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Didattica > Fonti > Le campagne nell’età comunale > I, 10

Fonti

Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI – metà sec. XIV)

a cura di Paolo Cammarosano

© 1974-2005 – Paolo Cammarosano


Sezione I – Il potere signorile nelle campagne

10. Convenzione tra i signori di Tintinnano e i loro uomini

Agli inizi del secolo XIII la rocca di Tintinnano in Val d’Orcia, nella diocesi di Chiusi, era dominata dalla consorteria dei conti Tignosi. Da costoro dipendevano circa 150 persone – senza contare le donne e i minori – che si erano organizzate in un proprio Comune e nominavano un proprio console. Anche i conti avevano un console, il quale rappresentava l’unità della loro consorteria. Il 29 aprile del 1207 uno dei conti, Guido Medico, definì alla presenza di un delegato degli uomini di Tintinnano gli obblighi che avevano questi ultimi nei confronti dei signori e la ripartizione tra i consoli del signore e i consoli del Comune di alcune attribuzioni e di alcuni oneri di carattere pubblico. Il documento viene qui riprodotto con alcune omissioni; il lettore potrà vederlo in originale, nella sua integrità e con due interessanti documenti aggiuntivi in appendice allo studio di L. ZDEKAUER, La Carta libertatis e gli Statuti della rocca di Tintinnano (1207-1297), in Bullettino senese di storia patria, III (1896), pp. 327-376. Sul nostro e su altri documenti di Tintinnano si fondò un noto e importante saggio di G. SALVEMINI, Un comune rurale nel secolo XIII, in Studi storici, Firenze, Galileiana, 1901, pp. 1-37, e ora in La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze e altri scritti, a c. di E. SESTAN, Milano, Feltrinelli, 1972 (Opere di Gaetano Salvemini, I, vol. II), pp. 274-297.


In nome di nostro Signore Gesù Cristo, amen. Nell’anno del Signore millesimo duecentesimo settimo, il terzo giorno avanti le Calende di maggio (29 aprile), indizione decima.

Roma, che fu un tempo signora e capitale del mondo intero, venne a tanta grandezza tenendosi a questi tre princìpi: equità, giustizia e libertà; e senza di essi nessuna città può rimanere a lungo grande, non che accrescersi. Pertanto io, Guido Medico, figlio del fu Uguiccione di Tignoso da Tintinnano, agendo in nome di tutti i miei fratelli e nipoti – cioè dei signori Ranieri di Tignoso, Tebaldo del fu Rolando di Tignoso, Rolandino di Pagano, Ranuccio del fu Pepo e suo fratello, Ranieri Lolio, Monaldo del detto Rolandino di Pagano, Corrado del detto Ranieri di Tignoso, Uguiccione fratello del detto Tebaldo, Armaleo del fu Ildibrandino di Gioldone e altri – ed essendo stato istituito rettore […] per la questione di Tintinnano, considerai che lo stato di questa rocca e dei signori e dei fedeli che vi dimorano era andato, di bene in male e di male in peggio, a causa dell’iniquità, dell’ingiustizia e della servitù, ed era ormai ridotto all’annichilamento, così che era necessario prendere i provvedimenti che apparissero più opportuni nell’interesse dei sopradetti signori come dei fedeli di tutta la rocca.

Dopo aver meditato a lungo sulla questione, trovai che la comune situazione dei signori, dei fedeli e di tutto il paese non poteva venire ricondotta al buono stato di prima né poteva essere migliorata se non grazie a quelle tre cose: equità, giustizia e libertà; e con esse mi proposi di ricondurre la situazione in buono stato come prima e di migliorarla, se possibile. E vidi che per condurre l’impresa a compimento non c’era altra via che trasformare in affitti [1] le prestazioni consuetudinarie, cui gli uomini del paese erano tenuti nei confronti dei signori, e stabilire quante e quali prestazioni annuali o periodiche fossero a questi dovute: così che i signori non ardiscano di esigere dai propri uomini, contro la loro volontà, alcuna cosa in più. Tale fu dunque la mia proposta, perché ciascuna delle due parti, soddisfatta e sempre lieta di simili statuti e disposizioni, viva nell’equità, nella giustizia e nella libertà e contribuisca all’accrescimento e al miglioramento della rocca di Tintinnano, che se avesse una popolazione numerosa sarebbe tra le rocche d’Italia quanto mai rigogliosa […]

Parlerò per prima cosa degli affitti e delle prestazioni cui saranno sempre tenuti i detentori, presenti e futuri, dei beni posti fuori le mura della rocca, cioè delle terre, delle vigne, dei boschi e dei corsi d’acqua; in seguito tratterò dei beni compresi entro le mura della rocca.

1. Dico dunque innanzitutto che per tutte le terre e le vigne comprese tra l’Onzola e il Rigo, fino al punto in cui il Rigo confluisce nell’Orcia […], i detentori devono versare due terzi di staio di grano e un terzo di staio d’orzo per ogni due staia di terra seminativa [2]. Per le altre terre, poste tra l’Onzola e l’Orcia, che gli uomini di Tintinnano attualmente detengono in base a un contratto scritto […], essi daranno uno staio tra grano ed orzo, come sopra, ogni quattro staia di terra […] E al di là del Rigo gli uomini di Tintinnano potranno andare sulle terre non coltivate a provvedersi della legna, dell’acqua e dell’erba necessarie agli uomini e alle bestie, senza dovere per ciò alcuna prestazione.

2. Dico poi che i detentori di mulini sull’Orcia li abbiano per cinque giorni la settimana, e il sesto giorno li consegnino pronti per macinare ai signori perché li tengano in custodia e li facciano funzionare come a loro piacerà. A ciò non saranno tenuti coloro che possiedono cavalli e coloro che detengono mulini in nome di altri con un contratto di mezzadria […]

4. Se per caso sarà rinvenuto un tesoro in Tintinnano o fuori, sotto terra o sopra, col morto o senza morto, a colui che lo avrà trovato o ne avrà fatta denunzia spetterà di diritto la quarta parte. Il resto andrà in mano ai consoli e verrà diviso in tre parti: due per il console dei signori, una per il console del Comune. Se poi lo scopritore non avrà fatto la denunzia e si verrà a sapere che si è appropriato del tesoro, egli perderà ogni diritto sopra di esso e i consoli lo prenderanno e lo divideranno in tre parti come sopra.

Dirò quindi dei beni compresi entro le mura della rocca, cominciando dalle piazze [3] e dagli orti.

5. Una metà di tutte le piazze e gli orti spetterà ai signori, l’altra agli uomini del paese, eccettuate le piazze in cui sfociano le strade interne della rocca e quelle dove viene depositato il letame – ma non vi siano inganni nel computare queste eccezioni. Se per una piazza o un orto, di quelli che andranno agli uomini del paese, si versava un canone a un uomo del signore cui la piazza o l’orto spettava, dico che non si debba versare più; se poi il canone era dovuto a un signore diverso o all’uomo di un signore diverso, dovrà essere versato: ma il suo ammontare sarà dedotto, se possibile, dalle altre prestazioni (questo vale per le case e gli orti degli uomini che hanno in concessione un podere di proprietà dei signori).

6. Da ogni nucleo familiare, i cui membri risiedano nella stessa casa, si esigerà un canone di 12 denari; se in una casa abiteranno più famiglie, verseranno egualmente 12 denari e niente di più: ma se andranno anche in un’altra casa e vi sarà una separazione dei nuclei familiari, da ogni famiglia e casa si riscuoteranno 12 denari.

7. Se qualcuno vorrà vendere una sua casa o piazza, dovrà prima offrirla al signore al quale versa il canone. Se il signore vorrà comprare, avrà diritto ad ottenerla al prezzo che si potrebbe realmente ricavare da una qualunque altra persona, con uno sconto di 12 denari per ogni lira [4]; se poi non la vorrà comprare, l’altro eventuale acquirente dovrà versare annualmente il canone di 12 denari […]

8. Se uno dei signori, cioè dei conti, vorrà armarsi cavaliere o fornirsi, per dir così, del corredo di cavaliere o dare in moglie una propria figlia o sorella, i consoli del Comune forniranno a tutti gli amici del signore, convenuti per l’occasione, le stalle, i letti e il vettovagliamento […]

10. Nell’eventualità di una guerra che interessi la comunità dei signori di Tintinnano, se essi metteranno insieme una guarnigione di armati ne affideranno metà al console del Comune: per costoro – sia per i cavalieri che per i fanti – il console sosterrà le necessarie spese di vitto in Tintinnano, e a tutta la guarnigione dovrà assicurare le stalle e i letti […]

12. Chiunque in tempo di guerra terrà a Tintinnano un cavallo da battaglia, sarà libero e non dovrà alla curia altra prestazione che la milizia […]

15. Nel caso che un uomo o una donna muoia senza aver fatto testamento e senza lasciare eredi o parenti in Tintinnano, tutti i suoi beni mobili, rimasti presso di lui o depositati presso terzi, ricadranno ai consoli e saranno divisi in tre parti. Lo stesso valga per i beni lasciati dai fuggiaschi, dagli omicidi e dai falsari, per i beni depositati presso uomini di Tintinnano da estranei morti senza penitenza o senza eredi e altresì per tutti i proventi dei placiti, dei banni e delle multe riscosse in nome dei signori o della comunità del paese. Di tutti questi introiti due terzi spetteranno sempre al console dei signori e un terzo al console del Comune.

Se il defunto avrà lasciato un erede o un parente, maschio o femmina, non oltre il terzo grado, a costui ricadranno tutte le sostanze: ma saranno gravate, nei confronti del signore, dei medesimi oneri cui era tenuto il defunto. Se questi non avrà lasciato un parente entro il terzo grado, ma ne avrà di più lontani e remoti, ricadranno al parente più prossimo i beni immobili posti fuori del paese – gravati degli eventuali oneri, come si è detto; i beni mobili ricadranno ai consoli e saranno divisi in tre parti come sopra e gli immobili posti entro il paese (case, piazze ed orti) ricadranno al signore che ne ritraeva i rispettivi oneri […] E ognuno, purché riceva la penitenza in punto di morte, potrà lasciare in eredità i propri beni, nella misura che vorrà e a chi vorrà – si tratti o meno di suoi parenti – purché gli immobili restino sempre gravati dei rispettivi oneri verso il signore; ma le case, le piazze e gli orti potranno essere lasciati in eredità solo a parenti […]

18. Dico e prescrivo rigorosamente che gli affitti e i canoni delle terre e delle vigne, come delle case e delle piazze, siano versati ogni anno nella festività di S. Maria d’agosto, nella misura che si è detto. Ma se le vigne e le terre saranno state devastate da guerra o da grandine sarà consentito di pagare un affitto minore, in proporzione al danno. Il concessionario porterà l’affitto alla casa del signore cui questo è dovuto – con l’asino o altra bestia da soma di cui disponga oppure, ove ne sia privo, con una bestia del signore – e lo consegnerà al suo rappresentante il quale dovrà verificarne la quantità. E l’affitto in grano sia in grano buono e l’affitto in orzo sia in orzo buono, senza frode […]

20. Dico inoltre che di tutte le accattarie, riscosse dal console dei signori, metà vada al suddetto console e metà venga divisa fra tutti gli altri signori nella proporzione che spetta a ciascuno.

[1] Qui ed oltre, abbiamo reso adfictus con il vocabolo italiano simile; si tenga comunque presente che nel territorio toscano ed emiliano adfictum indica in genere un canone in natura, fisso o parziario.

[2] Lo staio è un’unità di capacità per i grani dalla quale deriva poi un’unità di superficie: uno staio di terra (misura di superficie) è quell’estensione in cui può venire seminato uno staio (misura di capacità) di grano. Nel passo qui tradotto il termine viene prima impiegato come misura di capacità, poi come misura di superficie. Lo stesso vale per il passo successivo.

[3] Il termine piazza va inteso, qui e in seguito, in senso lato: ogni area che non sia coperta da edifici o da colture.

[4] Poiché una lira “contiene” 240 denari, lo sconto di 12 denari per lira equivale al 5%.

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UpUltimo aggiornamento: 17/01/05