Fonti
Le campagne nell’età comunale
(metà sec. XI –
metà sec. XIV)
a cura di Paolo Cammarosano
© 1974-2005 – Paolo Cammarosano
1. Donazione di terre all’abbazia umbra di Val di Ponte Le fonti di gran lunga più numerose per la storia della
proprietà fondiaria nel secolo XI sono gli aridi contratti di
donazione stipulati da laici in favore di chiese e monasteri. Questo
è tratto da Le più antiche carte di S. Maria Val
di ponte (Montelabbate), I, (969-1170), a c. di V.
DE DONATO, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 1962
(Regesta Chartarum Italiae, XXXV), p. 25, n. 12. L’autore della donazione
è ricordato in un altro documento della raccolta: p. 42, n. 20;
è andato invece perduto un altro atto di donazione, del quale
si fa parola nel testo che traduciamo qui. In nome di nostro Signore Gesù Cristo. Nell’anno millesimo cinquantesimo
ottavo dalla sua Incarnazione, indizione undicesima, nel mese di aprile,
in Perugia. Io Ranieri di Adamo, nel nome di Dio, insieme a Tederada
mia moglie, dono al Signor Giovanni abate del monastero di S. Maria,
sito in località Corpiniano, a titolo di oblazione e affinché
abbiamo luce ed eterna ricompensa […], in perpetuo […],
il manso detenuto da Pietro Rucio a Lupaccione o in località
altrimenti designata, con tutte le sue pertinenze. Se l’insieme dei
beni che compongono detto manso risulterà inferiore a sedici
moggia, daremo un’integrazione attingendo alle terre di cui siamo proprietari
nella pianura e nei colli tra il fiume Tevere e i Greppi. Diamo inoltre
quattro pezzetti di terra situati in prossimità del manso e di
quel terreno recintato, che demmo a suo tempo al suddetto monastero,
in modo che si raggiungano in tutto, e cioè insieme al terreno
recintato, sette moggia, in conformità con la misurazione e la
designazione che ho fatto con il monaco Ranieri.
Sono dunque complessivamente ventitré moggia, che diamo con le
case, le vigne, gli orti, i prati, i pascoli, le selve, i saliceti,
i seminativi ed inoltre le acque e i mulini, i confini, gli arbusti,
gli alberi da frutto e quelli non fruttiferi o d’altro genere, gli accessi
e le uscite e tutte le pertinenze e tutto ciò che vi sta al di
sopra o al di sotto [1] […], con un atto di cessione materiale
e conforme alla legge, che compimmo col porre nelle mani del giudice
Pietro un ramo di una pianta d’olivo, che cresce davanti alla casa [2].
[1] Anziché usare un’espressione sintetica ed astratta come
il nostro: “con tutti gli annessi e connessi”, i notai medievali
inserivano negli atti di alienazione clausole lunghe e dettagliate (dette
“delle pertinenze”), di cui si offre qui un esempio. Esse
mantengono tuttavia un valore ipotetico e formulare, non attuale e concreto:
non è affatto sicuro, ad esempio, che le terre donate da Ranieri
comprendessero saliceti, pascoli ecc. Nondimeno, lo studio comparato
di queste clausole nelle varie regioni e in diverse epoche può
fornire qualche utile idea sui paesaggi agrari e sulle singole colture.
[2] Le alienazioni fondiarie erano accompagnate generalmente da un atto
formale e solenne, che sanciva il trasferimento effettivo del possesso:
il donatore; venditore ecc. consegnava nelle mani del donatario, compratore
o di un rappresentante di quest’ultimo – così nel nostro documento
– una zolla di terra, la scheggia di una capanna o il rametto di un
albero del fondo ceduto, od altri oggetti ancora.
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