo e del comune. E le 'nsegne delle VII arti maggiori furono queste: i giudici e notari, il campo azzurro e una stella grande ad oro; i mercanti di Calimala, cioè de' panni franceschi, il campo rosso con una aguglia ad oro in su uno torsello [4] bianco; i cambiatori, il campo vermiglio e fiorini d'oro iv'entro seminati; l'arte della lana, il campo vermiglio iv'entro uno montone bianco; i medici e speziali, il campo vermiglio iv'entro santa Maria col figliuolo Cristo in collo; l'arte de' setaiuoli e merciari, il campo bianco e una porta rossa iv'entro per lo titolo di porte Sante Marie, i pillicciai, I'arme a vai, e nell'uno capo uno agnus Dei in campo azzurro. L'altre V seguenti alle maggiori arti s'ordinarono poi quando si criò in Firenze l'uficio de' priori dell'arti, come a tempo più innanzi faremo menzione; e fu loro ordinato, per simile modo delle VII arti, gonfaloni e arme. Ciò furono i baldrigari, ciò sono mercatanti di ritaglio di panni fiorentini, calzaiuoli e pannilini, e rigattieri, la 'nsegna bianca e vermiglia; i beccari, il campo giallo e un becco, nero; i calzolai, atraverso listata bianca e nero, chiamata pezza gagliarda; i maestri di pietre e di legname, il campo rosso iv'entro la sega, e le scure, e mannaia, e piccone; i fabbri e ferraiuoli, il campo bianco e tanaglie grandi nere.

Giovanni Villani, Nuova Cronica, VIII, 13.

[1] Imposte.
[2] Intervento.
[3] Dirigenti.
[4] Piccola balla.

 

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