Fonti
Antologia delle fonti bassomedievali
a cura di Stefano Gasparri,
Andrea Di Salvo e Fiorella Simoni
© 2002 – Stefano
Gasparri per “Reti Medievali”
5. Il caso di Firenze/ 3
«Magnati e Popolani» (A) Giovanni Villani,
Nuova Cronica, VIII, 79. (B) Dino Compagni,
Cronica,1, 4-5. (C) Dino Compagni,
Cronica, I, 10. (D) Dino Compagni,
Cronica, I, 11. (E) Ordinamenti
di Giustizia del Comune e Popolo di Firenze, 1, 5-6, 8-9, 12, 22
(1293). (F) Dino Compagni,
Cronica, I, 20. L'affermarsi del Popolo venne presto segnato da un diversificarsi di
posizioni, tra le arti più ricche e potenti e le altre, e dall'esigenza
di difendersi dai magnati, cioè da coloro che per potere sugli
uomini, ricchezza o nobiltà potevano costituire un pericolo per
l'ordinamento del Popolo, e che furono fatti bersaglio di una vera e propria
«legislazione antimagnatizia».
A Firenze, dopo la signoria temporanea di Carlo d'Angiò e la pacificazione
tra le parti operata dal cardinale Latino Malebranca (1280) per conto
di Nicolò III, fu con l'istituzione del priorato delle arti che
il potere tornò veramente nelle mani dei popolari. I priori, eletti
dalle arti maggiori e medie, su base rionale, ebbero il controllo della
vita cittadina (1282) (A, B).
Si tentò poi di tutelare il sistema nel 1293, promulgando gli Ordinamenti
di giustizia e assegnando alla figura del gonfaloniere di giustizia, presto
posto a capo del collegio dei priori, l'impegno di farli rispettare (D).
Gli ordinamenti imponevano, specialmente, l'appartenenza ad una delle
arti Maggiori come condizione per potere accedere alle cariche pubbliche
(E). Miravano ad
escludere dal governo della città quei magnati che peraltro, in
certa misura, si erano trovati promossi nella loro funzione militare dalla
pratica della politica espansionistica fiorentina, che nella vittoria
di Campaldino contro Arezzo nel 1289 trovò un suo momento particolarmente
significativo (C).
L'ordinamento popolare sarà poi ancora travagliato da lotte interne.
È il caso della scissione interna ai guelfi fiorentini tra Bianchi
e Neri fino alla «pacificazione» di Carlo di Valois e alla
vittoria di questi ultimi (1301)(F). (A) Negli anni di cristo MCCLXXXII,
essendo la città di Firenze al governamento dell'ordine di XIIII
buoni uomini, come avea lasciato il cardinale Latino [1],
ciò erano VIII Guelfi e VI Ghibellini, come addietro facemmo menzione,
parendo a' cittadini il detto uficio de'XIIII uno grande volume e confusione,
ad accordare tanti divisati animi a uno, e massimamente perché
a' Guelfi non piacea la consorteria nell'uficio co' Ghibellini per le
novitadi ch'erano già nate, siccome della perdita che 'l re Carlo
avea già fatta dell'isola di Cicilia, e della venuta in Toscana
del vicario dello'mperio, e sì per guerre cominciate in Romagna
per lo conte di Montefeltro per gli Ghibellini, per iscampo e salute della
città di Firenze si annullarono il detto uficio de'XIIII, e si
creò e fece nuovo uficio e signoria al governo della detta città
di Firenze, il quale si chiamarono priori dell'arti, il quale nome priori
dell'arti viene a dire i primi eletti sopra gli altri; e fu tratto del
santo Vangelo, ove Cristo disse a' suoi discepoli: «Vos estis prior».
E questo trovato e movimento si cominciò per li consoli e consiglio
dell'arte di Calimala, de la quale erano i più savi e possenti
cittadini di Firenze, e del maggiore séguito, grandi e popolani,
i quali intendeano a procaccio di mercatantia ispezialmente, che i più
amavano parte guelfa e di santa Chiesa. E' primi priori dell'arti furono
tre, i nomi de' quali furono questi: Bartolo di messer Iacopo de'Bardi
per lo sesto d'Oltrarno e per l'arte di Calimala; Rosso Bacherelli per
lo sesto di San Piero Scheraggio per l'arte de' cambiatori; Salvi del
Chiaro Girolami per lo sesto di San Brancazio [2]
e per l'arte della lana. E cominciarono il loro officio in mezzo giugno
del detto anno, e durò per due mesi infino a mezzo agosto, e così
doveano seguire di due in due mesi per le dette tre maggiori arti tre
priori. E furono rinchiusi per dare audienza, e a dormire e a mangiare
alle spese del Comune nella casa della Badia, dove anticamente, come avemo
detto addietro si raunavano gli anziani al tempo del popolo vecchio, e
poi XIIII. E fu ordinato a'detti priori VI berrovieri [3]
e VI messi per richiedere i cittadini; e questi priori col.capitano del
popolo aveano a governare le grandi e gravi cose del Comune, e raunare
e fare i consigli e le provisioni. E stando i detti due mesi a'cittadini
piacque l'uficio; e per gli altri due mesi seguenti ne chiamarono VI,
uno per sesto, e agiunsono alle dette tre maggiori arti l'arte de' medici
e speziali, e l'arte di porte Sante Marie, e quella dei'vaiai e pillicciai.
Poi di tempo in tempo vi furono aggiunte tutte l'altre infino alle XII
maggiori arti, ed eranvi de'grandi come de'popolani uomini grandi di buona
fama e opere, e che fossono artefici o mercatanti. E così seguì
infino che si fece il secondo popolo in Firenze, siccome innanzi al tempo
debito faremo menzione. D'allora innanzi non vi fu niuno grande; ma fuvi
arroto [4] il gonfaloniere
della giustizia, e talora furono XII priori secondo le mutazioni dello
stato della città e opportuni bisogni che occorressono, e del numero
di tutte e XXI arti, e di quegli che non erano artefici, essendo stati
artefici i loro anticessori. La lezione del detto Acio si facea per gli
priori vecchi colle capitudini delle XII arti maggiori. e con certi arroti
ch'alleggiano i priori per ciascuno sesto, andando a squittino segreto
e quale più boci avea, quegli era fatto priore; e questa elezione
si facea nella chiesa di San Piero Scheraggio, e' l capitano del popolo
stava allo 'ncontro della detta chiesa nelle case che furono de'Tizzoni.
Avenne tanto detto del cominciamento di questo officio de'priori, perché
molte e grandi mutazioni ne seguirono alla città di Firenze, come
innanzi per gli tempi faremo menzione. Giovanni Villani, Nuova Cronica, VIII, 79. [1] Cardinale Latino Malebranca, inviato
dal papa Nicolò III a pacificare la Città.
[2] San Pancrazio.
[3] Ministri della giustizia.
[4] Aggiunto. (B) Stando amendue le parti
della città, godendo i benefici della pace, i Guelfi che erano
più potenti cominciorono di giorno in giorno a contraffare a «patti
della pace» [1].
Prima tolsono i salari a'confinati; poi a chiamare gli ufici sanza ordine
[2]; i confinati
feciono rubelli, e tanto montò il soprastare, che levorono in tutto
gli onori e' benefici a' Ghibellini, onde crebbe tra loro la discordia.
Onde alcuni, pensando ciò che ne potea advenire, furono con alcuni
de' principali del popolo, pregandoli ci ponessono rimedio, acciò
che per discordia la terra non perisse. Il perché, alcuni popolari
gustando le parole si porgeano, si raunorono insieme sei cittadini popolani,
fra' quali io Dino Compagni fui, che per giovaneza non conoscea le pene
delle leggi, ma la purità de l'animo e la cagione che la città
venia in mutamento. Parlai sopra ciò, e tanto andamo convertendo
cittadini, che furono eletti tre cittadini capi delle Arti, i quali aiutassono
i mercatanti e artieri dove bisognasse: i quali furono Bartolo di messer
Iacopo de' Bardi, Salvi del Chiaro Girolami, e Rosso Bacherelli; e raunoronsi
nella chiesa di san Brocolo. E tanto crebbe la baldanza de'popolani co'detti
tre, vedendo che non erano contesi; e tanto li riscaldarono le franche
parole de' cittadini, i quali parlavano della loro liberta e delle ingiurie
ricevute, e presono tanto ardire, che feciono ordini e leggi, che duro
sarebbe suto di rimuoverle. Altre gran cose non feciono, ma del loro debile
principio ferono assai.
Il detto uficio fu creato per due mesi, i quali cominciorono a dì
XV di giugno 1282: il quale finito, se ne creò sei, uno per sestiero,
per due mesi, che cominciorono a dì XV d'agosto 1282. E chiamoronsi
Priori dell'Arti: e stettono rinchiuisi nella torre della Castagna appresso
alla Badia, acciò non temessono le minaccie de' potenti: e potessono
portare arme in perpetuo: e altri brivilegi ebbono: e furono loro dati
sei famigli e sei ferrovieri. Le loro leggi in effetto furono, che avessono
a guardare l'avere del Comune, e che le signorie facessono ragione a ciascuno,
e che i piccoli e impotenti non fussono oppressati da' grandi e potenti.
E tenendo questa forma, era grande utilità del popolo: ma tosto
si mutò, però che i cittadini che entravano in quello Acio,
non attendeano a observare le leggi, ma ad corromperle. Se l'amico o il
parente loro cadea nelle pene, procuravano con le signorie [3]e
con li ufficiali a nascondere le loro colpe, acciò che rimanessono
impuniti. Né l'avere del Comune non guardavano, anzi trovavano
modo come meglio il potessono rubare: e così della camera del Comune
molta pecunia traevano, sotto protesto di meritare [4]
uomini l'avesson servito. L'impotenti non erano aiutati, ma i grandi gli
offendevano, e così i popolani grassi che erano negli Aci e imparentati
con grandi: e molti per pecunia erano difesi dalle pene del comune, in
che cadevano. Onde i buoni cittadini popolani erano malcontenti, e biasimavano
l'uficio de'Priori, perché i Guelfi grandi erano i signori. Dino Compagni, Cronica,1, 4-5. [1] Sottrarsi alle condizioni previste
dalla pace del Cardinal Latino.
[2] Senza cioè rispettare
le proporzioni nella distribuzione degli incarichi, a vantaggio dei guelfi.
[3] In questo caso i rettori, cioè
il podestà e il capitano.
[4] Ricompensare. (C) Mossono le insegne al giorno
ordinato i Fiorentini, per andare in terra di nimici e passarono per Casentino
per male vie; ove, se avessono trovati i nimici arebbono ricevuto assai
danno: ma non volle Dio. E giunsono presso a Bibbiena, a un luogo si chiama
Campuldino, dove erano i nimici: e quivi si fermarono, e feciono una schiera.
I capitani della guerra misono i feditori alla fronte della schiera; e
i palvesi, col campo bianco e giglio vermiglio [1]
furono attelati dinanzi. Allora il Vescovo, che avea corta vista, domandò:
«Quelle, che mura sono?» Fugli risposto: «I palvesi
de' nimici». Messer Barone de' Mangiadori da San Miniato, Franco
et esperto cavaliere in fatti d'arme, raunati gli uomini d'arme disse
loro: «Signori, le guerre di Toscana si sogliano vincere per bene
assalire; e non duravano, e pochi uomini vi moriano, ché non era
in uso l'ucciderli. Ora è mutato modo e vinconsi per stare bene
fermi. Il perché io vi consiglio, che voi stiate forti, e lasciateli
assalire». E così disposono di fare. Gli Aretini assalirono
il campo sì vigorosamente e con tanta forza che la schiera de'
Fiorentini forte rinculò. La battaglia fu molto aspra e dura: cavalieri
novelli vi si erano fatti dall'una parte e dall'altra. Messer Corso Donati
con la brigata de' Pistolesi fedì i nimici per costa. Le quadrella
pioveano: gli Aretini n'aveano poche, et erano fediti per costa, onde
erano scoperti: l'aria era coperta di nuvoli, la polvere, era grandissima.
I pedoni degli Aretini si mettevano carpone sotto i ventri de'cavalli
con le coltella in mano, e sbudellavalli: e de'loro feditori trascorsono
tanto [2], che
nel mezo della schiera furuno morti molti di ciascuna parte. Molti quel
dì, che erano stimati di grande prodeza, furono vili; e molti,
di cui non si parlava, furuno stimati. Assai pregio v'ebbe il balio del
capitano, e fuvi morto. Fu fedito messer Bindo del Baschiera Tosinghi;
e così tornò a Firenze, ma fra pochi dì morì.
Della parte de'nimici fu morto il Vescovo, e messer Guiglielmo de' Pazi
franco cavaliere, Bonconte e Loccio da Montefeltri, e altri valenti uomini.
Il conte Guido non aspettò il fine, ma sanza dare colpo di spada
si partì. Molto bene provò messer Vieri de 'Cerchi et uno
suo figliuolo cavaliere alla costa di sé. Furono rotti gli Aretini,
non per viltà nè per poca prodeza, ma per lo soperchio de'
nimici. Furono messi in caccia, uccidendoli [3]:
i soldati fiorentini, che erano usi alle sconfitte, gli amazavano; i villani
non aveano piatà. Messer Talano Adimari e' suoi si tornorono presto
a loro stanza: molti popolani di Firenze, che aveano cavallate [4];
stettono fermi: molti niente seppino, se non quando i nimici furon rotti.
Non corsono ad Arezo con la vittoria; ché si sperava, con poca
fatica l'arebon avuto.
Al capitano e a'giovani cavalieri, che aveano bisogno di riposo, parve
avere assai fatto di vincere, sanza perseguitarli. Più insegne
ebbono di loro nimici, e molti prigioni, e molti n'uccisono: che ne fu
danno per tutta Toscana.
Fu la detta rotta di XI di giugno, il dì di san Bernaba, in uno
luogo che si chiama Campaldino presso a Poppi.
Dopo detta vittoria non ritornorono però tutti i Guelfi in Arezo:
ma alcuni s'assicurorono; a'quali fu detto, che, se vi voleano stare,
facessono la loro volontà. Tra i Fiorentini e gli Aretini pace
non si fe': ma i Fiorentini si tennono le castella aveano prese; cioè
Castiglione, Laterina, Civitella, Rondine, e più altre castella,
e alcuno se ne disfece. Dopo poco tempo i Fiorentini rimandarono gente
d'arme a Arezo, e posonvi campo, e andoronvi due de' Priori. E il di san
Giovanni vi feciono correre un palio, e conbatterono la terra, e arsono
ciò che trovorono in quel contado. Dipoi andorono a Bibbiena, e
quella presono e disfeciono le mura. Di poi se ne tornorono con poco frutto;
perché assai vi si consumò, con affanni di persone. Dino Compagni, Cronica, I, 10. [1] Soldati armati di palvese,
un largo scudo quadrato, con lo stemma di Firenze: un giglio rosso in
campo bianco.
[2] Si spinsero così avanti.
[3] Furono inseguiti e uccisi.
[4] Che avrebbero avuto obbligo
militare di fornire un cavallo al comune. (D) Ritornati i cittadini
in Firenze, si resse il popolo alquanti anni in grande e potente stato;
ma i nobili e grandi cittadini insuperbiti faceano molte ingiurie a' popolani,
con batterli e con altre villanie. Onde molti buoni cittadini popolani
e mercatanti, tra' quali fu un grande e potente cittadino (Savio, valente
e buono uomo, chiamato Giano della Bella, assai animoso e di buona stirpe,
a cui dispiaceano queste ingiurie) se ne fe' capo e guida, e con l'affito
del popolo (essendo nuovamente eletto de' Signori che entrarono a dl XV
di febraio 1292 [1]),
e co' suoi compagni, afforzorono il popolo. E al loro uficio de' Priori
aggiunsono uno con la medesima balla che gli altri il quale chiamorono
Gonfaloniere di Giustizia (Baldo Ruffoli per sesto di Porta Duomo), a
cui fusse dato uno gonfaloniere dell'arme del popolo, che è la
croce rossa nel campo bianco, e mille fanti tutti armati con la detta
insegna o arme, che avessono a esser presti a ogni richiesta del detto
Gonfaloniere, in piaza o dove bisognasse. E facesi leggi, che si chiamorono
Ordini della Giustizia, contro a' potenti che facessono oltraggio a' popolani:
e che l'uno consorto fusse per l'altro; e che i malifici si potessono
provare per due testimoni di pubblica voce e fama: e diliberorono che
qualunque famiglia avesse avuto cavalieri tra loro, tutti s'intendessono
esser Grandi, e che non potessono esser de' Signori, né Gonfaloniere
di Giustizia, nè de' loro collegi; e furono, in tutto, le dette
famiglie … : e ordinorono che i Signori vecchi, non serti arroti,
avessono a eleggere i nuovi. E a queste cose legarono le XXIII Arti, dando
a' loro consoli alcuna balìa. Dino Compagni, Cronica, I, 11. [1] 1293 dello stile comune. (E) Ad onore, lode e riverenza
del Signore nostro Gesù Cristo e della beatissima vergine Maria
sua madre e di San Giovanni Battista e di Santa Reparata e di San Zanobi,
sotto i cui nomi e sotto il cui patrocinio è governata la città
di Firenze, e degli altri santi e sante di Dio; e ad onore, esaltazione,
rafforzamento ed ampliamento del reggimenti del Podestà e del Difensore
e Capitano e delle magistrature dei priori delle Arti e del Confaloniere
di Giustizia, e anche per un'effettiva e perpetua concordia, unione, conservazione
e aumento del pacifico e tranquillo stato degli artefici e delle Arti
e di tutti i popolani e altresì di tutto il Comune, città
e distretto di Firenze.
Quelli qui sotto riportati sono gli ordinamenti che d'ora innanzi, a buon
diritto e non senza ragione, saranno chiamati Ordinamenti di Giuistizia.
1 . Poiché viene ritenuto perfetto ciò che consta di tutte
le sue parti, e tale è da tutti ritenuto, i predetti signori Podestà,
Difensore e Capitano, Priori delle Arti e giudici, in virtù dell'autorità,
balia e potestà loro, hanno ordinato e disposto che le dodici Arti
maggiori, cioè:
Arte del giudici e notai
Arte del mercadanti di Calimala
Arte del cambiavalute
Arte della lana
Arte del mercadanti di Porta Santa Maria
Arte del medici e speziali
Arte del pellicciai
Arte del beccai
Arte del calzolai
Arte del fabbri
Arte del tagliapietra e dei legnai
Arte dei rigattieri e tutte le altre Arti qui sotto elencate della città
di
Firenze, e cioè
Arte dei vinattieri
Arte degli albergatori maggiori
Arte del venditori di sale, di olio e di formaggio
Arte dei conciatori grossi
Arte del corazzieri e degli spadai
Arte del chiavaioli e ferraioli nuovi e vecchi
Arte dei correggiai, tavolacciai e degli scudai
Arte del legnaioli
Arte del fornai
che hanno e sono solite ricevere da cinque anni a questa parte i loro
stendardi dal Comune di Firenze e col cui presidio vengono tutelati la
città e il Comune di Firenze siano tenute e debbano provvedere
a nominare a norma di legge sindaci idonei e capaci, con potere di impegnarsi,
sulle seguenti decisioni, entro il termine che sarà imposto ai
rettori e consoli delle Arti medesime dal Difensore e Capitano […].
Tali sindaci, muniti di piena e sufficiente procura, dovranno comparire
dinanzi al Capitano e Difensore della città di Firenze […]
e dovranno toccando corporalmente il libro sacro, giurare nella forma
che il detto Capitano avrà proposta […] di procurare che
l'Arte di cui sono e saranno rappresentanti e i suoi componenti costituiranno
con le altre Arti e con i loro appartenenti una buona, sincera e leale
società e compagnia, e che nello stesso tempo saranno vicendevolmente
unanimi e concordi nel curare l'onore, la difesa, l'esaltazione e il pacifico
e tranquillo stato del Podestà, del Capitano e Difensore, dei Priori
e del Gonfaloniere di Giustizia, nonché delle Arti e degli artefici
della città e contado di Firenze e di tutto, il popolo fiorentino
[.] e che le dette Arti e i loro uomini e gonfalonieri presteranno e daranno
consiglio, ausilio, aiuto ed appoggio al Podestà, al Capitano,
ai Priori e al Gonfaloniere di Giustizia ogni volta che sarà necessario
e ne saranno da essi richiesti, obbedendo, armati o senza armi, a tutti
o a uno solo di loro per metterli in condizioni di svolgere liberamente,
decisamente ed efficacemente le loro funzioni e per imporre l'osservanza
e l'effettivo adempimento di tutte e delle singole disposizioni dei sottoriferiti
Ordinamenti di Giustizia. […] E promettano solennemente di non costituire
alcuna società giurata e di non fare alcuna promessa, obbligazione
o accordo o giuramento, al di fuori di questa presente società
e compagnia, giuramento e unione generale da stabilirsi fra tutte le Arti.
5. Si è ordinato e previsto che se un magnate delta città
e del distretto, di Firenze, in qualsiasi modo, uccidesse o facesse uccidere,
o ferisse o facesse ferite mortalmente un popolano della città
o del contado di Firenze, il Podestà condanni alla pena capitale
il magnate che commesso o fatto commettere tale delitto e chiunque di
coloro che abbiano commesso o fatto commettere, e faccia loro tagliare
la testa perché muoiano, se cadranno nelle mani del Comune di Firenze.
Il Podestà dovrà, comunque, fare devastare e distruggere
tutti i beni dei colpevoli, i quali beni, una volta devastati e distrutti,
saranno confiscati a favore del Comune di Firenze e ad esso consegnati.
Se poi i colpevoli non verranno in potestà del Comune di Firenze,
essi siano egualmente condannati alla pena capitale, in modo che, in qualsiasi
momento vengano catturati, sia loro mozzato il capo […]. Se un magnate
avrà ferito o fatto ferire al volto un popolano della città
e contado di Firenze, con qualsiasi genere d'arma metallica, in modo da
procurargli una ferita cruenta, o a un membro, in modo tale che ne consegna
una invalidità permanente, qualora egli venga in potere del Comune
di Firenze, sia autore materiale o mandante del ferimento, venga condannato
dal Podestà ad un'ammenda di 2.000 lire di fiorini piccoli; e,
se non la pagherà entro dieci giorni a partire dal giorno della
condanna, gli sia tagliata di netto la mano destra. […] Nel caso
in cui il colpevole non venga in potere del Comune, tutti i beni del magnate
siano devastati e distrutti, e quindi confiscati a favore del Comune […].
Per quanto concerne tutti i reati predetti, contro i magnati che li avranno
commessi o fatti commettere, sarà sufficiente che vengano provati
da testimoni ne attestino la pubblica notorietà e dal giuramento
dell'offeso, qualora questi sia vivo, e, in caso contrario dal giuramento
dei suoi figli, e qualora essi fossero minorenni, dal giuramento del padre
e del fratello del danneggiato o del più prossimo parente, se egli
non avesse né padre né fratelli […] E per frenare
– com'è conveniente – la temeraria audacia di coloro
che non temono di commettere tali delitti, e per tutelare l'onore dell'ufficio
del Podestà e la libertà e la tranquillità del popolani,
si è provveduto e ordinato che, se avverrà che un magnate
della città e contado di Firenze commetta e faccia commettere qualche
delitto in persona d'un popolano della città e contado di Firenze,
dal quale delitto consegua morte o sfregio al volto in seguito a ferita
grave, o perdita d'un arto così che esso risulti separato dal corpo,
il Podestà abbia il dovere e l'obbligo […] non appena sarà
venuto a conoscenza della consumazione di questo reato, dopo averne informato
il Gonfaloniere di Giustizia, di far immediatamente suonare a martello
la propria campana e di far bandire pubblicamente per la città
che i mille uomini [che le Arti erano tenute a fornire] si radunino armati
e si rechino senza indugio alla casa del Gonfaloniere. Il Gonfaloniere,
con i predetti uomini, armatosi e impugnato il gonfalone di giustizia,
dovrà immediatamente recarsi alla casa o al palazzo del Podestà,
e questi dovrà, senza eccezione ed indugio, mandare uno o più
del suoi giudici e cavalieri, con quanti suoi inservienti vorrà
assieme al predetto Gonfaloniere e ai predetti uomini alle case e alle
proprietà del magnate che avrà commesso o fatto commettere
uno dei soprammenzionati delitti, e dovrà far devastare e distruggere
tali case e proprietà site nella città, borghi e sobborghi
di Firenze.
6. È stato previsto e ordinato che se un magnate della città
o del contado di Firenze, s'impadronirà o invaderà con la
violenza case, terre e proprietà d'un popolano della città
o del contado di Firenze, venga punito e condannato dal Difensore e Capitano
a un'ammenda di 1.000 lire di fiorini piccoli per ogni caso d'infrazione,
e sia tenuto a restituire le case, le terre e le proprietà di cui
si è impadronito o che ha invase, nonché i frutti ricavati
o che ha potuto ricavare, entro 10 giorni dal momento in cui il fatto
sia venuto a conoscenza del Podestà.
8. È stato previsto e ordinato che in tutti i casi sopraddetti
chiunque venga offeso sia tenuto e obbligato a denunciare al Podestà
quanto ricade sotto la competenza del suo ufficio, e al Difensore quanto
perviene al suo ufficio[.] entro 3 giorni dalla consumazione del reato,
se commesso nella città di Firenze, ed entro 10, se commesso nel
contado, sotto pena d'una ammenda di 100 lire di fiorini piccoli [.].
9. È stato previsto e stabilito che nessun magnate della città
o del contado di Firenze che sia stato o che sarà condannalo possa
né debba in occasione della condanna fatta, o che si deve fare
chiedere o far chiedere ad alcun cittadino o abitante del contado di Firenze
nessuna somma di denaro e nessuna colletta, o ricevere altro per mettere
assieme il denaro dell'ammenda cui è stato condannato. Il magnate
che avrà contravvenuto a questa disposizione venga punito dal Podestà
o dal Capitano a pagare 500 lire di fiorini piccoli; e chi avrà
preso iniziative a suo favore per questa colletta [.] sia condannato a
pagare 100 lire per ciascuno e ogni volta.
12. Inoltre [.] è stato previsto e stabilito che nessun magnate,
che sia stato condannato e bandito per un reato previsto dai predetti
Ordinamenti, possa né debba essere esentato e liberato dal bando
o dalla condanna del Comune di Firenze in virtù di qualche amnistia
o per altra ragione, beneficio, privilegio se non avrà espiato
prima la condanna o le condanne pronunziate nei suoi confronti.
22. È stato previsto e deciso che tutti i predetti Ordinamenti,
in ogni loro singola parte, debbano essere osservati e debbano aver ragione
a preferenza di tutti gli altri statuti, ordinamenti, riformazioni e provvedimenti
stabiliti fin ora o che saranno in futuro approvati dal comune di Firenze
o dai Consigli del Comune o del Popolo di Firenze e che essi non possano
essere aboliti [.] o attenuati in alcun modo, per nessuna ragione e per
nessuna causa, e che non si possa convocare il pubblico consiglio, né
pubblicamente né in segreto […] per discutere sull'abrogazione
o sulla prorogazione o sull'attenuazione di tutti i predetti Ordinamenti
o di parte di essi. Ordinamenti di Giustizia del Comune e Popolo di Firenze, 1, 5-6,
8-9, 12, 22 (1293).
(F) La città, retta
con poca giustizia, cadde in nuovo pericolo, perché i cittadini
si cominciorono a dividere per gara d'ufici, abbominando l'uno l'altro
[1]. Intervenne,
che una famiglia che ci chiamavano i Cerchi (uomini di basso stato, ma
buoni mercadanti e gran ricchi, e vestivano bene, e teneano molti famigli
e cavalli, e aveano bella apparenza), alcuni di loro comperorono il palagio
de'conti, che era presso alle case de' Pazzi e de' Donati, i quali erano
più antichi di sangue, ma non sì ricchi: onde, veggendo
i Cerchi in altezza (avendo murato e cresciuto il palazzo e tenendo gran
vita), cominciorono avere i Donati grande odio contra loro. Il quale crebbe
assai, perché messer Corso Donati, cavaliere di grande animo, essendoglisi
morta la moglie, ne risolse un'altra figliuola che fu di messer Accierito
da Gaville, la quale era reda: ma non consentendo i parenti di lei, perché
aspettavano quella redità, al madre della fanciulla, vendendolo
bellissimo uomo, contro alla volontà degli altri conchiuse il parentado.
I Cerchi parenti di messer Neri da Gaville, cominciorono a sdegnare, e
a procurare non avesse la redità; ma pur per forza l'ebbe. Di che
si generò molto scandolo e pericolo per la città e per speziali
persone. E essendo alcuni giovani de' Cerchi sostenuti per una malleveria
[2] nel cortile
del Podestà come è usanza, fu loro presentato uno migliaccio
di porco, del quale chi ne mangiò ebbe pericolosa infermità,
e alcuni ne morirono; il perché nella città ne fu gran romore,
perché eran molto amati: del quale malificio fu molto incolpato
messer Corso. Non si cercò il malificio, però che non si
potea provare; ma l'odio pur crebbe di giorno in giorno, per modo che
i Cerchi li cominciorono a lasciare, e le raunate della Parte, e accostarsi
a' popolani e reggenti [3].
Da' quali erano ben voluti sì perché erano uomini di buona
condizione e umani e sì perché erano molto serventi, per
modo che da loro aveano quello che voleano; e simile da'rettori. E molti
cittadini tirarono da loro, e fra gli altri messer Lapo Salterelli e messer
Donato Riston' giudici, e altre potenti schiatte. I Ghibellini similmente
gli amavano per la loro umanità, e perché da loro traevano
de' servigi e non faceano ingiurie: il popolo minuto gli amava perché
dispiacque loro la congiura fatta contro a Giano. Molto furono consigliati
e confortati di prendere la signoria, che agevolmente l'arebbono avuta
per la loro bontà; ma mai non lo vollono consentire.
Essendo molti cittadini un giorno, per seppellire una donna morta, alla
piazza de' Frescobaldi, e essendo l'uso della terra a simili raunate i
cittadini sedere basso in su stuoie di giunchi, e i cavalieri e dottori
su alto sulle panche, e essendo a sedere, i Donati e i Cerchi, in terra
(quelli che non erano cavalieri), l'una parte al dirimpetto all'altra,
uno o per racconciarsi i panni o per altra cagione, si levò ritto.
Gli adversari, per sospetto, anche si levorono, e missono mano alle spade;
gli altri feciono il simile: e vennono alla zuffa; gli altri uomini che
v'erano insieme, li tramezorono e non li lasciorono azuffare. Non si potè
tanto amortare, che alle case de' cerchi non andasse molta gente, al quale
volentieri sarebbe ita a ritrovare [4]
i Donati, se non che alcuni de' Cerchi nollo consentì.
Uno giovane gentile, figliuolo di messe Cavalcante Cavalcanti, nobile
cavaliere, chiamato Guido, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e
intento allo studio, nimico di messer Corso, avea più volte diliberato
offenderlo. Messer Corso forte lo temea, perché lo conoscea di
grande animo; e cercò d'assassinarlo, andando Guido in pellegrinaggio
a San Iacopo; e non li venne fatto. Per che, tornato a Firenze e sentendolo
inanimò molti giovani contro a lui, i quali li promisono esser
in suo aiuto. E essendo un dì a cavallo con alcuni da casa i Cerchi,
con uno dardo in mano, spronò il cavallo contro a messer Corso,
credendosi esser seguito da Cerchi, per farli trascorrere nella briga:
e trascorrendo il cavallo, lanciò il dardo, il quale andò
in vano. Era quivi, con messer Corso, Simone suo figliuolo, forte e ardito
giovane, e Cecchino de' Bardi e molti altri, con le spade; e corsogli
dietro: ma non lo giugnendo, li gittarono de'sassi, e dalle finestre gliene
furono gittati, per modo fu ferito nella mano.
Cominciò per questo l'odio a multiplicare. E messer Corso molto
sparlava di messer Vieri, chiamandolo l'asino di Porta, perché
era uomo bellissimo, ma di poca malizia, né di bel parlare; e però
spesso dicea: «Ha raghiato oggi l'asino di Poria?»; e molto
lo spregiava. E chiamava Guido, Cavicchia [5].
E così rapportavano i giullari, e spezialmente uno si chiamava
Scampolino, che rapportava molto peggio non si diceva, perché i
Cerchi si movessero a briga co' Donati. I Cerchi non si moveano, ma minacciavano
con l'amistà de' Pisani e delli Aretini. I Donati ne temeano, e
diceano che i Cerchi aveano fatta lega co' Ghibellini di Toscana: e tanto
l'infamarono che venne a orecchi del papa. Dino Compagni, Cronica, I, 20. [1] Compagni comincia a narrare
le premesse della divisione interna alla parte guelfa.
[2] Tenuti prigionieri per non aver
pagato una multa.
[3] I Cerchi cominciarono a distaccarsi
dalla parte guelfa e ad accostarsi al Comune popolare.
[4] Assalire.
[5]Piuolo, forse con riferimento
alla sua ostinazione.
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